CENTRI DI INFORMAZIONE E PREVENZIONE di Guido Contessa*
Innanzi
tutto vorrei ringraziare la città di Forlì per avermi invitato
ma soprattutto
per un altro motivo. Da 3-4 anni la città di Forlì mi sembra
un interessante laboratorio politico-sociale e quindi la vorrei ringraziare
a titolo personale, ma anche forse a nome di altri colleghi,ricercatori,
perché è una città in cui alcune idee che sembrano
irrealizzabili, cercano di essere concretizzate. Io parlerò non tanto
dei giovani,quanto dei problemi dell'informazione. Naturalmente i discorsi
che cercherò di fare sono poi traducibili per fa sottocategoria giovanile,
anche se forse il problema dell'informazione, de! vivere in un contesto
urbano,e del vivere alla soglia del terzo millennio, sono problemi che toccano
tutti in egual misura: forse siamo tutti giovani, di fronte alle novità
che ci stanno venendo incontro. Mi sono domandato, da quando ho ricevuto
questo invito a Forlì, i perché psicologici, i perché
sociali, i perché
storici, del fatto che oggi ci stiamo ponendo questo problema dell'informazione
e ce lo stiamo ponendo in questo modo: facendo sorgere dei
centri di raccolta, trattamento, distribuzione dell'informazione. E quindi
ho cercato di trovare qualche risposta a questo quesito in chiave
teorica, È un
tentativo, e mi piacerebbe che alla fine qualcuno reagisse.
Il primo concetto è
il concetto di unità che mi sembra importante.
Per seguire lo stimolo di stamattina di Montanari sulle metafore, io
porterei la metafora
della città o del territorio come corpo. Le strade
possono essere viste come arterie, il mercato come intestino, la fortezza
come braccio armato,
la chiesa come luogo dell'anima, la piazza come
cervello e parola, la biblioteca e il museo come memoria.
In fondo la polis greca, l'urbe, la città-castello medievale, la
città
rinascimentale hanno sempre avuto il carattere dell'unità, un'unità
che si correlava
a una gerarchia precisa di valori, al punto che i valori difformi,
cioè diversi,
venivano espunti con la violenza. Tutta la storia del mondo
occidentale è costellata di ostracismi, di persecuzioni, di progrom,
di inquisizioni,
di caccia alle streghe, di scissioni, di autonomismi, di corporazioni,
in modo tale che le città o i territori si omologassero intorno a
una gerarchia di valori
e tutti i valori diversi fossero relegati in città
vicine o in territori limitrofi, distinguendo ciascun territorio in base
a una detta gerarchia di valori. Ricordiamo le città guelfe e le
città ghibelline; i quartieri-ghetto per gli ebrei; le regioni per
gli Ugonotti; le strade e le piazze riservate alle corporazioni artigiane.
Le città e i territori sono sempre stati luoghi di unità ad
ogni costo e la violenza uno dei sistemi per differenziare le unità:
coloro che non erano nella logica della gerarchia dei valori esistenti in
un contesto territoriale venivano invitati, più o meno violentemente,
a collegarsi ad un altro territorio urbano o territoriale.
L'epoca moderna è caratterizzata da quel fenomeno che chiamiamo
"capitalismo industriale"
o "industrialesimo", connotato da una forte
divisione o frammentazione. Mi pare che tutta la modernità sia caratterizzata
da un fenomeno di successive frazioni, segmentazioni, divisioni. Tutta la
questione industriale del taylorismo e quindi l'accelerazione del
sistema industriale
si è fondata su un processo di divisione e di differenziazione
del lavoro, che si è poi spostata a livello territoriale in differenziazione
sociale.
Non è casuale
che oggi scontiamo una grossa difficoltà nel metter
d'accordo due Assessorati, anche se entrambi di competenza sociale:
questa è una
conseguenza abbastanza coerente con il sistema della specializzazione,
e della frammentazione, indotto dall'accelerazione della
produttività industriale.
La prima ipotesi che
emerse storicamente come contraltare a questo
processo di segmentazione è stata un'ipotesi totalitaria culminata
con i regimi
autoritari degli anni Trenta-Quaranta. Questa ipotesi e tallita,
almeno apparentemente
in Europa finora, ed è emersa la democrazia
come strumento politico per tenere insieme le differenze, per tentare di
collegare in un unicum
unitario dò che era stato segmentato e frammentato,
cioè specializzato.
