Devianza, animazione e Centri Giovanili (1984)

SOMMARIO:

1. Devianza
1.1 Devianza in senso ampio
1.2 Devianza in senso più stretto
2. Prevenzione.
3. Animazione socio-culturale
4. Centri Giovanili

 

L’ipotesi di fondo di questa relazione e di questo Convegno è quella che un Ente Locale, attraverso la promozione di Centri Giovanili nei quali si pratichi l’animazione, possa contribuire a prevenire l’aggravarsi di fenomeni di devianza. Tale dichiarazione non è semplice e richiede chiarimenti terminologici.

I. Devianza
Il termine che possiamo considerare il "primum movens" di tutto il discorso è quello di devianza. Se non esistesse un fenomeno come questo e se non si intuisse, anche in piccole e medie cittadine, un trend di sviluppo progressivo dello stesso, non saremmo qui a porci tanti problemi. Invece la devianza c’è e sembra anzi in progresso. Tale termine esige chiarimenti perché una sua interpretazione "larga" porta a conseguenze operative assai diverse rispetto ad una sua concezione "stretta". Non c’è dubbio che la parola devianza richiama un dirottamento ed una trasgressione, lo spostamento dalla via centrale. Essa implica una devianza:ma da che?
1.1 Devianza in senso ampio
E' ovvio che il concetto di devianza implica l’identificazione di un centro, di una "strada maestra" da percorrere. Se per centro si stabilisce il complesso culturale ed economico della società occidentale post-industriale, ne di scende che tutto ciò che non vi si sovrappone funzionalmente, viene concepito come devianza. Ecco la interpretazione "larga" del fenomeno deviante. La "diversità" intesa come ipotesi parallela o tangente al centro (come, per esempio, la omosessualità, le culture giovanili, le minoranze etniche) viene assimilata alla devianza tout court. La"divergenza" intesa come ipotesi alternativa al sistema vigente, come le controculture conflittuali (rifiuto del lavoro, obiezione di coscienza, attivismo pacifista, autonomie e separatismi diversi), viene essa pure identificata con la devianza. Insomma tutto ciò che non è omologato, nella norma e nella moda, conformistico, sottomesso e inglobabile, viene considerato deviante. Partendo da una tale concezione è naturale che il ruolo delle iniziative culturali degli Enti Locali sia quello della "cattura del consenso", dell’addomesticamento, della repressione attuata mediante raffinati metodi di emarginazione e isolamento. Occorre sottolineare con forza che respingiamo questa concezione della devianza e del ruolo dell’Ente Locale.
1.2 Devianza in senso più ristretto

Se riduciamo il cosiddetto"centro" ai valori essenziali ed irrinunciabili, possiamo arrivare a ridurre anche l’area della devianza, nei limiti veramente necessari. Mettendo al "centro" l’uomo, ogni singolo soggetto vivente, e la vita intesa come processo e flusso di energia, possiamo giungere a concepire come non solo ineliminabili, ma addirittura necessarie, sia la "diversità" che la "divergenza". Allora il sistema vigente, le ipotesi parallele ma diverse, e quelle conflittuali e divergenti, diventano tre forze plausibili e indispensabili, che dialetticamente determinano la "strada maestra" della Storia. Allora la devianza si riduce a quei fenomeni che sono contro l’uomo e la vita: di distruttività auto o eterodiretta. In questa concezione è deviante il violento, il tossicodipendente, il suicida; ma lo sono anche l’inquinatore, il bracconiere, il lottizzatore, l’abusivista edilizio, il razzista ed il sessista. E’ devianza insomma ogni comportamento distruttivo, diretto verso sé o verso gli altri. Occorre ora chiedersi dove tragga origine questa devianza-distruttività. Secondo uno schema psicoanalitico, la distruttività è una dimensione radicata nell’uomo (Freud la attribuisce all’istinto di morte), che tuttavia emerge e si esprime quando il soggetto non riesce a "gestire l’ambivalenza", cioè non riesce a sopportare la compresenza di bene e male, buono e cattivo, dentro e fuori di sé. Vengono investiti di distruttività gli oggetti che sono percepiti come cattivi o senza valore. Secondo uno schema psicologico e psicosociale, la distruttività consegue all’estraneità e alla non-appartenenza. Si distruggono gli oggetti "alieni", e si diventa distruttivi quando ci si sente estranei e disappartenenti. La sociologia attribuisce la distruttività alla mancata socializzazione, cioè alla mancata acquisizione della capacità di usare canali di comunicazione relazionali ed accettabili dal contesto; oppure ancora alla dipendenza conformistica verso sub-culture dissociali. Riassumendo. Abbiamo definito la devianza come un fenomeno riducibile ai comportamenti distruttivi contro l’uomo e la vita, escludendo di comprendere in questo termine sia i comportamenti "diversi" sia quelli "divergenti".Abbiamo poi identificato come fonti causali della distruttività: la incapacità a gestire l’ambivalenza, il senso di estraneità e di non appartenenza, la scarsa socializzazione e la dipendenza da sub-culture distruttive.

