PROCESSI: fisica e psichica

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Teoria del cambiamento non graduale
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GENOMA, BIOMA E METABOLOMA
PSICOMA E SOCIOMA

IL GENOMA UMANO
Dopo la prima bozza della mappa del genoma umano pubblicata nel 2001, gli scienziati hanno annunciato, nell'aprile del 2003, di aver finalmente ottenuto la mappa completa del nostro patrimonio genetico, un risultato che apre enormi prospettive nella biologia e nella medicina.
In questa guida scopriamo che cos'è il genoma, cosa significa averlo decifrato e quali sono le tappe che hanno portato a questo storico risultato.

IL GENOMA IN PILLOLE

  • Il genoma è l'intero patrimonio genetico di un organismo vivente. Si può paragonare ad un'enorme enciclopedia in cui sono contenute le istruzioni che regolano lo sviluppo e il funzionamento dell'organismo.
  • Le istruzioni contenute nel genoma sono simili ad una ricetta. Come in una ricetta il risultato finale, cioè l'insieme delle caratteristiche dell'individuo, non è determinato a priori e in modo preciso ma dipende dall'interazione fra gli ingredienti (i geni) e il modo in cui vengono cucinati (cioè dall'ambiente).
  • Il genoma è "scritto" in un composto chimico chiamato DNA (abbreviazione dall'inglese DeoxyriboNucleic Acid, cioè acido desossiribonucleico).
  • Il DNA è una lunghissima molecola composta dalla successione di quattro diversi elementi chimici, chiamati basi nucleotidiche. Come un enciclopedia è composta dalla successione di innumerevoli lettere dell'alfabeto, il genoma è composto dalla successione delle basi nucleotidiche che costituiscono il DNA.
  • Le basi nucleotidiche sono 4: Adenina (A) , Timina (T) , Guanina (G) e Citosina (C). L'alfabeto in cui è scritto il patrimonio genetico di tutti gli esseri viventi è quindi formato da quattro lettere: A, T, G, C.
  • Il nostro genoma contiene circa 3,2 miliardi di lettere.
  • Se si potesse srotolare, il filamento di DNA di una singola cellula sarebbe lungo più di un metro. Con tutto il DNA presente nel nostro organismo si potrebbe coprire 1200 volte la distanza fra la Terra e il Sole.
  • Il DNA dell'uomo e dello scimpanzé sono identici al 98 per cento
  • Il DNA di due persone sono identici al 99,9 per cento. La differenza fra il DNA di due individui è quindi di appena una “lettera” su milla

LA MAPPA DEL GENOMA
Il sequenziamento consiste nell'identificare la successione esatta di basi nucleotidiche, cioè delle 4 quattro lettere chimiche che compongono il DNA. Elaborando questi dati sulla base delle conoscenze già acquisite e con l'aiuto di programmi informatici, i genetisti hanno potuto costruire una mappa dettagliata del nostro patrimonio genetico
I ricercatori dispongono ora di un vero e proprio catalogo che comprende i geni presenti sui cromosomi, la loro esatta posizione e la successione di basi nucleotidiche di ciascuno di essi.
I geni vengono localizzati analizzando la sequenza di DNA con sofisticati software in grado di riconoscere la presenza di "frasi" di senso compiuto. Ognuna di queste "frasi" rappresenta un gene. Altri programmi possono identificare quali di queste sequenze corrispondono a quelle di geni già noti.
E' una rivoluzione nel metodo con cui studiare le cause genetiche delle malattie: accedendo direttamente ai dati è infatti possibile saltare le tappe lunghissime e dispendiose necessarie all'isolamento fisico dei geni che le causano e al loro sequenziamento.
Il numero dei geni nell’uomo è stimato fra 25mila e 40 mila. Sembrano pochi, rispetto alle stime precedenti (circa 100mila) e rispetto al genoma di altri organismi più semplici: la pianta Arabidopis Thaliana ne possiede 25.000 la Drosophila (il comune moscerino da frutta) 13.600.
Più che nel numero di geni, quindi, il segreto dell' umanità risiede probabilmente nel tipo e nel numero di proteine da essi prodotte e nelle complesse interazioni fra proteine e ambiente.
I geni vengono localizzati analizzando la sequenza di DNA con sofisticati software in grado di riconoscere la presenza di "frasi" di senso compiuto. Ognuna di queste "frasi" rappresenta un gene. Altri programmi possono identificare quali di queste sequenze corrispondono a quelle di geni già noti.
I geni vengono localizzati analizzando la sequenza di DNA con sofisticati software in grado di riconoscere la presenza di "frasi" di senso compiuto. Ognuna di queste "frasi" rappresenta un gene. Altri programmi possono identificare quali di queste sequenze corrispondono a quelle di geni già noti.

