La formazione fra cambiamento e conservazione (G.Contessa)

Premessa

Da circa una quindicina d'anni la formazione intesa come cambiamento ha lasciato il posto alla formzione intesa come replicazione e conservazione. La formazione, prima concepita come informazione, costruzione, crescita si è trasformata in indottrinamento e addestramento, asservimento.

Formazione/cambiamento
Formazione/conservazione
sapere / contenuti
informazione
indottrinamento
saper fare / abilità
costruzione
addestramento
saper essere / capacità
crescita
imitazione

Informazione vs. indottrinamento

In una formazione orientata al cambiamento, ha grande importanza l'informazione, cioè la messa a disposizione di dati neutri ed oggettivi (per quanto ciò sia onestamente possibile). Nel periodo aureo della formazione italiana (dai Sessanta agli Ottanta) tutti i corsi contenevano riferimenti statistici e storici, nonchè le comparazioni fra diverse teorie circa l'oggetto del corso. I dati statistici servivano a dare ai partecipanti un inquadramento quantitativo. I dati storici offrivano un panorama delle radici e dell'evoluzione del contenuto oggetto del corso. La presentazione delle diverse teorie e concezioni offriva un quadro della complessità e soprattutto lasciava ai partecipanti la libertà di interpretare i contenuti da diverse angolature.
Dagli anni Novanta tutto ciò è sparito, lasciando il posto alla presentazione di una sola teoria, offerta come unica e indiscutibile, senza alcuna giustificazione statistica, storica o comparativa. Mentre l'informazione puntava a fornire strumenti, l'indottrinamento si propone di fornire convinzioni. Il processo è identico a quello presentato dai mezzi di comunicazione di massa, che non presentano più i fatti ma solo alcune opinioni (quelle del ceto dominante) sui fatti.
La maggior parte delle attività formative odierne è centrata sui contenuti e non sugli obiettivi. L'ideologia nascosta dietro questa impostazione è che la formazione serve a diffondere e replicare l'esistente, piuttosto che a raggiungere obiettivi aperti. L'informazione, per esempio, di un orientatore non è mirata a creare operatori più capaci di agire come decidono, ma a clonare operatori che agiscono come il formatore ha deciso. Segnale eclatante di questa impostazione è la proliferazione di corsi " di Scuola". Non si fanno più corsi per psicoterapeuti, ma per psicoterapeuti comportamentali, che non sanno nulla di Feud o Reich. Non si fanno più corsi per animatori, ma per animatori "sociali" che non conoscono neppure l'esistenza dell'animazione culturale. L'informazione cercava di aprire gli orizzonti, l'indottrinemento si sforza di restringerli.

Addestramento vs costruzione

L'addestramento è sempre stato un segmento della formazione. Esso era ed è mirato al "saper fare". Ma il suo carattere esecutivo e replicatorio era limitato alla professioni manuali, meccaniche, formalizzabili e ripetitive. L'addestramento delle professioni immateriali puntava, nell'età aurea della formazione, alla costruzione. Gli elementi tecnici erano forniti come fattori che il partecipante era invitato a interpretare, assemblare ed esegure con originalità. Nelle professioni manuali era sottolineato il saper riprodurre, mentre in quelle immateriali il saper ricreare.
Oggi non solo tutto l'addestramento ha assunto i caratteri prima limitati alla professioni manuali, ma quasi tutta la formazione ha assunto il carattere di addestramento. Anzi, molta parte della vita ha assunto un carattere addestrativo. Non si va più a ballare, ma a scuola di ballo. Non si va in piscina a nuotare ma a fare scuola di nuoto. I bambini non giocano più coi colori ma partecipano a laboratori (di addestramento) sul colore. L'addestramento che oggi permea la vita di tutti non si interessa alla costruzione, all'interpretazione, alla ri-creazione, bensì all'esecuzione, alla replicazione, alla riproduzione. Non si addestra più alla tecnica di un mestiere, ma solo ad una mansione. Si addestra ad una porzione insignificante, nella finzione che la parte sia equivalente al tutto, e che la ripetizione esatta sia un apprendimento utilizzabile anche in contesti diversi.

