Carteggio dimissioni (Guido
Contessa, Alberto Raviola. Cristina Bertazzoni - 2002)
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Cari amici e colleghi, non mi piace dove sta andando lOccidente.
Non si tratta, come molti equivocano partigianamente, di un disgusto
che nasce oggi, ma che viene da lontano. La prima Repubblica era
già inaccettabile: la seconda è nauseabonda. Non mi piace neanche più questo lavoro sociale
che ha assorbito per trent anni quasi tutte le mie energìe,
ma che ora mi fa solo sentire complice della grande manipolazione
delle élites dominanti. Il nostro lavoro partiva da un sogno di
emancipazione, ed è giunto ad una realtà di controllo, soffocamento,
omologazione. Non voglio più fare il secondino, o il fiore allocchiello,
per le buro-corporazioni dominanti. Non mi piace più nemmeno il modo con cui noi
facciamo questa caricatura del lavoro psico-sociale. Abbassando
continuamente gli standards, inchinandoci a ragionieri e contabili,
tacendo in nome di unetica professionale che ormai è solo
anestesìa. Troppe ore passate a occuparci di procedure, appalti,
vincoli, compromessi e troppo poche passate a studiare, discutere
o progettare cattedrali. Da mesi accarezzo lidea della secessione
individuale, dellesilio, della dissociazione, come unica via
di salvezza per una dignità che sento smarrire ogni giorno. Perciò ho deciso di lasciare tutte i miei incarichi
operativi, naturalmente dopo che avremo effettuato i dovuti passaggi
formali: amministratore unico di EGEOsrl, docente della SPS, coordinatore
scientifico del progetto Bengio, supervisore della sede milanese
(RSP, WELL, ecc.). Mi interessa di restare come semplice membro
nei CD dellARIPS e dellAIATEL perché si tratta di ruoli
culturali (peraltro molto poco impegnativi), ma voglio dedicare
tutto il mio tempo futuro solamente al web e alla scrittura. Attraverso il web posso essere daiuto al
sistema in forma anonima. Con la scrittura, sarò libero di esprimermi
più di quanto sia oggi. Lidea è quella di considerare il prossimo
anno come sabbatico. Lo dedicherò ai viaggi e allo studio dellinformatica.
Fra un anno o due spero di essere riciclato come operatore
professionale del web. Sono certo che ormai il sistema sia abbastanza
forte per trovare senza fatica uno o più colleghi capaci di fare
meglio di me negli incarichi che lascio. Vi ringrazio per tutto quanto mi avete dato in
questi anni di collaborazione e mi scuso per le inadeguatezze che
vi ho restituito. Con amicizia, Guido Contessa |
Il medico Shin-fu prese parte
alla guerra dell'Imperatore Ming per la conquista della provincia
di Chenzi. "ME-TI. Il libro delle
svolte", B.Brecht Caro
Guido, L'analisi che fai del
Mondo e della Professione alla soglia del Millennio mi trovano completamente
d'accordo. Il desiderio imperiale di controllo-dominio dell'Umanità,
l'interesse all'ammortizzazione della conflittualità sociale, l'attenzione
alla devianza dettata da sentimento di espiazione - in una insoddisfacente
sintesi - la richiesta di contribuire ai processi di istituzionalizzazione
totale che i clienti (pubblici e privati) ci fanno non possono essere
negati. E in questo senso i motivi che guidano la Tua
scelta mi sembrano assolutamente chiari e il comportamento che
intendi agire perfettamente conseguente. La Tua decisione, radicale
e definitiva, mi provoca d'altro canto tristezza e malinconia, anche
se sono convinto che la responsabilità individuale e i comportamenti
che la significano, non possono essere messi in discussione. Anche perché intravedo
in questa Tua scelta, come in molte altre che Ti ho visto fare da
15 anni a questa parte, un segno profetico e magistrale, che dà
senso alla Tua esistenza e chiede senso alla mia. Mi appare come
l'estremo tentativo di essere nel quotidiano un uomo che lotta per
sè e così mostra un mondo di umanità, piena e degna di essere tale;