METABOLOMA François Gros: ora la sfida è decifrare il «metaboloma» ( Luigi Dell'Aglio)

Se il Dna contiene l'informazione genetica, è l'Rna messaggero a trasferirla alle proteine, cioè a renderla attuabile. E uno dei primi biologi molecolari a mettere in evidenza il prezioso ruolo di intermediario svolto dall'Rna è stato proprio lui, il professor François Gros. Con le sue ricerche, negli anni 50 e 60, dimostra la validità di una grande intuizione. Ha ragione Jacques Monod, poi Nobel per la medicina nel 1965 e autore del best seller scientifico «Il caso e la necessità»: il controllo dell'espressione genica avviene proprio nella delicata fase di trascrizione del messaggio dal Dna all'Rna. Francois Gros succede a Monod nella direzione dell'Istituto Pasteur. Ora è professore emerito al Collège de France. A Roma lo abbiamo incontrato in occasione del convegno «La doppia elica del Dna, 50 anni dopo». Lei ha scoperto il meccanismo d'azione degli inibitori metabolici (tra cui gli antibiotici). Se il cancro ha origini genetiche, esistono vie per inibire anche il processo tumorale? Il cancro ha una base genetica incontestabile. Sono stati scoperti geni le cui mutazioni non soltanto sono responsabili dello scatenarsi del cancro, ma impediscono di riparare le lesioni a livello del Dna che hanno provocato il cancro. La complicazione è che molte fra queste mutazioni sono spontanee, possono insorgere quando vogliono, nel corso della vita di un individuo. La maggior parte dei tumori nascono così. Ma ci sono anche tumori ereditari, molto rari, per esempio quelli della retina, il cancro del colon. Si sa già abbastanza sulle caratteristiche genetiche del cancro? Le stiamo apprendendo. C'è da aggiungere una scoperta, avvenuta poco tempo fa: l'esistenza di "geni di suscettibilità", cioè geni che provocano una sensibilità acuta nei confronti del tumore. Il cancro ha un'origine genetica ma non si può dire che la genetica abbia finora veramente fornito nuove vie d'attacco, nuove cure. Centinaia di laboratori nel mondo cercano di utilizzare la terapia genica per combattere i tumori. C'è un po' di delusione nelle sue parole. No. Perché oggi possiamo confrontare i profili d'espressione genica dei tessuti sani e dei tessuti neoplastici, affinare la classificazione dei tumori, seguire l'evoluzione da un tumore benigno a uno metastatico. Abbiamo scoperto tante cose che ci serviranno. Per esempio, abbiamo analizzato forme, relativamente vicine fra loro, di leucemia (mieloide acuta e linfoblastica acuta) e abbiamo notato che il numero dei geni attivati è molto diverso. Siamo in grado di distinguere, geneticamente, tra un tumore al seno con prognosi favorevole e un altro che invece svilupperà metastasi entro cinque anni. Non dimentichiamo che la genetica può favorire una diagnosi precoce e permetterci di intervenire molto presto con i farmaci. Quali sono le altre novità, sul fronte della lotta al cancro? Che cosa pensa dei tentativi di bloccare la moltiplicazione cellulare, con farmaci che vadano a incastrarsi nei