Crescita vs. imitazione

La formazione-cambiamento prevedeva una fase centrata sulle capacità personali: il "saper essere". Quella che per i bambini veniva chiamata educazione, per gli adulti era formazione delle capacità personali. Entrambe si proponevano di fornire agli utenti le capacità aspecifiche per la vita (minori) e per il lavoro (adulti). Le capacità aspecifiche sono i componeneti basici del carattere e del comportamento, come la curiosità, la creatività, la sociabilità, le responsabilità, ecc., e possono essere oggetto della formazione e dell'educazione attraverso particolari tecniche relazionali, esperienziali ed emozionali. La formazione e l'educazione aventi questi "oggetti" particolari si propongono una crescita autonoma dell'utente, legata alla sua libertà di scegliere chi e come vuole essere, ma anche finalizzata allo sviluppo della specie umana che ha la necessità di registrare uno scarto, sia pure impercettibile, fra una generazione e l'altra (quindi fra formatore ed allievo). La formazione al saper essere finalizzata alla crescita crea la situazione che favorisce un apprendimento autonomo, libero e divergente.
Quello che accade oggi, al contrario, è il tentativo (peraltro fallimentare) di formare ed educare per imitazione, far acquisire all'utente le stesse esatte capacità del formatore. La formazione non è più cambiamento, ma conservazione e riproduzione dei comportamenti ritenuti "eticamente corretti". Gli utenti non vengono più aiutati a diventare chi desiderano, ma spinti a diventare come che il formatore vuole che siano. Non è previsto che le nuove generazioni abbiano capacità espandibili in direzioni diverse, il saper essere viene conculcato per ripetere pedissequamente il presente.

Cause

Le cause di questa trasformazione storica della formazione sono ovviamente a più livelli.

  • A livello culturale si tratta della rivincita del determinismo e della sparizione della socio-diversità e del futuro. La cultura dell'Occidente ha superato la sua fase matura entrando nella mentalità di "fine della Storia". Questa mentalità non prevede possibili cambiamenti, punta alla globalizzazione della sua cultura e concepisce il futuro come mera replicazione del presente.
  • A livello politico è la regressione da una società che tende alla libertà ad una società che tende alla sottomissione. Le conquiste della Rivoluzione francese sono state gradualmente rimosse fino ad aprossimarsi al grado 0. Dopo due secoli, il cittadino ha smesso di essere sovrano per tornare suddito.
  • A livello occupazionale, il degrado della formazione va di pari passo con la progressiva sparizione o dequalificazione del lavoro. Non sembra tanto importante formare individui che forse non avranno mai un lavoro nel quale applicare gli apprendimenti. Tantomeno è importante formare soggetti destinati a lavori sotto-qualificati, manuali, ripetitivi e precari. Il poco lavoro qualificato che tende a restare sul mercato non risponde più a criteri meritocratici ma di censo, ceto o caso. La formazione è cresciuta in una cultura anti-determinista ed anti-classista, e diventa superflua se la società ritorna ad essere pre-illuminista, determinista e classista.
  • A livello educativo-formativo è una banale questione di mercato: sono più numerosi, meno costosi e più controllabili i formatori, docenti e insegnanti che si occupano di conservazione di quelli che si propongono il cambiamento. Perchè conservare è molto più semplice che cambiare, e una formazione "adattiva" non ha alcuna necessità di essere fatta da professionisti autonomi.
  • A livello di utenti è una faccenda di fatica: molto meno oneroso adattarsi, ubbidire e imitare piuttosto che imparare e cambiare. Ma anche una faccenda di ricompense: imparare e cambiare oggi è meno socialmente premiato che eseguire e ripetere. Spesso è addirittura punito.

Conseguenze a medio-lungo termine

La degradazione della formazione porta benefici a breve termine, ma numerosi guasti a medio e lungo termine. Vediamone solo due: sul piano esistenziale e sul piano occupazionale.

