Il Corso di Specializzazione per i 35 ammessi prevedeva,
come ho già riferito, due tranches; una prima nel mese di giugno
ed una seconda nel mese di settembre '80, Su di questa in particolare
intendo soffermarmi. Il modello formativo utilizzato e quanto di più
avanzato e sofisticato si dia oggi in Italia. Trattandosi di formazione
avanzata abbiamo scelto il metodo del Laboratorio, basato sulla progettazione
e realizzazione di un intervento di animazione urbana. I piccoli gruppi
di lavoro erano condotti secondo la tecnica dei gruppi autoeterocentrati
e l'assemblea secondo la tecnica dell'analisi istituzionale.
In sintesi diciamo che il seminario si basava su questi tre elementi:
1. impegno dei partecipanti a progettare e realizzare un intervento
di animazione urbana;
2. impegno ad effettuare l'intervento integrando tutti e 35 i partecipanti
come organizzazione;
3. ruolo dei conduttori in equilibrio fra il supportivo e l'ostacolante-
problematico.
Insomma, per 15 giorni ben 35 giovani operatori socioculturali, sei
membri dello staff, oltre alcuni ospiti esterni e rappresentanti della
cittadinanza, hanno discusso per circa 8 ore al giorno sull' ''Animazione
urbana". Riferirò qui qualche elemento del notevole
lavoro fatto.
2.1 Determinare l'obiettivo
La consegna da noi data ai 35 specializzandi fu quella di realizzare
"un'esperienza attiva di intervento di animazione nell'intera
area urbana".Questo pose tutti di fronte al problema della
scelta dell'obiettivo. Un obiettivo tutto interno al Corso esisteva,
ed era quello di "imparare a fare interventi". Ma non poteva
bastare a nessuno dei presenti. Anche se basta a molti Assessori d'assalto,
i quali fanno animazione "perché si" o perché
"sono Assessore alla Cultura" o, ancora, per animare la
città". Purtroppo i soldi della comunità spesso
sono affidati a politici che operano senza intenzioni, senza spiegare
perché, senza sottoporsi mai ad una verifica. Gli animatori
di Massa sapevano che un intervento deve prefiggersi qualcosa di esterno
a se stesso: che sia un divertimento o una rivoluzione, ogni intervento
serio d'animazione deve voler ottenere qualcosa e, se è fatto
seriamente, deve dichiarare prima quello che vuole ottenere.
2.1.1 Purtroppo la determinazione di un obiettivo è un fatto
assai complesso. È una decisione che non può e non deve
essere presa da una sola persona. Nessun animatore può decidere
da solo gli obiettivi del suo intervento; ma nemmeno un Amministratore
può farlo. Una decisione così complessa implica il coinvolgimento
di almeno tre livelli di persone o organizzazioni; il livello superiore,
quello inferiore ed i pari del proprio livello. Per un animatore i
tre livelli sono incarnati rispettivamente: dall'Assessore preposto
al servizio, dagli utenti, dai colleghi della sua équipe. Per
un Amministratore locale si tratta della Giunta, o del Consiglio Comunale,
dei suoi collaboratori o dipendenti, dei suoi compagni di partito.
Questo è solo uno schema semplificato: nella realtà
si presenta assai più complesso, perché ciascun livello
si sdoppia o si moltiplica. Per esempio,un animatore può avere
sopra un Consiglio Direttivo di cooperativa, un Consiglio di Circoscrizione,
oltre che un Assessore; a fianco, non solo gli altri animatori della
stessa cooperativa, ma animatori volontari o di altre cooperative,
operatori di altri servizi sociali; come utenti non solo singoli cittadini,
ma associazioni, gruppi, organizzazioni. Nel caso dell'Amministrazione
la cosa è ancora più complicata, perché quanto
più elevata è la posizione sociale di un soggetto tanto
più fitto è l'insieme di relazioni e legami cui è
sottoposto.