il tentativo di andare contro natura seppur ponendo a fondamento
la propria natura, nella ricerca di un senso che non sia semplicemente
la fine che ci costringe la vita in quanto mortali. E a me questo fa ricordare
i tentativi, le modificazioni di rotta, le avanzate e le ritirate
che decido ma anche sono costretto quotidianamente fare! E mi sollecita
l'interrogativo che mi pongo ad ogni risveglio, riguardo a ciò che
credo possa essere "sensato" per me, i miei figli, la
professione, quanto sia drammaticamente necessario, quanto tragicamente
anacronistico, quanto efficace, quanto socialmente accettato
.. E se è vero che il
personale è politico, allora le persone che ci stanno intorno vadano
conquistate e meritate, così sento che ciò che mi mancherà di più
sarà la Tua capacità di porre al centro delle nostre discussioni
il tentativo di fondare un nuovo mondo, o almeno una nuovo modo
di "mettere al mondo un mondo". Restituendoti le "mie" inadeguatezze,
ti abbraccio. Alberto |
Caro Guido, solo ora ho il coraggio di scriverti questa lettera.
La tua scelta di esilio mi ha colpita e bloccata. Ho cominciato
a scriverti appena l'ho letta ma, continuamente scrivevo e cancellavo,
scrivevo e cancellavo. Ho avuto come paura di dirti di getto tutto
ciò che mi ha suscitato ed ero intenzionata a farlo al convegno
dove però sono riuscita solo a sussurrarti nell'orecchio quando
ti ho baciato: "non sai come mi dispiace" , forse troppo
piano e con il groppo alla gola per essere sentita. Stamattina ho deciso di farlo, senza cancellare
nulla e lasciando che tutto esca, così come mi viene. Ho cercato stupidamente per mesi di convincermi
che il tuo desiderio annunciato di clandestinità ed esilio fosse
una via di fuga dall'Impero solo prospettata intellettualmente e
non praticata. Mi illudevo perché conoscendoti, so che non pratichi
la "politica dell'annuncio". Ciò che pensi e senti l'hai
sempre agito e per me questo è stato un grande insegnamento professionale
e personale di cui ti sono molto grata. Poi è arrivato il libro di Dobre e la tua lettera:
chiara e lapidaria. Avrei dovuto aspettarmelo, essere preparata,
eppure non "c' è più sordo di chi non vuol sentire". Ho
capito che non ero per niente preparata e che mi sono difesa da
qualcosa che non volevo sentirti dire e che non desideravo assolutamente.
Mi fa soffrire Guido questa tua scelta. Il tuo
ritiro lo vivo come una grandissima perdita. Da te ho imparato ad
amare questa professione, da te ho assaporato il piacere per la
ricerca, il sogno, il progetto. La bellezza della libertà e dell'invenzione.
Il piacere di creare, condividere, sperimentare insieme. La potenza
del gruppo. Il fascino della profezia e la tensione al futuro, che
tu hai sempre avuto la capacità ed il coraggio di anticipare con
una sensibilità e lucidità folgoranti. E adesso dopo trent'anni di energia e passione
spesa per questo lavoro e dopo tutto quello che hai seminato, molli
tutto e te ne vai? Certo la "morsa" dell'Impero la sento
anch'io stringente e sempre più soffocante: forse meno di te anche
per la diversa età e la nostra differente storia culturale. Io sono
figlia degli anni ottanta e l'Impero mi ha addomesticata fin da
piccola. Eppure in questo momento di fascismo imperante
(dentro e fuori di noi) continuo ad intravvedere ancora un senso
nella nostra professione. Sento che non tutto è ancora pervaso dal
controllo e dall'omologazione. Non mi sento ancora il secondino
dell'Impero.Ci sono "buchi nella siepe", piccole zone
luminose, anfratti che possono dilatarsi ed espandersi. E' lì che
ancora possiamo lasciare un segno, è lì che è ancora utile e sensato,
secondo me, ciò che facciamo e come lo facciamo. Lavorare ai margini,
nelle pieghe è ancora possibile (Mantova e Carugate dove mi sto
dedicando da alcuni anni ne sono per alcuni aspetti la dimostrazione).