  • Sul piano esistenziale. La storia va avanti anche se l'Occidente pensa che sia finita. La società si modifica ogni giorno. Ogni generazione si trova a vivere in un mondo diverso da quello della generazione precedente. Se i processi educativi e formativi non si basano sulla libertà e sull'autonomia, e non prevedono variazioni, di fatto creano disadattamento. Oggi registriamo fasce sempre più ampie di popolazione visibilmente in difficoltà a vivere. Sembriamo incapaci di fronteggiare la società multi-etnica, la sparizione del lavoro, la ri-emersione del fondamentalismo e dei nazionalismi, la crisi del modello familiare borghese, l'allungamento della vita media. Nel prossimo futuro queste tendenze si acuiranno e le "difficoltà a vivere" saranno ancora più vistose. Ci sono stati altri periodi della modernità con cambiamenti altrettanto epocali, ma l'Occidente ha saputo affrontarli grazie al fatto che aveva previsto lo scarto generazionale, garantito dalla libertà e dall'autonomia dei suoi processi educativi e formativi.
  • Sul piano occupazionale. Dalla metà degli anni Novanta sappiamo che "il lavoro è finito", anche se fingiamo che non lo sia. Sullo scenario del "pieno tempo libero", restano in vita tre tipi di lavoro. Uno, maggioritario, è quello dei pony express, dei fast food, dei supermercati, dei villaggi turistici, delle discoteche, dei call center, dei servizi dello spettacolo, della custodia di minori o disabili, delle pulizie. Un lavoro saltuario, precario, ripetitivo, ma soprattutto despecializzato e dequalificato: chiunque può farlo a prescindere dalla formazione che ha ricevuto. Anzi, aver ricevuto una formazione tradizionale è un handicap per questi tipi di lavoro. Un secondo, minoritario, è il lavoro super-protetto e super-specializzato delle buro-corporazioni, delle professioni liberali dominanti, dell'imprenditoria assistita. Questi tipi di lavoro vengono assegnati e mantenuti a prescindere dalla formazione reale posseduta: bastano un titolo formale e buone relazioni sociali e politiche. A volte vengono ereditati (come per i notai, i farmacisti, gli imprenditori, e gli operai di molte imprese-mammuth). Infine, esiste un terzo tipo di lavoro, super èlitario: quello dei creativi, degli artigiani, dei progettisti. Qui la formazione non esiste neppure e tutto si basa sull' ingegno individuale casuale, e l'auto-apprendimento.

Prospettive

  • La nuova "classe operaia"dell'Evo immateriale. Soffermiamoci sul primo tipo di lavoro, maggioritario. La sua qualità è infima e le sue condizioni del tutto precarie, al punto che assomiglierà sempre più ad un servizio civile. La condizione generalizzata di assenza di lavoro tradizionale, porterà presto gli Stati a fornire una qualche forma di "salario minimo garantito", condizionato a prestazioni part-time, a rotazione, nelle mansioni meno qualificate. La gran parte del lavoro diventerà simile a quello che oggi chiamiamo eufemisticamente "lavoro socialmente utile". La maggioranza di coloro che si sono affacciati e si affacceranno sul mondo del lavoro dagli inizi del XXI secolo, non farà neppure un giorno di lavoro "tradizionale". La loro vita trascorrerà alternando periodi di non occupazione, a periodi di occupazione precaria in mansioni sempre diverse.
    La loro condizione sarà simile a quella di chi ha avuto una formazione per la guida della Fiat Punto, e si trova a non guidare per lunghi periodi, a guidare autobus per altri e a cucinare hamburgers per altri ancora. L'educazione che hanno ricevuto non li aiuta a vivere nel nuovo mondo. La formazione al lavoro non li aiuta a lavorare nel nuovo mercato. La finzione spesso messa in campo a sanatoria di questa sfasatura fra educazione-formazione e vita-lavoro, vieme chiamata "formazione permanente". La quale in verità è "addestramento permanente", nel senso di una continua sottomissione a processi di indottrinamento, addestramento mansionario e imitazione. Non si tratta infatti di arricchire permanentemente la crescita degli individui ma di sottoporli alla acquisizione periodica di saperi segmentali, intrisi di moralismo "locale"*, inutilizzabili in contesti diversi.
    Il disadattamento ad una vita e ad un lavoro cui non si è preparati, produce guasti a livello individuale e a livello sociale. E' evidente già oggi la difficoltà generale nella gestione della vita emotiva e della convivenza relazionale, comprensibile in chi vive in un'epoca diversa da quella per cui ha ricevuto educazione e formazione.
    Il punto più basso sarà raggiunto intorno al 2015-2020, quando la prima generazione post-bellica, maggiore responsabile del crepuscolo dell'Occidente, sarà prossima all'uscita di scena.
  • La rinascita della formazione-cambiamento. L'educazione e la formazione hanno registrato una svolta significativa a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando l'Occidente e l'Italia specialmente, si sono trovati nella necessità di preparare le nuove generazioni al passaggio da una società agricola ad una società industriale. Vivere e lavorare in un contesto pienamente industriale richiedeva informazioni, abilità e capacità diverse, che sono state fornite degli innovatori della pedagogia (da P.Freire a J.Piaget, da don Milani a Danilo Dolci) e dai fondatori della formazione moderna (dagli allievi di K.Lewin a M.Pages a E.Spaltro).
    Oggi si tratta di fronteggiare il passaggio dall'industrialesimo all'immaterialesimo. Quali nuovi saperi servono ai milioni di cittadini che devono vivere e lavorare nel XXI secolo? Costoro non possono essere aiutati con una educazione-formazione modellata sulla cultura della tarda modernità, cioè sulla conservazione. Nessuno può dire con precisione come evolverà il contesto sociale di questo nuovo secolo, ma alcune tendenze sono visibili. Le principali novità con cui dovremo convivere e lavorare sono:
    • la società multi-etnica,
    • la prevalenza del tempo di non lavoro nel corso della vita
    • la continua mutazione delle mansioni da assumere,
    • la digitalizzazione
    • la ri-emersione del fondamentalismo religioso e dei nazionalismi,
    • la crisi del modello familiare borghese,
    • l'allungamento della vita media e l'invecchiamento delle società