2.1.2 Un obiettivo di intervento sociale, anche il più modesto,
deve sempre essere condeterminato. Tale esigenza non è affatto
dettata da motivi ideologici, ma è resa necessaria da motivi
di efficienza-efficacia. Solo la condeterminazione infatti consente
da una parte la moltiplicazione delle risorse a favore, e dall'altra
una maggiore sicurezza circa la validità della scelta. Molti
considerano le scelte individuali come necessitate dalla maggiore
efficienza, ma questa è una illusione. Solo gli obiettivi condeterminati
offrono una qualche garanzia di efficienza. Naturalmente non identifichiamo
condeterminazione con assemblearismo, o con formalismo giuridico,
ma nemmeno col silenzio-assenso.
Ogni livello può collaborare alla determinazione dell'obiettivo
dell'intervento, in modi e attraverso canali e tempi diversi. Il primo
problema che si poneva agli animatori dunque era quello di come riuscire
a decidere un obiettivo, prima da. soli, poi in piccolo gruppo, poi
ancora in 35.
Non mi soffermo sulle dinamiche emotive sottese ad un simile complesso
processo, ma mi limito ad elencare i processi razionali.
2.1.3 Determinare un obiettivo d'intervento non significa solo decidere
quale tipo di cosa si vuole ottenere (risultato), ma bisogna anche
identificare un soggetto (chi?), e magari un ambito territoriale (dove?).
Le variabili in gioco diventano almeno tre, o meglio sono tre categorie,
ciascuna delle quali contiene numerose voci individuali. Ne esce una
matrice a tripla entrata, capace di gettare nel panico chiunque. Possiamo
fare qualche esempio.
Quale risultato? Vogliamo fare dell'animazione per divertire, informare,
aggregare, far prendere coscienza, responsabilizzare? e poi, intorno
a cosa? Su quale contenuto o problema? A quale soggetto vogliamo far
ottenere il risultato? Tutti, i giovani, le donne, i bambini, gli
operatori sociali? E poi, intesi come individui o nelle aggregazioni
esistenti? Nelle aggregazioni esistenti, pensiamo ai movimenti politici
oppure alle associazioni volontarie, o ai luoghi di aggregazione spontanea,
o alle istituzioni culturali della città?
E dove vogliamo ottenere il risultato? nelle famiglie o nei bar, nelle
scuole o nei consultori o nelle biblioteche, o nelle strade? Chi ha
la passione della matematica può cercare di quantificare il
numero di combinazioni possibili dai diversi incroci queste tre categorie.
Di fronte a questa innegabile difficoltà ci sono due reazioni
molto comuni: una è quella di non scegliere alcun obiettivo,
l'altra è quella di definire un obiettivo che contiene tante
variabili da non essere più un obiettivo. Molti amministratori
ed animatori si muovono nella logica "io faccio qualcosa, e poi
si vedrà". E magari sono gli stessi che tuonano verso
gli insegnanti che non programmano le attività di classe, o
contro i politiche non programmano la spesa pubblica. Altri pili smaliziati,
meno primitivi, dicono di voler fare un intervento "finalizzato
all'aggregazione ed alla presa di coscienza della città sul
problema dell'emarginazione, il che significa porsi come obiettivo
"tutto, per tutti, su tutto"
In entrambi questi due casi, non possiamo non domandarci come simili
obiettivi indeterminati, o confusi, possano essere sottoposti a verifica,
o corretti strada facendo; a cosa effettivamente servano; cosa ne
possa discendere in termini di attività, persone, organizzazione.
Ma forse è questo il problema. Porsi come obiettivo l'effimero,
così come non porsi nessun obiettivo, consente un'enorme libertà
a chi gestisce l'intervento. Nessuna verifica è possibile,
gli unici cambiamenti di rotta sono quelli del capriccio o del caso;
nessuna effettiva utilità futura (ma a chi interessa il futuro?);
nessun obbligo di coerenza nella pianificazione delle attività
e nella loro scelta (tutte le attività sono coerenti con un
obiettivo assente); nessun legame di persone, o di organizzazione
interna: si può decidere che ogni persona gradita va bene,
come va bene l'organizzazione più comoda al gestore dell'intervento.