2. Prevenzione
Il secondo termine da chiarire, nella nostra affermazione iniziale, è quello di prevenzione. Dietro questa parola si nasconde sempre il rischio di progetti onnipotenti, la cui irrealizzabilità è tale da vanificare ogni significato concreto. Il problema per noi non è affatto quello di annullare ogni insorgenza distruttiva. Probabilmente una simile opera di bonifica planetaria è solo un sogno infantile. Se sono vere le ipotesi freudiane, accreditate peraltro dalla tradizione cattolica, la distruttività è una componente ineliminabile della specie umana. Ciò che può essere oggetto di un’azione sociale, promossa dall’Ente locale, è la esplosione esorbitante di fenomeni distruttivi, e specialmente quella esplosione indotta, facilitata o accelerata dal sistema di convivenza attuale. Prevenire non significa dunque far sparire la distruttività "fisiologica", bensì ridurre le condizioni che facilitano l’emergenza di una distruttività "aggiuntiva". Naturalmente non esiste un confine predefinito, oltre il quale possiamo parlare di distruttività eccedente: è un problema di sensibilità e di solidarietà. E’ un fatto però che in molte città italiane, oggi, la violenza fra bande giovanili, la tossicodipendenza, la prostituzione giovanile, le violenze sessuali di gruppo, stanno mostrando trends che non lasciano insensibile la pubblica opinione. Il fatto che recentemente un membro del Governo abbia parlato della esistenza di circa 50.000 spacciatori di eroina, facendo così pensare a circa un milione di tossicodipendenti, non può non far intuire che siamo ben oltre il grado di auto-distruttività fisiologica. Nè si può trascurare l’ipotesi che questa distruttività abbia uno stretto nesso con le condizioni ambientali, sociali e psicologiche dell’attuale modo di vivere."Prevenire l’aggravarsi di fenomeni di devianza" significa dunque operare affinché vengano a ridursi le precondizioni socio-ambientali, che sembrano essere terreno di coltura di fenomeni distruttivi in progressione geometrica. Non possiamo affermare che esista un nesso causale fra attuale sistema di vita e sviluppo della distruttività; tuttavia non possiamo negare che i programmi, i servizi, gli spazi, gli operatori destinati a ridurre l’esplosione di questo fenomeno, siano chiaramente insufficienti. Non è consentito certo attribuire alla scuola italiana, per esempio, ogni responsabilità circa la diffusione del fenomeno droga, ma nemmeno possiamo affermare che l’impegno educativo globale e le strategie di recupero dei soggetti a rischio comportamentale, siano sufficienti per quantità e qualità. E’ difficile dimostrare che la devianza giovanile dipende dalla carenza di servizi sociali, culturali e ricreativi sul territorio; ma è altresì indiscutibile che poche Amministrazioni comunali possono affermare di avere fatto il massimo per diminuire queste carenze. Prevenire significa dunque fare sforzi programmati per migliorare i servizi sociali urbani, rendere più finalizzato il lavoro delle istituzioni, ricucire il tessuto comunitario del quartiere. Nel senso descritto possiamo dire che prevenire significa lavorare per una "migliore qualità della vita": non come slogan utopico e generico, ma come progetto migliorativo (verso i bisogni reali dei giovani) delle istituzioni, dei servizi, dei programmi degli Enti locali.