In altre parole il processo
è questo, a grandissime linee: il sistema di
produzione industriale spinge al massimo la parcellizzazione; dall'altro
canto la parcellizzazione
spinta al massimo può offrire due tipi di pencoli:
da una parte una sorta di anarchismo barbarico medievale, con le
corporazioni, le strade
intestate ai gruppi e ai ceti, le città fortificate;
l'alternativa opposta di fronte alla parcellizzazione della produzione,
quindi dei consumi,
è il totalitarismo di tipo prebellico. La terza strada
che stiamo tentando è quella di un discorso che chiamiamo "democratico"
(e che poi vedremo come si connota).
Resta il fatto che attraverso
questo processo di frammentazione
progressiva, la città (per città intendo anche il territorio)
ha perso progressivamente
la sua unità configurandosi più come un arcipelago. La
sua identità
si annebbia, si frammenta fino a diventare, per usare un
termine psicologico che mi passerete, schizofrenica o psicotica. Il carattere
della schizofrenia o della psicosi è l'idea di un corpo frantumato
in pezzetti.
Ecco, in qualche misura il territorio attuale può essere definito
come psicotico nel senso
di essere frammentato, spaccato, separato,
suddiviso, parcellizzato. Ogni classe, ogni ceto, ogni gruppo, ogni sotto-
gruppo si intaglia il
suo territorio nel territorio, i percorsi si spezzettano
e si atomizzano a cavallo fra la polis, luogo di lavoro e dì politica,
e il tempo libero
extra moenia, fuori città, il dentro e fiori città,
il dentro una zona e fuori unaltra. Le differenze non sono in conflitto,
se non nei casi estremi come quelli della delinquenza e del terrorismo,
ma nemmeno convivono. Esse vivono in mondi paralleli, non sono integrate.
Le differenze esistono in parallelismi estranei; percorsi che si sfiorano
appena, al punto che questa psicosi territoriale, questa scissione, questa
schizofrenia sembra metafora della schizofrenia individuale e viceversa.
Così come il corpo urbano, il corpo territoriale spaccato e psicotico,
spesso gli individui si sentono spaccati e psicotici, si sentono divisi,
separati, segmentati.
Tutto questo sta assumendo un trend, uno sviluppo diverso; cioè
sta cambiando. Gli anni Settanta, cioè il decennio appena trascorso,
hanno visto, sia da sinistra che da destra, gli ultimi tentativi di ricostruire,
in maniera totalitaria, la parcellizzazione industriale. Fenomeni di tipo
golpistico o brigatistico possono essere interpretati come tentativi nostalgici
di ricostruire lunità, resa impossibile dal processo di articolazione
del mondo produttivo. Daltro canto lepoca attuale degli anni
Ottanta non può continuare a sopravvivere in una logica di estrema
frammentazione. Da una parte ha la necessità della parcellizzazione,
perché questa è la base del sistema di produzione industriale,
dallaltra ha la necessità di uscire dalla parcellizzazione
per evitare il doppio corno della caduta nella barbarie medioevale o nel
totalitarismo.
Lepoca del computer esige il ricorso a una qualche forma di unità:
basti pensare che i collegamenti di computer richiedono cavi e logiche simili.
Si chiama compatibilità e la compatibilità non è altro
che un codice linguistico di tipo unitario. Non certo ununità
totalitaria aggregata attorno a una scala di valori preconfezionata (ipotesi
peraltro non sconfitta ma sempre in agguato e possibile); né ununità
di tipo omogeneo come quella medioevale o protoindustriale; né ununità
di tipo corporativo perché questa renderebbe troppo piccolo il mercato
di espansione della produzione; ma ununità fondata sulla democrazia
delle differenze, una democrazia confederale basata sulle connessioni fra
i sistemi che si integrano attraverso scambi di bit, cioè
scambi di impulsi energetici.
Lepoca post-industriale, che è quella che stiamo iniziando,
si basa su unipotesi di arcipelago cablato, cioè interconnesso,
il cui simbolo può essere il lavoro domestico collegato mediante
rete di computer. Loperatore può stare separato, nel campo
del lavoro domestico cablato, cioè può essere differente,
purchè sia connesso, purchè sia collegato.
