Le persone non interessano più
Psicologia del lavoro nell'evo immateriale

Nell'Era dell'Occidente vittorioso e dello sviluppo dell'idea europea, dobbiamo constatare una tragica verità: le persone non interessano più. Anzi, sono un fastidioso ostacolo alla soluzione della crisi economica.
I bambini vengono stritolati da città per loro invivibili. I giovani sono relegati nel limbo di Fonzie fino ai 35 anni. Gli anziani vengono rinchiusi nei lager. I malati cronici gravi e le loro famiglie sono lasciati al destino delle apparizioni televisive, di protesta o di raccolta fondi. Tutti gli utenti delle buro-corporazioni (grandi imprese ed enti pubblici) sono trattati come servi, vessati, ignorati, maltrattati, spennati.

Naturalmente, se certe categorie di soggetti non interessano, poco interessano le organizzazioni e gli operatori che se ne occupano. Il servizi educativi e gli spazi ludici per i i minori sono delegati alla Chiesa o ai simil-Gardaland. Le scuole e le università sono l'ultima preoccupazione della politica e dell'opinione pubblica, che si allarma solo quando cade un soffitto o due maestre d'asilo picchiano i bambini. Le cosiddette "case di riposo" o "comunità alloggio" subiscono molti meno controlli delle gelaterie e dei caldarrostai. Per i malati cronici e le loro famiglie lo Stato delega ai simil Telethon.

Di conseguenza, coloro che lavorano nelle strutture, nei servizi, nelle organizzazioni per le persone sono un misto di eroici martiri, pseudo-volontari sfruttati, nevrotici sfibrati dal burn-out e cinici speculatori. I professionisti ? Una minoranza, sottopagata, svalutata e maltrattata. Due esempi per tutti.

1. Qualcuno stima in circa 800.000 gli assistenti familiari o badanti (altri elevano il dato a 1.600.000). Si tratta di un lavoro perlopiù in nero e senza garanzie, affidato in maggioranza a operatori stranieri. Aggiungendo a questa cifra i collaboratori familiari (colf) e le baby sitters, gli operatori con qualche contratto e quelli in nero, arriviamo facilmente a 2.000.000 di persone che si occupano per lavoro di persone. Molte di queste sono brave donne dell'est europeo o del sudamerica, che magari sanno cucinare bene solo la zurek (minestra di farina di segale acida) o il ceviche (ricetta a base di pesce o/e frutti di mare crudi e marinati nel limone, con peperoncino e coriandolo), e conoscono tre parole d'italiano. Magari nel loro paese sono ingegneri nucleari o architetti, ma qui si curano di bambini ipercinetici o anziani con l'alzheimer. Molte baby sitters sono sedicenni brufolose, innamorate della rokstar di turno, e attaccate al telefonino. Altre sono studentesse di matematica, con la mente sul teorema di Fermat, e le prossime vacanze a Ibiza. Intanto si occupano di minori di ogni età.
Per fortuna in Italia le persone non interessano più, quindi due milioni di lavoratori stranieri o precari possono aiutare le loro famiglie o pagarsi i vizietti.

2. Dalla Rete sappiamo che in Italia esistono 395 agenzie di animazione censite e si stima che ve ne siano un altro centinaio ‘sommerse’. Ci sono anche le grandi catene turistiche e le compagnie navali, che raccolgono animatori direttamente. Poi ci sono quelli dei campeggi e centri estivi di enti locali, parrocchie e dopolavoro aziendali.. Possiamo stimare che gli animatori in servizio stagionale siano intorno alle 50.000 unità, la maggior parte dei quali si occupa di relazioni interpersonali e di gruppo, e una discreta percentuale di bambini e adolescenti (perlopiù donne). Chi sono queste animatrici per minori? In parte le stesse persone che fuori stagione fanno le baby sitters, oppure aspiranti attriciori, studentesse di educazione fisica o del liceo artistico, brave ragazze che si distribuiscono fra il recinto chiamato non a caso "baby parking" e le prove degli agghiaccianti spettacolini notturni -tipo rivista oratoriana-, cui sono obbligate per contratto. Cosa sanno fare ? Niente di particolare. Le più attente riescono ad evitare che qualche bambino si faccia male, le altre arrivano ad insegnare le canzoncine "da falò". Indirettamente e inconsapevolmente educano e si prendono cura di bambini a loro affidati, con obiettivi ignoti che nessuno saprà mai.

I due casi non sono i soli. Qual è la qualità degli operatori nei centri per immigrati? E nelle comunità per tossicodipendenti ? Nelle case-famiglia dei minori in difficoltà? E nei centri per disabili?

In Italia, se vuoi vendere coni gelato devi avere una licenza, fare un patentino, iscriverti alla Camera di commercio, subire i controlli dei NAS, osservare orari e norme igieniche incise sulla pietra. Se invece vuoi occuparti di bambini, a casa o in vacanza, malati cronici o anziani, basta che tu abbia buona volontà. Nessun diploma obbligatorio, nessuna organizzazione garante, nessun controllo igienico, mentale o di qualità. Nessuna associazione professionale, nessun codice deontologico, nessuna formazione permanente o superivisione. Ovviamente, nessuna assicurazione se ti ammali, nessuna pensione, nessuna vacanza garantita
Ogni tanto, una badante deruba l'anziano affidatole. Una baby sitter o un'animatrice fa addormentare i bambini con una goccia di sonnifero. Una "volontaria" lega i degenti di una casa di riposo al letto e lo riempie di insulti. Una "maestra" d'asilo pesta il disabile. Un operatore insulta un disabile.
Nessuno pensa al burn-out, recrimina sui sistemi di selezione, sul'assenza di controlli assidui, sull'inesistenza di organizzazioni professionali di garanzia per gli operatori e tutela per gli utenti. Ma tant'è. le persone non interessano più.