3. Animazione socio-culturale
La prevenzione della devianza, nei termini che abbiamo descritto, può trovare una risposta in Centri Giovanili, nei quali sia praticata un’azione di animazione socio-culturale. Anche questa parte centrale della nostra tesi richiede una spiegazione. La attuazione, da parte degli Enti locali, di strutture di aggregazione e per il tempo libero, è certamente una risposta assai più seria delle "esplosioni effimere", al problema della devianza. Tuttavia, non solo è ovvio teoricamente ma è anche assodato dall’esperienza (Torino docet) che gli spazi e le strutture non costituiscono di per sé un intervento: tutt’al più sono una precondizione. Non c’è niente che possa far pensare che dei giovani con valori fragili o in crisi, con difficoltà di socializzazione e di autonomia, immersi in ansietà generazionali
aggravate da quelle socio-lavorative, riducano il loro potenziale di devianza per il solo fatto di riunirsi sotto un tetto "comunale". Ben presto, lo si è visto bene a Torino, lo spazio pubblico diventa "privato" (cioè viene sottratto alla collettività da parte di un gruppo "forte"), ed in esso si esprimono comportamenti analoghi a quelli che si vedono nei bar o per le strade. Questo avviene quando la struttura viene frequentata dalle frange più marginali. Quando invece la struttura viene fruita da gruppi più integrati, essa diventa uno spazio concorrenziale alle decine di altri spazi canonici già disponibili (club fotografico, circolo Arci o Acli, gruppo sportivo, ecc.).Gli spazi e le strutture devono essere riempiti di progetti e risorse umane:l’animazione e gli animatori. In alcuni casi gli spazi sono stati riempiti di contenuti, di proposte chiuse, di ipotesi culturali preconfezionate, e questi sono i casi in cui è prevalsa una visione totalitaria e consensuale dell’Ente locale. Allora qui l’ipotesi di fondo non è quella rispettosa dell’uomo e della vita nella sua diversità ed anche nelle sue manifestazioni divergenti. Ma si tratta di un’ipotesi di omologazione al sistema culturale, politico e partitico dominante nella comunità. Riempire gli spazi e le strutture di animazione e animatori significa optare per una ipotesi aperta, di contenitore stimolante, di progetto in divenire; dove il bersaglio finale sono l’uomo e la vita nelle loro manifestazioni integrate, differenti o divergenti. Scendendo più nello specifico vediamo in che senso l’animazione può essere lo strumento principale per la prevenzione della devianza. L’animazione è un segmento del processo educativo. Possiamo considerarla lo stadio iniziale, il momento d’innesco di un processo di crescita e maturazione. Essa si propone di far emergere il potenziale (represso, rimosso o latente) dei singoli e delle comunità; di portare a coscienza i bisogni reali; di collegare le istanze separate e lacerate; di favorire un processo continuo di riflessione; di sviluppare l’originalità creativa del soggetto singolo e dei gruppi. Da questo elenco appare chiaro come l’animazione sia per sua natura uno strumento indispensabile per la prevenzione dei fenomeni di devianza distruttiva, la cui origine è stata sopra descritta. L’animazione è un insieme di attività tese a lasciar emergere il "plurale" che esiste dentro ciascuno ed intorno a ciascuno: essa è dunque un’ottima leva per aumentare negli utenti la capacità di gestire l’ambivalenza. L’animazione e un azione tesa a facilitare le "connessioni" dentro i soggetti e fra essi:prendere contatto col proprio mondo interno, fatto di bisogni e sentimenti, è un processo che per l’animazione va assieme al prendere contatto col mondo esterno mediante l’apertura di relazioni di scambio. In tal senso esso è un’azione contro l’estraneità e la disappartenenza. Infine l’animazione è un’ azione tesa a stimolare la socialità a livelli sempre più allargati: dalla coppia al gruppo amicale, alla comunità, alla società. Territorio dell’animazione è dunque lo sviluppo delle capacità di interazione e scambio> comunicazione e apertura. Ecco perché l’animazione è un antidoto contro l’uso di canali dissociali e contro l’appartenenza conformistica a sub-culture chiuse. Intesa in questo modo l’animazione si può sviluppare nelle istituzioni (come la scuola), nel territorio pubblico (centri giovanili) e nel territorio privato sociale (associazioni e gruppi). La esistenza di Centri Giovanili è certamente una precondizione facilitante.