E gli strumenti professionali di cui disponiamo sono ancora oggi
dei potenti dispositivi di cambiamento individuale e gruppale. L'investimento e le energie da mettere sono tante
e spesso gli esiti sono scintille e non falò. Però lasciamo tracce,
segnali che ancora fanno intravvedere le possibilità di generazione
di movimento e cambiamento. Ma non ne sono completamente certa. Non nego che la dose di entusiasmo che avevo all'inizio
si è ridotta notevolemente : i test di realtà , i compromessi, le
porte sbattute in faccia, le angherie dell'Impero mi riportano a
galla spesso la domanda: "che senso ha ciò che stiamo facendo?"
Insieme a te e agli altri colleghi credo non abbiamo affrontato
fino in fondo questo nodo cruciale del nostro lavoro e di come pensiamo
il futuro della nostra professione e delle nostre organizzazioni.
E di questo me ne rammarico. I tuoi scritti e la tua scelta agita mi hanno sbattuto
in faccia il senso di morte e la sonnolenza che aleggia anche tra
noi e per prima in me. E la domanda è in questi giorni diventata
pungente. Mi ha stimolato a riflettere più profondamente
su ciò che sto facendo, come e perché, sui miei sogni e sul se
esiste un sogno di gruppo che ci tiene insieme. Di questo ti sono
grata. E sono felice se di questo insieme a te e agli
altri colleghi iniziamo a discuterne e nei prossimi incontri. Per
ricominciare a sognare il futuro. Forse per risalire bisogna toccare il fondo o,
come dice Gibran "per arrivare all'alba non c'è altra via
che la notte". Ti abbraccio con affetto. Cristina |
Verona, 16 ottobre 2002 Vivere
pienamente, verso l'esterno come verso l'interno, (Etty Hillesum,
Diario) Carissimi/e, sempre
di più trovo quotidiane conferme - nelle attività che la professione
mi porta a condurre qui e là per il "mondo" - a molte
delle cose sulle quali abbiamo detto e dibattuto negli ultimi anni. Da un punto di vista personale, cala la motivazione e non rintraccio senso in molte cose che faccio. Aiuta però e conforta
talvolta l'incontro con alcune persone e, più raramente, gruppi,
con i quali condividere la consapevolezza che il campo delle libertà
e delle possibilità è sempre più ristretto, angusto, al limite della
negazione. Nel giugno 2001, Vi avevo segnalato che spesso dichiariamo di essere diversi (in quanto gruppo, ma anche in quanto individui) e di essere resistenti alle forme sofisticate di manipolazione (adesioni politiche, scambi di favori, adattamento e conservazione di privilegi) che il potere adotta nei confronti di professionisti come noi per comprarne il silenzio o peggio l'asservimento. Oggi rileggendo quelle
pagine, non posso che ribadire con forza quel sentimento: l'estraneità
ai meccanismi fatica ad esprimersi in maniera forte non solo nei
confronti del mondo esterno, ma anche quando entriamo in contatto
tra di noi, per costruire un sentire comune, una strategia condivisa. Mi sembra, inoltre,
che la distanza tra di noi (penso anche a Luca e Antonella) aumenti
invece che diminuire. Ognuno fa un po' per sé, galleggia intorno
ad istanze, prende impegni, rincorre sogni, probabili difese dalla
paura di ammettere che stiamo individualmente cercando di salvarci
l'esistenza, anche noi vittime della "identità a scartamento
ridotto". Se questo è vero riconosciamo
che i nostri sogni professionali sono simulacri e che il "nostro"
Noi esiste, stretto essenzialmente dal legame che si chiama sentimento,
affezione e stima sopra tutti. Vi voglio bene, Alberto |