ALLA RICERCA DEL SENSO

1.      Senso soggettivo e senso attribuito, fra ragione ed emozione.

Il senso è qualcosa che corre sul confine incerto fra soggettività ed attribuzione sociale. Possiamo dire che ogni soggetto stabilisce un senso per sé e per il mondo, ma possiamo anche dire che il mondo attribuisce un senso agli oggetti, che i soggetti possono in tutto, in parte o per niente condividere. Questa definizione sembra chiara se non apriamo la voragine dell’interrogazione su chi siano i soggetti sensificatori. Il soggetto non è l’individuo, ma qualsiasi campo identitario, come una squadra di calcio, una comunità territoriale, un’organizzazione. A maggior ragione il “mondo” non è che un insieme di parti. Soggetto e mondo sono entità plurali. Il senso è come un lago dai molti affluenti.  L’individuo dà un suo senso agli oggetti, ma questo senso è una sintesi di sensi provenienti da molte fonti: la famiglia, il gruppo di amici, l’istruzione ottenuta, l’ambiente sociale, il contesto socio-economico, il clima culturale. Gli “agenti del senso” sono numerosi, anche se poi presiedono ai comportamenti individuali. Il senso che il mondo attribuisce agli oggetti è la sintesi precaria e mobile fra i sensi attribuiti da tutte le “regioni” che compongono il mondo: individui, comunità, organizzazioni, stati, civilizzazioni. La distinzione fra senso soggettivo e senso attribuito è praticamente impossibile, se non come razionalizzazione postuma. Il comportamento agito ed osservato, viene spiegato attraverso il senso e questo senso diventa soggettivo se non è condiviso, attribuito se non è introiettato. Il processo di sensificazione è il più distintivo carattere dell’umano, ma non è come a volte sembra, solo razionale o solo emotivo. Spiegare il senso con l’intelletto è insufficiente, come limitare la sua natura alle fonti emozionali. Non accettiamo che il senso della nostra vita sia ancorato alle sole emozioni, ma insieme ci risulta difficile spiegarlo con la sola ragione. La spiegazione razionale ipertrofica del senso  è sintomo di una posizione nevrotica. La attribuzione del senso alle sole radici emozionali è un’avvisaglia di socio-patìa. La assenza di senso, o meglio, della sua comunicabilità, è indizio di psicosi. L’equilibrio armonioso fra queste possibilità è la ricerca di un’intera vita. 

2.      Valore: che senso ha per me? (quanto è importante ? che valore attribuisco?)

Il senso come valore è il nucleo semantico più filosofico del termine. La domanda di senso  in quanto valore è quella più radicale. Attribuire un senso in questa accezione significa  dare un valore su una scala che va dallo zero al tutto, dal niente alla vita.  Il senso di valore zero è attribuito ai cose e fatti la cui esistenza o inesistenza non turba, non influisce, non modifica.  Il senso di valore massimo è attribuito ad oggetti la cui influenza è decisiva per l’esistenza, al punto che la loro perdita giustifica la morte. La vita senza gli oggetti o i fatti o le persone di senso-valore vicino allo zero, resta immutata. Privata di oggetti, fatti o persone di senso-valore massimo, la vita  stessa perde valore fino ad accettare la propria soppressione. La vita in molti casi è superata nella scala del senso-valore da altri elementi abitualmente considerati accessori o qualificativi. In certi momenti dell’esistenza ed in certi soggetti  la vita vale meno della vita in libertà, della vita in coppia, della vita coi figli. In certi casi l’onore, la fedeltà, il gusto del rischio, l’ambizione, vengono prima della vita. Fra gli oggetti insensati e quelli di valore vitale, esiste la gamma infinita degli oggetti di senso-valore intermedio. Non a caso la sovrapposizione semantica fra senso e valore rimanda a quella fra senso e benessere, forza, salute. Dare senso è dare forza e salute. Come se domandandoci “che senso ha? Che valore ha?”, ci domandassimo: “quanto ci rende forti e sani?”. Se una cosa ha per noi molto senso-valore significa che la crediamo capace di darci molta forza e salute; se una cosa non ne ha significa che la consideriamo neutra o addirittura dannosa, disfunzionale, patogena.

3.      Significato: in che senso? che significato ha? cosa vuol dire?

Il significato è l’aspetto comunicativo del senso. Il senso qui è il messaggio che ogni significante contiene. Significante è qualsiasi fonte di messaggio, e messaggio è qualcosa che viene inviato supponendo un ricevente ed un codice condiviso. Significato è dunque il senso condiviso. Anche qui, il codice condiviso può essere cognitivo o emotivo o entrambe le cose. Possiamo avere una lingua comune o possiamo avere una fede comune, che dicono che senso hanno (cosa vogliono dire) gli oggetti.  Il senso-significato è l’aspetto del senso più vicino all’aporia, come d’altronde lo è ogni atto comunicativo. L’aporìa consiste nel fatto che i significati si fondano su un codice condiviso, la cui costruzione richiede significati fondati su codici condivisi, e così via in un infinito percorso a ritroso. Il significato dunque oscilla fra il livello ipersoggettivo ed  autistico, e il livello metafisico e  universale. Il senso-significato nasce anzi da una identificazione fra soggettivo ed universale: condizione necessaria per la costruzione di una condivisione. Il soggetto che non comprende (prende insieme) il senso-significato di un oggetto o di un evento, vive una rottura, un isolamento, una cesura con l’ universo. L’oggetto incompreso non è dentro il soggetto quindi forse non è nemmeno del mondo. Esso vive al di fuori del codice condiviso o condivisibile. Il senso-significato incompreso è fuori dal lavoro di costruzione, è un oggetto estraneo. Naturalmente, fra il significato estraneo e quello condiviso si pone quella che chiamiamo cultura. Kantianamente possiamo dire che la cultura è il senso che gli uomini danno al mondo, in un certo momento e in un certo luogo (qui ed ora). Il senso-significato, come la cultura, è dunque comunicazione e condivisione: condivisione del codice universale esistente e comunicazione per la costruzione dei nuovi sotto-codici condivisi.

4.      Direzione: senso di marcia, scopo, finalità

5.      Intuizione: sesto senso, pre-sentimento

6.      Piacere: sensi (mi piace? ne ho voglia? mi erotizza?)

7.      Senso comune: usa il buon senso, l’ovvio è quasi sempre vero, c’è un motivo

” Le entità non vanno moltiplicate oltre il necessario”: ecco il rasoio di Occam. Il padre del “buon senso” o “senso comune”.

8.      Analisi: senso critico, come è fatto/composto?

9.      Sensi-Sensazione: cosa sento? che reazioni emotive o sensoriali mi dà?

10.  Il senso come “governatore” del comportamento

11.  Patologia del sensificare