Non è una meraviglia? Cosa c'è di meglio per un Assessore
il cui unico obiettivo è "durare", o per un animatore
il cui unico obiettivo è "divertirsi" o "sentirsi
al centro"?
2.1.4. Nella fase di determinazione degli obiettivi dell'intervento,
si presentano spesso latri due problemi: la non distinzione fra mezzi
e gli obiettivi e la mediazione fra i bisogni.
a) Distinzione tra mezzi ed obiettivi
Non c'è niente che distingua, in assoluto, i mezzi dagli obiettivi.
E' un problema di valori e dei intenzioni. Tipico è il problema
del divertimento: alcuni lo considerano un mezzo dell'animazione,
altri l'obiettivo principale; io credo che possa essere sia una cosa
che l'altra: ciò che conta è che si scelga se considerarlo
un obiettivo o un mezzo. Facciamo l'esempio delle feste di quartiere,
organizzate dal Consiglio di Circoscrizione. Se la festa è
considerata un mezzo, allora occorre che tutto ciò che vi avviene,
la sua organizzazione e struttura, siano coerenti con l'obiettivo.
Se, per esempio, l'obiettivo è aggregare le persone in un modo
più umano, occorre che siano previsti spazi, momenti, stimoli
perchè i partecipanti vi abbiano relazioni più intense,
amichevoli, ricche. Come si può ottenete tutto ciò?
Affumicando la gente con olio di macchina usato per friggere? Assordandola
con rumori di ogni genere? Circuendola con luminarie accecanti e ninnoli
di finto-artigianato turco? Magari derubandola con prezzi da haute
cuisine? In qualche caso la festa, il divertimento, l'evasione, lo
stordimento, l'allegria, la sbornia, la trasgressione, si possono
considerare obiettivi a se stanti: "la festa per la festa".
A parte il fatto che queste cose è bene lasciarle fare alla
spontaneità, come ho già detto nella prima parte di
questo contributo, perchè il divertimento viene o all'interno
di un rapporto affettivo esistente o contro qualcuno. Ma allora occorre
veramente usare mezzi "divertenti" e "gioiosi"!
Non possono certo considerarsi divertimenti (divergenti) e gioiosi
gli imitatori di serie B dei canti propinati quotidianamente dall
Rai-Tv; i banchettini che vendono torrone a prezzi di gioielleria
o i panini di spalla rancida (copie iperrealistiche dei mercatini
di fiera campestre del secolo scorso); la secolare "pesca a premi"
passata inalterata dagli oratori alla televisione, alle Feste dell'Unità.
Forse molti organizzatori-animatori culturali non vanno mai, da partecipanti,
alle feste che organizzano (e fanno bene): si renderebbero conto di
quanta tristezza, quante arrabbiature, quanta noia, quanta solitudine
portano i cosiddetti "momenti di aggregazione gioiosa di quartiere".
Gli stessi equivoci si producono per i dibattiti, le mostre, i cineforum.
Non si contano i dibattiti assurdi per tema ("Conferenza del
prof. Sotutto sulla cultura Ittita: seguirà dibattito");
o per impostazione ("Parleranno due segretari di Partito, due
Ministri e due Vescovi: seguirà dibattito"); oppure per
ipocrisia ("Al Centro Pacifista Internazionale di via...si terrà
un dibattito sulla pace nel mondo"). L'ultima trovata di un cineforum
della provincia bresciana è stata: "ciclo 6 film registi:
Allen, Bellocchio, Forman, Lelouch, Spielberg, Comencini" (un
buon trucco per presentare una non-idea.
b) Mediazione dei bisogni
Nel settore della mediazione dei bisogni cene sono delle belle.
Ragionamento dell'animatore onnipotente: quello che piace a
me, piace a tutti, perchè io capisco la gente. Ragionamento
dell'animatore impotente (finto democratico): non posso decidere
ciò di cui ha bisogno la gente, devo conoscere i suoi bisogni,
allora devo iniziare con una ricerca sui bisogni.