Dunque i nuovi servizi territoriali non sono più luoghi di unità,
cioè dei centri dove tutti vanno a fare sport, una scuola dove tutti
studiano, una fabbrica dove tutti lavorano. Così come i nuovi i prodotti
non sono più di massa, uguali per tutti, ma esiste una segmentazione
per target, una flessibilità, unarticolazione, unadattabilità,
una mutabilità, una differenziazione, una sincresi provvisoria e
una ricombinazione permanente che caratterizza lepoca della terza
rivoluzione industriale. Questi caratteri consentono la massima differenziazione
insieme alla massima unità e ciò rende possibile questa sintesi
fra massima differenziazione e massima unità è la tecnologia
dell'informazione.
I nuovi servizi territoriali sono dunque luoghi di passaggio di informazioni.
Il territorio diventa come una specie di mosaico di chips, cioè di
unità di computer e il territorio diventa un grande computer attraversato
da informazioni; ma un computer della quinta generazione, cioè capace
di autoinnovarsi autonomamente. La città dei servizi è soprattutto
una città dei servizi informativi che consente alle sue cellule di
essere collegato e di mutare in continuazione. Più informazione significa
più potere, più potere significa più controllo, ma
anche più possibilità. La parola potere sottintende sia il
controllo sia la possibilità, cioè il potenziale, tant'è
vero che un computer che tratta molte informazioni si dice che è
più capace.
Lo scordo di questo secondo millennio sarà caratterizzato dal modo
con cui vengono raccolte e distribuite le informazioni. Se si sceglie il
modo di tipo accentrato-elitario si opta per una precisa strategia politica;
se si sceglie un modo di tipo decentrato, non solo nella fruizione ma anche
nella produzione, si opta per una precisa strategia democratica. In questa
unità nuova che è semplicemente interconnessa, le strade perdono
gradualmente la funzione di arteria perché è sempre meno necessario
spostare i corpi: le arterie diventano arterie telematiche. Telefono, sistemi
di telematica, fotocopiatura a distanza, merci scambiate per posta: il mercato
è sempre meno un luogo dove si va ed è sempre di più
un processo informativo. La Borsa è un esempio eclatante della simbolizzazione
del mercato. La sicurezza che prima veniva definita dal braccio armato oggi
è garantita sempre di più dai sistemi informativi: allarmi,
cercapersone, salvavita, sistemi radar, ombrello spaziale, cioè sistemi
di trasmissione di unità informative. Alle parole "faccia a
faccia" vengono a sostituirsi onde radio, telefoni, giornali di carta
e video-immagini, l'istruzione stessa si programma e si distribuisce per
posta. Il governo della città si appresta ad assumere funzioni di
smistamento e trattamento delle informazioni. Invece che produttore di beni
e servizi, il governo della città tende a fornire informazioni, connessioni
e binari strategici.
Scelte che sono di tipo hardware, cioè strutturali, diventeranno
sempre meno accettabili perché in contrasto con le esigenze di flessibilità
e diversificazione della società postmoderna. Ciò non significa
che siccome l'hardware
non è la soluzione del postmoderno, la soluzione sia
l'effimero; bensì le informazioni, le connessioni, le strategie.
Il Centro di Informazione
per Ì giovani, così come è presentato qua, a me sembra
un servizio nell'ottica
che ho definito postmoderna. Esso raccoglie e distribuisce
le informazioni, favorisce le connessioni, stimola l'integrazione,
anche transitoria, di diversità, come un ganglio. Qualcuno ha parlato
di semaforo, io
potrei parlare di sinapsi neuronali cioè di collegamenti, di
spazi di interconnessione. Tuttavia, la raccolta e la distribuzione delle
informazioni non sono compiti neutrali o apolitici, rispondono anche a
scelte precise. Una overdose di informazioni è infatti un pericolo:
il computer si
blocca, il corpo territoriale smarrisce il filo per evitare la
psicosi, cioè si frammenta di nuovo. II Centro di Informazione va
dunque "animato"
secondo precise strategie e facendo un particolare uso dell'informazione
che adesso cercherò di esemplificare in sintesi.
Esiste un modo
di usare l'informazione per sensibilizzare. L'informazione
non è una semplice trasmissione di nozioni: può esserlo, ma
questo è l'uso povero dell'informazione. In realtà, volenti
o nolenti, informare significa quasi sempre sensibilizzare e allora vale
la pena che un Centro di Informazione urbano acquisisca in maniera esplicita
e consapevole questa funzione di informazione come attività di sensibilizzazione.