     

    E non si tratta di fattori statici, bensì dinamici, con un tasso di mutevolezza accelerato. Per i quali una formazione-conservazione è inutile e dannosa. E' ipotizzabile che si ritornerà ad una educazione-formazione centrate sul cambiamento, che aiuti gli uomini a vivere e lavorare in un contesto nuovo e che si evolve in modi non prevedibili.

    Le conoscenze, i contenuti, il sapere, torneranno ad avere un ruolo limitato, dal momento che la loro obsolescenza sarà sempre più veloce. Ma soprattutto torneranno ad avere il valore di informazione piuttosto che di indottrinamento. I contenuti non saranno più qualcosa di cui convincere, ma strumenti per decidere e costruire un pensiero autonomo. D'altronde le informazioni hanno un carattere binario, facilmente informatizzabile, il che renderà sempre meno importante che siano erogate da un "formatore". Inoltre i contenuti hanno, in molti settori, un elevato tasso di obsolescenza: il che rende più importante la capacità di "imparare a conoscere", piuttosto che la conoscenza in sè.

    Le abilità, le tecniche, il saper fare saranno interpretati come mezzi di costruzione e invenzione, invece che come procedure da eseguire e memorizzare. L'educazione-formazione si impegnerà nella acquisizione di abilità trasversali, polifunzionali, combinabili piuttosto che di abilità specializzate, settoriali, specifiche. Diventare capaci di cucinare tornerà ad essere più apprezzato che imparare a cuocere gli hamburger, comporre il sushi, e fare il gelato in casa. Anche le tecniche del resto, invecchiano in fretta, seguendo le innovazioni delle macchine e dei processi produttivi. Inoltre esse sono soggette alle disavventure della specificità. Il saper fare è perlopiù legato ad un certo tempo, un certo luogo, un certo contesto: il "modo di fare" un certo prodotto, cambia da una piccola ad una grande impresa, dalla Lombardia alla Romania, dall'impresa A all'impresa B. Anche per le abilità vale quello che vale per i contenuti. "Saper imparare a fare" è più impartente del saper fare.

    Il saper essere, le capacità personali torneranno ad essere al centro della formazione-cambiamento. L'imitazione, l'adattamento, la sottomissione al pensiero "politicamente corretto" dominante, l'omologazione alle etiche locali* torneranno ad essere considerati quello che sono: una sospensione della libertà e dell'intelligenza, una negazione della libertà e un rifiuto del futuro. La capacità di sapersi cercare e costruire il sapere necessario, e quella di imparare a fare ciò che serve hanno a che fare col "saper essere" del soggetto, insieme ad altre capacità indispensabili per vivere e lavorare nel XXI secolo.

 

* per moralismo "locale o "etiche locali" intendo quell'insieme di ricette, doveri, normative che permeano un ambiente specifico, locale, senza essere assunte come etica generale della società.