L'educatore
professionale tra Technopoly e Telepolis
Telepolis e Technopoly sono due titoli di libri che considero i più belli e stimolanti usciti negli ultimi cinque anni. Uno è un libro Americano di N. Postman che si chiama Technopoly e uno è un libro Spagnolo di X. Echeverria che si chiama Telepolis.
Telepolis e Technopoly sono due libri che parlano del futuro ma a partire da oggi; sono un'interpretazione del futuro attraverso i segni che già oggi si vedono. La storia si muove per ondate, e noi siamo abituati a guardare la cresta dell'onda, ma nessuno vede che sotto stanno arrivando nuove onde, due delle quali sono descritte in questi libri. Technopoly si basa sul concetto per cui noi siamo in una società di tecnopolio, in cui il predominio della tecnica, ed in particolare della tecnica multimediale, ha il sopravvento; in cui la sovraesposizione informativa creerà forti mutazioni relazionali, e sociali. Telepolis è quel sistema sociale in cui l'overdose di informazioni viene controllata attraverso l'uso di strumenti tecnologici che producono overdose di informazioni: circuito vizioso che provoca una saturazione. Telepolis è la rivisitazione moderna del vecchio concetto del villaggio globale di Mc Luhan secondo la quale ormai il nostro non è più un pianeta, fatto di parti separate fra loro, ma un villaggio. E' la ripresa saggistica ed intellettuale della vecchia fantasia di Asimov, il famoso pianeta Trantor, che è una grande città sferica, collegata nelle sue parti da un continuum di comunicazioni telematiche, di costruzioni, di scambi comunicativi, con sistemi di spostamento moderni e postmoderni. Telepolis è la città sferica, è la città globale dominata dall'immagine non solo con la televisione ma con tutti i sistemi mass-mediatici. Questa trasformazione del nostro mondo in Telepolis, in telecrazia, provoca una serie di mutazioni importanti, quasi genetiche, nella specie umana. La prima delle quali, è che il lavoro è finito. C'è un bellissimo libro che si intitola "La fine del Lavoro" di J. Rifkin, che è un noto economista. Quando diciamo "il lavoro è finito" tutti piangono, dimenticando che da tremila anni che la letteratura, la storia e la filosofia, non hanno fatto altro che chiedersi quando sarebbe finito il lavoro. Ecco, , adesso è finito; solo che ci ha trovati impreparati e siamo un po' preoccupati: è finito e non ce ne siamo accorti, cosa facciamo adesso? Ci occuperemo del tempo libero, tanto più che il tempo libero ormai è il sistema nuovo di lavorare. Secondo Telepolis, è il sistema per cui attraverso la telematica i nostri salotti sono delle piccole fabbriche. Dove crediamo di guardare la televisione, crediamo di usare il computer per motivi di divertimento, mentre siamo una piccola fabbrica periferica del grande sistema di produzione dei telesecondi che producono telericchezza e teleplusvalore. Il tempo libero non è più una evasione dal lavoro, è il lavoro. Il lavoro è finito ma il tempo libero è produttivo, produce plusvalore. produce nuovi modelli di comportamento.
C'è un altro bellissimo libro che si chiama "Essere digitali" di N. Negroponte in cui si descrivono le cose che fra dieci anni saranno normali. Quando si dice fra dieci anni non è fantascienza, è futuro. Negroponte sottolinea come ormai il pianeta si avvia al passaggio dall'atomo al bit. Tutto l'Ottocento e il Novecento sono stati centrati sulla trasformazione della materia, sulla manipolazione degli atomi, per cui trasferiamo cose, manipoliamo cose, uniamo, scindiamo, atomi e materia. Invece, da almeno venti anni, la situazione sta mutando radicalmente. La manipolazione della materia è sempre meno rilevante. La ricchezza prima fondata sul concetto di spazio ( il terreno, la miniera, il petrolio), da una ventina d'anni è fondata sul tempo. Il problema è il tempo, l'immateriale, la luce, i circuiti luminosi, il laser ,il computer, i bit non le cose, gli atomi, i polimeri. Sempre di meno le cose avranno un significato, e sempre più avranno senso le cose che non si vedono, cioè l'immateriale. Di fronte a queste trasformazioni, l'educatore ha davanti un nuovo orizzonte. Una volta il tempo era considerato proprietà di Dio e questo è il motivo per cui era stata proibita l'usura, perché l'usura per i cattolici era mettersi al posto di Dio per guadagnare sul tempo. Poi la sacralità si è dimenticata e il tempo è passato da Dio allo Stato, e lo Stato ci ruba metà della nostra vita. Oggi il problema è occuparsi del tempo .La centralità del tempo, della luce .. dell'immateriale fanno si che le professioni che staranno al centro del pianeta saranno quelle capaci di gestire l'immateriale. Gli Educatori debbono convincersi che sono al centro perché non solo stanno dentro il ceto degli operatori dell'immateriale (che vuoi dire relazioni, cultura, idee, affetti), ma ne sono al centro.
Come i tipografi manipolavano le idee attraverso i caratteri di piombo oggi gli educatori manipolano la luce, l'immateriale, la cultura, attraverso il contatto con le persone. L'educatore sarà, assieme a tutte le altre figure dell'immateriale, colui che riesce ad interpretare, a decodificare, a reinterpretare, a reinstradare i codici esistenziali e di convivenza alla luce di queste epocali trasformazioni. Tutto questo non avviene senza conflitti, senza crisi, senza difficoltà, senza sangue, oserei dire. Non avviene se non in presenza di una grande confusione e di una grande frantumazione dei codici.
I codici, vanno ricostruiti e chi li deve ricostruire? La gente. Ma come fa a farlo da sola? lo può fare con l'aiuto di una avanguardia intellettuale come sono, fra gli altri, gli educatori.
Gli operatori dell'immateriale debbono costituirsi come avanguardia. Debbono darsi l'incarico sociale e storico di aiutare la gente a ricostruire dentro un contesto telepolitano e tecnocratico un nuovo tipo di convivenza umanamente accettabile. Da subito essi dovrebbero rivendicare il diritto di essere riconosciuti come ricercatori delle soluzioni della vita del ventesimo secolo. Ciò vuol dire rivendicare il diritto alla formazione permanente, alla supervisione, alla riflessione collettiva. Gli operatori del sociale devono rivendicare il diritto (come parte del lavoro) di riflettere sul lavoro che fanno, di riflettere sui processi di produzione del nuovo modo di convivere, di riflettere sulle modalità operative. Gli educatori debbono incominciare a pensare, a ricercare, a riunirsi, anche in termini politici e sindacali. La prima cosa per fare grande una professione, sono le sinergie e le connessioni. Bisogna cominciare a connettersi, a scrivere, trasmettere , a ricercare e a farsi conoscere.
Dobbiamo far pensare al nuovo modo di fare convivenza nelle comunità, a tutte le risorse intellettuali di cui le comunità dispongono che sono, oltre alla gente, gli operatori dell'immateriale.
*Estratto da EDUCAZIONE NEWS, Supplemento al n.1, febbraio 1997, pag. 4