Nel primo caso l'intervento tipico è una serata con Bon Wilson
fra i contadini delle Langhe; nel secondo caso l'intervento tipico
diventa una ricerca interminabile della demografia locale ai consumi
delle massaie, dai miti giovanili alla vita dei barboni. Variante
del secondo caso: serata con una cinquantina di cittadini catturati
da manifesto invitante, ai quali viene domandato a bruciapelo di dire
con naturalezza ed in poche parole "quali sono i bisogni socio-culturali
maggiormente sentiti", oppure "cosa si aspetta la cittadinanza
dall'operatore del sistema bibliotecario".
Ragionamento dell'operatore masochista: io sono al servizio
della gente, non di me stesso; devo fare ciò che la gente vuole,
anche se non mi piace ; anzi, è meglio se faccio quello che
non mi piace , così sarò sicuro di essere veramente
al servizio della gente. Risultato: una serie di iniziative assolutamente
cretine (che non corrano il rischio di piacere all'animatore) ma gestite
malissimo, proprio perchè all'animatore non piacciono.
Gli Amministratori locali sono di solito persone più
semplici, meno tormentate. La domanda principale che si pongono è:
come catturare alla mia iniziativa almeno 5.000 persone? Claudio Villa,
le majorettes a coscia nuda, Enzo Tortora? Vada per tutti e tre, così
facciamo quindicimila presenze. I più raffinati sono da qualche
anno in gara con Nicolini, perciò si chiedono cosa farà
più scalpore, stupore, notizia: ed è subito circo Barnum.
Gli animatori massesi si sono tormentati parecchie ore per
trovare una soluzione, almeno in teoria, seria, sul problema della
mediazione dei bisogni.
c) Principi della mediazione
Il primo principio è che gli utenti in genera hanno
bisogni culturali assai confusi, anzi che l'animazione socioculturale
deve rivolgersi principalmente a coloro che hanno bisogni limitati
e confusi, perchè gli altri possono anche cavarsela senza il
servizio pubblico. Ciò non significa che gli utenti siano dei
cavernicoli le cui esigenze vanno derise, ma solo che essi vanno stimolati
con proposte molteplici che sorgano da un abile lavoro interpretativo
(di decodifica) fatto dall'operatore. L'animatore deve saper leggere
i bisogni più profondi degli utenti, interpretarli, eventualmente
incanalarli verso obiettivi di sviluppo. Questa operazione non richiede
mesi, ma preparazione, sensibilità e tentativi. Per fare questo
lavoro con meno rischi, ci sono delle cautele come non progettare
interventi senza coinvolgere i colleghi (l'animazione non è
un mestiere di gruppo), o come sforzarsi di fare iniziative che siano
effettivamente congrue, sotto ogni aspetto, agli obiettivi dichiarati
dagli organi politici della comunità (Consiglio comunale o
di Circoscrizione).
Il secondo principio è che gli utenti sono di solito
rappresentati da gruppi, associazioni, istituzioni che fanno quotidianamente
sforzi per capire i bisogni dei loro utenti; lavorare di concerto
con questi (tutti questi, non solo quelli che piacciono all'animatore)
è essenziale.
Terzo principio è che l'operatore culturale ha fra i
suoi privilegi, il diritto di mettere proprie intenzionalità,
nella determinazione degli obiettivi. Per cui se tenta anche qualcosa
che gli piace o gli sembra giusto, non commette niente di arbitrario.
Poichè l'animatore si trova al crocicchio di un sistema di
relazioni in cui sono presenti gli Amministratori, i colleghi, gli
utenti, le organizzazioni, e se stesso, egli deve cercare di volta
in volta la mediazione più soddisfacente per tutti.