Per esempio: avviando quello che noi chiamiamo un osservatorio permanente
del benessere urbano o territoriale. Cos'è l'osservatorio del benessere?
Un Centro di Informazione potrebbe creare un grande pannello luminoso da
mettere in piazza, dove fosse riprodotto su una scala con tabelle a doppia
entrata un grande "termometro sociale" luminoso (magari fluorescente,
così anche di notte chi vuole passare vede);sull'ascissa o sull'ordinata
si potrebbero mettere una decina di indicatori sociali urbani o territoriali,
ritenuti importanti per il benessere della vita in una città. Per
esempio: numero di tossicodipendenti deceduti, oppure incremento del reddito
urbano, oppure numero dei libri venduti e così via. Così si
darebbero alla popolazione, in tempo reale, permanentemente, su un grande
pannello luminoso, le informazioni relative all'andamento di tutte queste
variabili ritenute significative. Questo non è solo dare informazione,
ma è creare shock sensibilizzativi, perché tutti i giorni
noi sapremo quanto sta aumentando una variabile che è importante
per la nostra città, vedendola su un tabellone luminoso che viene
aggiornato tutti i giorni.
C'è poi un secondo uso possibile dell'informazione: l'informazione
usata per valutare
o giudicare. Sono bugie che noi siamo capaci di dare e ricevere informazioni
asettiche; dentro a ogni informazione c'è sempre un valore positivo
o negativo. Quando si dice che sono morte venti persone in un incidente
stradale non diciamo mai questa cosa in maniera asettica; lo diciamo come
se la cosa non ci piacesse e di solito non ci piace. Allora perché
non usare l'informazione per dare ai giovani, ma non solo ai giovani, dei
sistemi di valutazione dei servizi sociali e urbani?Perché non spiegare
ai giovani come stanno funzionando le scuole a Forlì? Quanti soldi
spende un Assessorato di Forlì? Perché non informare i cittadini
sulla efficacia di un servizio socio-sanitario? Offrendo tutti gli elementi
di valutazione e di giudizio sui servizi sociali.
Una terza funzione dell'informazione è la funzione dell'orientamento
Io credo che dare ai giovani un'informazione sulle 106 mila possibilità
che hanno di passare le vacanze, equivale a non dir loro niente. Occorre
che il Centro faccia delle scelte e che dica che fra le 106 mila occasioni
di vacanza, che pure sono disponibili, ce ne sono 25 che per i loro caratteri
vengono consigliate come più interessanti, secondo certi criteri
ovviamente dichiarati. Quindi dando all'informazione un ruolo di stimolazione
del potenziale, del possibile, dando cioè all'informazione il potere
che ha, in maniera esplicita. Per esempio non dicendo soltanto che ci sono
20 associazioni a cui ci si può iscrivere, ma dando per ciascuna
una descrizione delle cose che può offrire già oggi e che
può offrire in futuro; dando ai giovani, o comunque agli utenti,
delle informazioni sull'analisi del loro proprio potenziale che può
essere sviluppato attraverso un'attività di couseling.
C'è poi una quarta funzione dell'informazione che io chiamo attivazione
dei contatti. Una volta si chiamava "pubbliche relazioni"; il
nome è un po' scaduto nella terminologia corrente, ma è la
stessa cosa. cioè andando degli indirizzi, ma stimolando la possibilità
che i giovani hanno di effettuare effettivi incontri fra persone, fra organismi,
fra gruppi. In questo caso l'informazione assume una finalità che
è la connessione. Il mettere in contatto e il far scoccare scintille
e non soltanto in termini formali: ti puoi iscrivere al circolo sportivo
o al partito x o al gruppo musicale; ma anche connessioni di carattere informale
di tipo amicale. Dieci persone stanno organizzando una gita per andare a
raccogliere i funghi: se vuoi ti puoi aggregare e ti presenti al pullman
che si incontra qua davanti. Ultima funzione possibile è la funzione
dell'informazione come aggregazione. In questo caso si tratta di attivare
non solo contatti ma aggregazioni stabili strutturali.