4. Centri Giovanili
Abbiamo già detto che le strutture non bastano. Occorre che siano "piene" di animazione e animatori. Vediamo meglio cosa significa. Anzitutto occorre abbandonare l’idea che l’Ente locale debba fornire servizi, e basta. L’ipotesi di un territorio rifornito di servizi ai quali i cittadini accedono per scelta, è utopica o decisamente funzionale allo status quo. E utopica se si pensa che a questi servizi accederanno i gruppi più marginali e sottoprivilegiati: caratteristica di questi gruppi è sia la scarsa consapevolezza dei propri bisogni, sia la tendenza a trovare risposte extra e contro istituzionali (a volte appunto "devianti"). Funzionale, cioè conservatrice, se l’ipotesi è che gli utenti siano i giovani integrati, sensibili ai propri bisogni, capaci di scegliere e orientati a offerte istituzionali e organizzate. Se si vuole davvero operare nella prevenzione della devianza, i gruppi da individuare come utenti principali sono i gruppi "a rischio": i cosiddetti "brutti, sporchi e cattivi".Ha poco senso impiantare Centri Giovanili per offrire un ulteriore servizio o spazio ad un’utenza che fruisce o può fruire di numerose altre occasioni. I giovani cosiddetti "per bene" si aggregano già da soli, hanno gli strumenti per decidere da soli se rifiutare la devianza distruttiva. I Centri Giovanili di un Ente locale devono dunque offrire "progetti finalizzati". Cioè devono proporsi interventi mirati e verificabili, atti a ridurre trends di rischio in quei gruppi di utenti che sono più vulnerabili. Per esempio, se in un quartiere si scopre una correlazione fra espansione dei consumi della droga e fallimenti scolastici, il Centro Giovanile deve approntare un piano poliennale di animazione per giovani della Scuola dell’obbligo, ovviamente di concerto con l’autorità scolastica. Se in un altro quartiere si constatano conflitti fra bande giovanili, aggregate per sub-culture antagoniste, il Centro Giovanile progetterà un intervento di riaggregazione su eventi culturali aperti (non "rock" contro "dandies" ma tutti insieme a fare nuova musica).Il progetto aperto promosso dai Centri Giovanili dovrà rivolgersi sia al "sociale emergente" sia al "sociale organizzato": gruppi spontanei e "cani sciolti", come associazioni storiche e nuove, circoli, cooperative giovanili. Il progetto deve poi disporre di una metodologia verificabile. Un Centro è un investimento, sociale, umano ed economico. Non è accettabile lo sperpero di risorse tanto importanti senza che vi sia un programma ed una verifica del grado di raggiungimento degli obiettivi. Naturalmente l’efficacia di un Centro non si valuta dal grado di abbattimento dei fenomeni di devianza distruttiva; ma esiste la possibilità di trovare indici abbastanza attendibili. Per esempio, un indice affidabile è il numero di gruppi autonomi che si sono costituiti in seguito all’azione del Centro. Un altro indice è la diminuzione di fallimenti scolastici. Un altro ancora è il tasso di vendita o prestito degli strumenti di lettura: libri, riviste, giornali. Un altro è la diffusione di linguaggi espressivi non verbali: quanti giovani riescono a produrre musica, immagini, teatro? O la diffusione di pratiche sportive non competitive. Insomma l’indice principale è il numero di giovani che passano da una situazione passiva, consumistica, emarginata ad una situazione attiva e produttiva nel settore sociale e culturale. Questo passaggio, a prescindere dai contenuti, è il principale vettore di comportamenti non devianti e distruttivi. Dopo il progetto e il programma verificabile, c’è il problema delle persone. Non esiste spiegazione alcuna per il fatto che ci siano concorsi durissimi per diventare archivista, insegnante, usciere, mentre per diventare animatore socioculturale sia richiesta solo buona volontà. Né è accettabile che gli Enti locali non battano ciglio per mettere a regime lavorativo contrattuale numerose figure professionali, mentre per gli operatori dell’emarginazione e della devianza non esiste nemmeno lo spettro di un contratto. Il problema dell’emarginazione e della devianza è grave ora, e lo è ancor più in prospettiva. Un Ente locale serio non può protrarre il tempo delle sperimentazioni oltre limiti ragionevoli. Terminati questi, deve dotare i Centri Giovanili di persone contrattualmente garantite e dignitosamente retribuite. Non importa la formula: cooperativa, contratto professionale o dipendente. Ciò che conta è il tempo pieno con una retribuzione piena. D’altro canto gli operatori non possono offrire in cambio dello stipendio, solo la buona volontà. Esiste un problema di qualificazione professionale,che gli operatori devono garantire. Ma dove acquistare questa preparazione? Ancora una volta si tratta di un problema di pianificazione degli Enti locali, più o meno consorziati, che devono approntare apposite occasioni formative stabili, per figure professionali destinate ad aumentare di importanza di pari passo con l’inevitabile degrado sociale dei prossimi decenni.

*Estratto da QUADERNI DI ANIMAZIONE SOCIALE- ANIMAZIONE, PREVENZIONE, VOLONTARIATO , PROTEZIONE CIVILE, ISAMEPS, Milano, 1984, pag. 35-42