2.2 Criteri di scelta dell'obiettivo
Possiamo elencare alcuni criteri da tenere presente nella determinazione
dell'obiettivo di un intervento d'animazione:
1. ordine di importanza dei problemi
2. obiettivi principali, sub-obiettivi, obiettivi accessori
3. grado di realizzabilità in dipendenza delle risorse
4. livelli di efficacia
5. verificabilità
Ordine di importanza dei problemi
Quando un animatore o un amministratore cerca di determinare un obiettivo
d'intervento, se si tratta di un obiettivo cospicuo nel tempo, si trova
di fronte ad una vasta gamma di scelte tutte plausibili. In una società
come la nostra è più facile trovare aree nelle quali non
c'è bisogno di un intervento socioculturale. I giovani, il gioco
infantile, l'educazione alimentare, la droga, gli anziani, i mezzi espressivi,
l'aggregazione e così via: sono tutti obiettivi decidibili, insieme
a molti altri ancora. Nessun operatore è obbligato a scegliere
un obiettivo solo per volta; spesso e possibile portarne avanti due
o tre simultaneamente oppure in sequenza ravvicianata. Tuttavia è
evidente che la riduzione degli obiettivi consente una maggiore concentrazione
delle risorse, un più attento controllo delle variabili in gioco
, e quindi una maggiore speranza di efficacia. Allora si tratta di scegliere.
Anche perché un programma d'intervento che si occupa di tutto,
fatto da operatori che si interessano di tutto, equivale ad un programma
che non ha obiettivi. Occorre dunque trovare un ordine di importanza
dei problemi che si vogliono affrontare con la leva socioculturale.
Abbiamo detto, in altra parte di questo volume, che gli ambiti o le
finalità generali dell'animazione socioculturale sono essenzialmente
tre: l'aggregazione sociale e la partecipazione, l'educazione e la padronanza
dei linguaggi espressivi, la lotta contro l'emarginazione. Queste tre
aree sono un pochino meno vaste della direzione "qualità
della vita", ma sono ancora troppo generali per poter diventare
obiettivi d'intervento.
L'ordine d'importanza che bisogna trovare non è certo determinabile
in modo puramente oggettivo o quantitativo. Per esempio, non è
possibile preferire l'area dell'aggregazione perché riguarda
più persone, all'area della droga perché in città
sono morti "solo" due giovani in tre anni! La messa in ordine
di importanza dei problemi dipende da un insieme di vettori politici,
psicologici, organizzativi. È importante un obiettivo che gli
organi politici di una collettività considerano importante; è
importante quello che l'opinione pubblica, la sensibilità dei
cittadini, il"clima" del momento segnalano come importante;
infine è importante un problema che muove ed è mosso da
un insieme significativo di risorse umane, organizzative, giuridiche,
economiche. Nella politica del Comune di Forti è stata collocata
al vertice delle attività d'animazione la questione giovanile;
nella politica del CMSR è stata privilegiata la diffusione dei
linguaggi espressivi; nel Comune di Torino si è scelta l'aggregazione
di quartiere. Questo non vieta che accanto a progetti speciali, determinati
dalla scelta di obiettivi principali, si collochino dei servizi basati
su altri obiettivi, altri problemi, altri tipi di utenza.
Obiettivi principali, sub-obiettivi, obiettivi accessori
Nello scegliere un obiettivo d'intervento occorre inoltre distinguere
tra quello che è l'obiettivo principale, intenzionale e mirato,
e gli obiettivi accessoria casuali, involontari ma graditi.
Per esempio, non c'è dubbio che la scelta del CMSR di privilegiare
l'obiettivo "linguaggi", possa anche indurre accessoriamente,
una certa aggregazione, specie fra coloro che sono interessati agli
stessi linguaggi. Questo però non toglie che la struttura,
l'organizzazione, le procedure egli animatori scelti dal CMSR, siano
(direi anche, debbano essere) coerenti con l'obiettivo-linguaggi
e non con l'obiettivo aggregazione. Il contrario dovrebbe avvenire
a Torino, dove l'obiettivo è l'aggregazione di quartiere. Vediamo,
in astratto, quali conseguenze hanno sul quotidiano, i due differenti
orientamenti.