recettori per i fattori di crescita, cioè a "chiudere la serratura"? Con la genomica stiamo svelando molti arcani. Per esempio, c'è un gruppo di geni sovraespressi nel cancro del polmone. E molti laboratori sono impegnati a fondo per cercare di capire meglio, e modificare, questi geni. Siamo arrivati ad alcuni inibitori della moltiplicazione cellulare, per esempio il tamoxifen (ottenuto dal principio attivo delle foglie del tasso), scoperto da Pierre Potier, il quale ha collaborato con équipe italiane (e italiana è anche l'industria che ha realizzato la sintesi). Un importante passo avanti. Questi agenti sono molto utili al fine di impedire le metastasi ma non evitano l'insorgenza della malattia. A quali risultati possono portare i nuovi farmaci intelligenti? Di questi farmaci penso tutto il bene possibile, se sono intelligenti. Se cioè sono capaci di raggiungere direttamente il bersaglio cellulare. E poi, per me, il farmaco intelligente è quello di cui si possa anche fermare l'azione, quando si vuole. In che senso? Alla lunga, alcuni farmaci possono essere tossici; tutti gli agenti antitumorali sono tossici. Abbiamo assistito all'esordio della genomica (da genoma), che ora sta passando la mano alla proteomica (da proteoma, il regno delle proteine. Sono queste, infatti, a garantire le funzioni concrete dell'organismo). La conoscenza corre. Dopo il genoma, dopo il proteoma, la terza tappa è il metaboloma (che deriva dalla parola metabolismo). È il complesso di tutti i metabolismi della cellula, di tutte le interazioni tra gli enzimi. Per esempio: per eliminare certi agenti chimici, cioè le tossine contenute in alcuni farmaci, si realizza una mobilitazione di enzimi del fegato che si chiamano citocromi. Intervengono per eliminare il surplus di farmaci, facendoli passare nell'orina. Ma ci sono migliaia di esempi. Il metaboloma studia l'interazione degli enzimi in movimento. Schiere e schiere di enzimi partecipano al metabolismo energetico della cellula. Ma la biochimica non ha potuto spiegare, fino a oggi, come gli enzimi interagiscono fisicamente fra di loro. Vi sono nuovi metodi genetici per studiare questa materia. Insomma, la metabolomica è la nuova via del futuro. Occorre infatti uno studio sempre più approfondito delle componenti cellulari. La tecnologia può dare una mano alla lotta contro il cancro? Sì. Per esempio, progettando microchip che dall'interno dell'organismo distribuiscono i farmaci secondo le necessità. Già abbiamo realizzato pompe per l'insulina, inserite all'interno del corpo. Per ora sono soltanto miniaturizzate. Ma l'idea è di trovare impianti molto più piccoli, grazie alla nanotecnologia. In Giappone numerosi laboratori ci stanno pensando. Tra le scoperte rese possibili dal Dna, ce n'è una di cui si parla poco? Abbiamo scoperto che, se venisse esaminato il Dna degli oltre 5 miliardi di individui che vivono sul pianeta, solo pochissimi risulterebbero rigorosamente identici, fra loro, sotto il profilo genetico. E questa conclusione smentisce la teoria delle razze.