Questo è un lavoro importante che abbiamo già fatto a Forlì
con quel tentativo
chiamato progetto Fotoss. Il tentativo dì dare informazioni su ciò
che un ente fa e un altro fa; trovare insieme occasioni di combinazione,
di sinergia, di cooperazione, non episodica ma progettuale e stabile; cambiare
il panorama di un comparto della convivenza civile. In sostanza il Centro
di Informazione per essere efficace deve essere coraggioso e, perché
no, anche un po' polemico. Quindi consiglio agli amici di Forlì di
non temere di dare un po' di scandalo, ma di usare il Centro e l'informazione
come qualche cosa che veramente sia un ago di bilancia nella città.
Chiudo il discorso dicendo che tutto questo risulta essere molto legato
alle parole e tra il dire e il fare c'è di mezzo la gestione, che
è un tema a me molto caro. In Italia siamo abituati ad avere una
miriade di stupendi progetti, ma abbiamo una grandissima debolezza in quelle
che io chiamo le strategie transizionali. Cioè i passaggi (gradino
per gradino) di tipo organizzativo, gestionale, attraverso i quali occorre
passare per tradurre in realtà un'utopia. Come prima cosa direi che
occorre porre molta attenzione ai problemi di marketing. Esiste un problema
di vendere un'idea anche nel sociale, così come esiste il problema
di vendere un prodotto nel campo aziendale. Troppo spesso abbiamo visto
in questi anni i consultori delle Unità Sanitarie Locali deserti
per il fatto che sapevano della loro assistenza solamente i creatori dei
consultori! Quindi occorre che i Centri Informazione diano moltissima attenzione
al modo per informare la gente su se stessi (che è quello che possiamo
chiamare il marketing sociale), inventando nuovi strumenti. Mi pare che
la grafica di Forlì sia sensibilmente sopra la media nazionale, però
forse non è
sufficiente. Occorre fare degli sforzi di creatività per inventare
strumenti di marketing che portino l'informazione del servizio, direi
quasi porta a porta alla gente.
Secondo problema è quello del management o della gestione aziendale.
Un centro giovanile è un centro di produzione di servizi, è
una piccola azienda pubblica. Molto spesso abbiamo visto in questi anni
grandi idee naufragate per il fatto che nessuno sapeva poi guidarle, gestirle,
e non possiamo nasconderei il fatto che gestire un Centro Informazioni è
una cosa difficile. Non è come gestire un ambulatorio infermieristico,
per il quale abbiamo cent'anni di esperienza alle spalle. Gestire un Centro
Informazioni richiede avere un management e (terza cosa) un personale continuamente
aggiornalo, molto preparato e molto capace di interpretare il ruolo di questo
servizio in funzione aggressiva verso la città. Dove per aggressivo
intendo capace di essere effettivamente utile, non passivizzato dalla filosofa
della "porta aperta" ("siamo qua, se volete venire venite"),
I discorsi di questa mattina di Montanari sono perfetti sul piano teorico,
ma non possiamo aspettarci che la città si sensibilizzi da sé.
Purtroppo, questo è il destino, il sacrificio degli innovatori: quelli
che innovano devono convincere anche tutti gli altri a seguirli Voglio dire
che il discorso del Centro Informazioni come baricentro di una città
che segue un percorso unitario non può essere solamente una attesa
messianica.
Il Centro, fra le altre cose, deve informare su di sé, occupandosi
per prima cosa che le istituzioni urbane si sensibilizzino alla sua esistenza
e alla sua funzione. In conclusione direi che condivido i molti discorsi
fatti stamattina sulla necessità di collegare questi sistemi a livelli
più ampi di quelli urbani, per un motivo molto semplice: credo che
la dimensione delle nuove generazioni non sia più una dimensione
localistica, paesana,da campanile, e che l'idea di collegarsi a un servizio
che sta a 50 chilometri non spaventa nessuno. Direi che ormai il mercato
immaginario dell'utenza giovanile è un mercato come minimo provinciale
e regionale,per cui non è impossibile offrire a un giovane di Forlì
l'informazione e l'orientamento per seguire un corso a Bologna piuttosto
che una mostra a Rimini. Questo ovviamente implica una dimensione sovracomunale
e quindi implica l'ipotesi di collegamenti di rete.
* Estratto da POLITICHE GIOVANILI, ENTI LOCALI E SISTEMI FORMATIVI, a cura di Montanari e Frabboni, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1987, pag. 171-177