A Milano gli utenti sono invitati e stimolati a partecipare a corsi
di espressività , e poi ad aggregarsi nei Centri di Tempo Libero
per interessi anche stabili (gruppo fotografico, gruppo teatrale,
ecc.). Non essendo l'aggregazione di quartiere un obiettivo principale
ma accessorio, un gruppo di giovani che si riunisse continuativamente
in un Centro per scopi semplicemente amicali (stare assieme, senza
dover fare qualcosa) o per scopi politici (organizzare un movimento
di contestazione ecologica) dovrebbe essere scoraggiato. Non so se
ciò avvenga sempre, ma so che è avvenuto qualche volta.
A Torino invece gli utenti sono primariamente invitati ad aggregarsi
nei Centri d'Incontro, allo scopo principale di fare attività
"al di fuori". Non essendo i linguaggi un obiettivo principale
ma accessorio, un gruppo che volesse riunirsi periodicamente nel Centro
d'Incontro per fare teatro, ne sarebbe scoraggiato, anche solo per
motivi spaziali o organizzativi.
Mi riferisco ovviamente a modelli teorici, sapendo che le politiche
degli Enti difficilmente sono così coerenti da essere conseguenti
ovunque ed in ogni momento. Tuttavia una differenza viene anche nella
scelta del personale d'animazione e dunque nella preparazione di questo.
A Milano saranno più utili animatori di tecniche espressive;
a Torino saranno scelti animatori più esperti nelle tecniche
relazionali e nei contatti col territorio.
Un'altra distinzione va fatta fra obiettivo e sub-obiettivi. Questi
sono segmenti del primo. Per esempio, se l'obiettivo è sensibilizzare
un quartiere alla prevenzione dei fenomeno di tossicodipendenza, un
sub-obiettivo può essere la creazione di gruppi volontari di
animazione dei giovani adolescenti; e sub-obiettivo di questo può
essere la raccolta di molti giovani per la partecipazione ad un corso
di formazione all'animazione.
Obiettivi e risorse
Nello scegliere un obiettivo non si può non tener conto delle
risorse. Può darsi che l'animatore o l'amministratore locale
intravveda un obiettivo molto importante, ma per esso non siano disponibili
sufficienti soldi o persone o competenze. Il Comune di Genova sta
aprendo una decina di Centri di aggregazione e tempo libero nella
città; l'obiettivo sembra buono, ma lascia perplessi il fatto
che non si parla di reclutamento, selezione e formazione degli animatori.
Mettere in mano dieci Centri a giovani di buona volontà, in
una città piena di problemi come Genova, è una sicura
predestinazione al fallimento. La questione delle risorse umane è
una delle più tragiche in questo settore. Interi piani di centinaia
di milioni falliscono perché gli Assessori non si rendono conto
di non disporre ne di personale comunale ne di collaborazioni sul
"campo" minimamente qualificate.
Ne sembra che i politici locali abbiano intenzione di lavorare in
prospettiva. Non abbiamo notizia di tentativi di respiro regionale
o interregionale per la formazione del personale dell'animazione e
del tempo libero.
Stante l'attuale deserto, occorre a maggior ragione valutare attentamente
se le risorse disponibili sono in grado di ottenere qualche risultato.
Fra le risorse indichiamo anche gli spazi. Due Comuni come Massa e
Pordenone, che pure hanno tentato lodevoli iniziative, non sono ancora
riusciti a trovare in ogni Circoscrizione nemmeno un locale come sede
del Centro d'animazione. Meglio hanno fatto Comuni come Torino, Milano,
Forlì , che si sono sforzati di reperire degli spazi. Fra le
risorse, non lo diremmo mai abbastanza, c'è il volontariato.
Non solo quello delle associazioni di tempo libero, ma anche quello
degli individui, dei gruppi spontanei. È chiaro che sviluppare
un progetto d'intervento in una zona politicamente sensibile (cioè
con un Consiglio di Circoscrizione che funziona), nella quale operano
gruppi spontanei ed associazioni, è assai più efficace
che svilupparlo nel deserto.