Il futuro è nelle proteine

Ha già un nome: progetto proteoma umano o, per dirla all'anglosassone, Proteomics. Ha già sponsor illustri, tra i quali Nature, che gli ha dedicato un resoconto di una decina di pagine, e che continua a ospitare gli studi sull'argomento, sempre più numerosi.
Ha un obiettivo lontano nel tempo ma assai appetitoso, tanto per chi insegue la conoscenza scientifica quanto per chi, dalla conoscenza, trae guadagni con cifre a nove zeri: identificare, isolare, classificare tutte le proteine (decine, se non centinaia di migliaia) espresse dalle cellule umane nel corso della loro vita, per poi verificarne le funzioni biologiche e le interazioni.
Proteomics ha tutte le carte in regola per essere una vera rivoluzione nel mondo della biologia molecolare, una svolta che farà sembrare il discusso progetto genoma poco più che archeologia scientifica.

Nata a metà degli anni ottanta nei laboratori del Nord Europa e degli Stati Uniti, Proteomics inizia a farsi strada anche in Italia, dove stanno tornando i primi giovani ricercatori che hanno passato alcuni anni a imparare le tecniche e la teoria nei laboratori di tutto il mondo.
Una di questi è Angela Bachi, due lauree in tasca (in chimica e tecnologie farmaceutiche e farmacia, entrambe conseguite a Genova) e un passato di ricerca all'Istituto Mario Negri di Milano, dove per diversi anni ha lavorato nel Dipartimento ambiente e salute diretto da Roberto Fanelli. Tre anni fa il viaggio verso Heidelberg, dove, allo European Molecular Biology Laboratory, meglio noto come EMBL, lavorava con quello che Nature ha definito il guru di Proteomics, Matthias Mann. Allora in Italia anche la parola era poco conosciuta e nessuno aveva denaro per introdurre Proteomics (vedi riquadro). «Ma sulle pagine della letteratura la sfida era già stata lanciata, e valeva la pena di coglierla» commenta la ricercatrice, spiegando che cosa rende attraente il progetto. «L'identificazione delle proteine non è solo la naturale conseguenza del sequenziamento dei geni. E' molto di più. Il gene, infatti, è informazione pura, priva di capacità operative. Sono invece le proteine che operano e che rendono possibile tutti i processi, sia fisiologici sia patologici. Ma, a sua volta, ogni proteina non è solo la traduzione esatta dell'informazione del gene, poiché viene modificata dopo la sintesi sullo stampo di DNA. Dopodiché interviene l'ambiente, da quello cellulare fino allo stato di salute dell'intero organismo. Lo scopo di Proteomics è proprio quello di fotografare, per ogni istante della vita di una cellula, un tessuto o un organo, tutti gli attori che intervengono e, insieme a essi, le loro controfigure patologiche».
Il progetto proteoma, in realtà, è solo una tappa di un più generale e, almeno per ora, del tutto virtuale progetto sulla genetica funzionale umana, ma è una tappa molto importante, forse la più importante e la più difficile da portare a termine per svariati motivi, teorici e pratici. «Persino in un organismo semplice come il batterio il numero di proteine è di almeno il 25 per cento più grande del numero di geni» ricorda la ricercatrice. «Nell'uomo il rapporto tra geni e proteine è di circa uno a tre. Perciò nelle cellule di ciascuno sono presenti almeno mezzo milione di macromolecole proteiche. D'altra parte, se la differenza genetica tra gli individui della specie umana è piuttosto ricca, la differenza proteica è ricchissima e assicura a ogni individuo un set di proteine praticamente unico». Una fatica di Sisifo, dunque? Ovviamente, chi lavora al progetto non la pensa così: com'è accaduto per il genoma, tenta di affrontare una parte del lavoro commisurata alle proprie energie e, guarda caso, spesso suggerita dagli invitanti contratti delle più grandi multinazionali farmaceutiche. E' quanto succede, per esempio, al National Institute of Mental Health statunitense, che ha firmato per identificare tutte le proteine coinvolte nella demenza di Alzheimer, o al Centro per l'analisi proteomica di Odense, in Danimarca, che si è preso la parte sull'ipertensione, o al Ludwig Institute for Cancer Research di Londra, che si occuperà di cancro della mammella e del colon. L'idea è elementare: trovata (e brevettata) la proteina difettosa, progettato (e venduto) il farmaco.

Definizione di Proteina su Internet:
  • Le proteine sono composti organici tra i più complessi, costituenti fondamentali di tutte le cellule animali e vegetali.
    it.wikipedia.org/wiki/Proteina
  • Grande molecola formata da aminoacidi uniti tra loro a formare una lunga catena. Questa catena si arrotola su se stessa dando alla proteina una struttura tridimensionale ben precisa.
    www.airc.it/guida_tumore/tumore_glossario.asp
  • Le proteine sono composti organici, costituiti da centinaia o migliaia di amminoacidi. Le proteine costituiscono gran parte del “materiale di costruzione” delle cellule e dell’organismo. Le proteine hanno anche la funzione di regolare o fare avvenire le reazioni biochimiche che hanno luogo in tutte le cellule: in questo caso si dicono enzimi. Ogni proteina viene costruita grazie all’informazione contenuta in uno o più geni
    www.telethon.it/informagene/dizionario.asp
  • Sostanza organica azotate a struttura complessa e peso molecolare elevato, organizzate in catene di amminoacidi, fondamentali componenti di ogni organismo vivente.
    www.atassiadifriedreich.it/adf_ita/Glossario.html
  • molecola organica formata da una o piùcatene di amminoacidi.
    web.tiscali.it/liceoasproni/biomondi/GLOSSARIO.htm
  • polimero costituito da una sequenza di aminoacidi uniti da legami peptidici ed avvolto in una configurazione tridimensionale.
    www.ispesl.it/gauss/Glossario/glossario.pag-P.html
La metabolomica è un campo emergente della bioscienza, descritta come l’analisi di un sistema biologico nel quale tutti i metaboliti vengono identificati e determinati qualitativamente.

Mentre la genomica si occupa dell’analisi del genoma completo (e questa conoscenza del codice genetico può solamente in parte spiegare le risposte biologiche a malattie o stress ambientali), per ottenere una migliore conoscenza della funzione dei singoli geni gli studi di post-gnomica si focalizzano ptincipalmente sulla genomica funzionale, basandosi sia sull’analisi dell’espressione del gene (transcrittomica) che sullo studio comprensivo del proteoma (proteomica).

Le alterazioni del metaboloma sono da considerarsi la risposta finale di un organismo alle alterazioni genetiche, alle malattie o alle influenze ambientali.

Ultimamente si sta acquisendo una conoscenza sempre più vasta del genoma, del transcrittoma e del proteoma, ma il metaboloma è ancora profondamente ignorato: la metabolomica è ancora in una fase iniziale di evoluzione mentre le altre tecnologie “omiche” sono molto maturate e ciò è anche forse dovuto al grande numero di metaboliti con i quali dobbiamo confrontarci.

C’è anche un dibattito aperto su cosa possa essere considerato metabolita: ad esempio vitamine e piccoli peptidi possono essere inclusi nella lista? Secondo una definizione semplice ed ampiamente accettata metabolita è ogni sostanza coinvolta in un processo metabolico o prodotta da esso o necessaria per esso. In questo caso ci troviamo di fronte a 3000 metaboliti “maggiori” per il sistema umano mentre ne possiamo scovare addirittura 200000 per quello delle piante.

Altro punto focale della discussione nella comunità scientifica è la nomenclatura di termini come metabolomica e metabonomica: qualcuno sostiene che entrambi i termini descrivano praticamente lo stesso concetto, altri invece tendono a distinguerli indicando con metabonomica la misura quantitativa delle risposte metaboliche multivariate di sistemi multicellulari a stimoli patofisiologici od a modificazioni genetiche mentre la metabolomica è la misura delle concentrazioni dei metaboliti, dei flussi,delle secrezioni in cellule e tessuti.

Una valutazione globale e quantitativa del metaboloma richiede una tecnologia richiesta molto elevata, in quanto le proprietà chimico-fisiche dei composti sono divergenti e variano enormemente con la concentrazione, oltre a risentire di influenze ambientali, anche brevi.

L’obiettivo finale è una visione totale del metabolismo e non è necessario conoscere tutti i metaboliti in modo completo per una esaustiva visione biologica. Ma è richiesta una strumentazione analitica dotata di elevata risoluzione, sensibilità, riproducibilità e questo si può ottenere soltanto con strumentazioni coordinate e potenti, ricorrendo a tecniche come NMR, spettrometria di massa e cromatografia.

Oggigiorno ci si avvale di due approcci complementari per le indagini in metabolomica: uno basato sul profilo (cioè sulla concentrazione di un particolare metabolita o di una specifica classe) e quello basato sull’impronta (cioè sulla presenza e concentrazione di tutti i metaboliti evidenziati, sia pure non tutti noti, e dal confronto con impronte campione per evidenziare alterazioni dovute a malattie, esposizione a tossine, alterazioni genetiche o impatto ambientale).

In pratica la metabolomica non è solo un’altra tecnica “omica”, ma rappresenta un contributo alla conoscenza e comprensione dei sistemi biologici sia da un punto di vista meccanicistico che precursoristico.

La possibilità di integrare queste conoscenze con quelle delle altre tecnologie “omiche”, esalta il valore dei dati ma accresce anche la visione biologica dei sistemi studiati, ben al di là di quello che ogni singola tecnica da sola può fare.