Può anche darsi che qualche amministratore coraggioso voglia
cimentarsi col deserto, ma allora deve farlo seriamente, cioè
investendo in spazi, attrezzature e persone. Non certo facendo una
kermesse all'anno!
Efficacia degli interventi e sua verificabilità
Questo discorso apre il problema dei livelli di efficacia di un intervento
e della loro verificabilità. Abbiamo detto che un vero intervento
deve essere efficace (cioè ottenere la soddisfazione di un bisogno)
e che tale efficacia deve essere verificabile. Su questo terreno bisogna
sperimentare e dibattere ancora molto, ma dobbiamo iniziare.
Possiamo intanto affermare che un intervento è tanto pili efficace
quanto più protratta nel tempo è la durata dei
suoi effetti. In altre prole, è efficace un intervento che mette
in moto meccanismi moltiplicatori. Asserire che un intervento socioculturale
è inverificabile equivale a dire che esso non può avere
alcun obiettivo che se stesso.
Questo vuoi dire anche che non è valutabile, cioè che
tutto può andar bene. A questo punto l'unica discriminante resta
la dichiarazione ideologica, l'immagine pregiudiziale, l'interesse privato,
la simpatia. Se fosse sempre così, dovremmo impedire che danaro-collettivo
sia spesso per interventi culturali. Io credo invece che sia così
ora, ma che la situazione possa ambiare, attraverso il
dibattilo, la ricerca e la sperimentazione.
Se una delle aree d'intervento dell'animazione è la cultura e
la padronanza dei linguaggi, dobbiamo cominciare a valutare i programmi
culturali (cinema, teatro, mostre) in base, per esempio:
1. al numero di libri venduti o prestati dalle biblioteche del territorio
interessato;
2. al numero di nuovi gruppi che si aggregano per "fare cultura"
coi diversi linguaggi;
3. al numero di istituzioni sorte in conseguenza del programma sul territorio.
Si tratta di tre semplici indici facilmente controllabili da chiunque,
che tuttavia dovrebbero poter fare giustizia delle centinaia di Assessori
Presidenti di sistemi bibliotecari, funzionari regionali che sperperano
il pubblico danaro. Se l'obiettivo dell'intervento è l'animazione
alimentare occorre fissare a priori indici di verifica dei mutamenti
nelle abitudini alimentari. Se l'obiettivo è l'aggregazione di
quartiere, occorre misurarne la efficacia dall'aumento della partecipazione
delle istituzioni oppure dalla proliferazione dell'iniziativa politico-sociale
spontanea. Un obiettivo che non si sa come verificare, significa che
non è serio o che non siamo ancora pronti per cercare di raggiungerlo.
Dichiarare i modi di verifica dell'obiettivo equivale a consentire di
essere sottoposti ad una valutazione professionale, ed è solo
questo che farà uscire l'animazione ed il lavoro culturale dal
ghetto dell assistenza e della superfluità.
L'animazione socioculturale deve poter dimostrare di essere utile ed
efficace come leva per migliorare la convivenza. Ma deve riuscire a
dimostrarlo nei fatti, non in base a dichiarazioni ideologiche o romantiche.
2.3 Animare chi?
Abbiamo già accennato che la variabile utenza entra, contemporaneamente
ad altre, nel processo di determinazione dell'obiettivo Per esempio
negli anni scorsi era assai diffusa la scelta di obiettivi sull' infanzia,
anche perché pochissimi animatori erano in grado di lavorare
con gli adulti. È attuale il dibattito sul modello torinese,
per il quale si pongono problemi non semplici di convivenza, negli stessi
Centri di Incontro, di pensionati e di giovani. La scelta di fasce di
età determina gli spazi, i tempi di lavoro degli animatori, le
attrezzature, le competenze degli animatori.
La competenza degli operatori varia poi molto se l'utenza è scelta
al primo o al secondo livello.
Per primo livello intendiamo i cittadini-individui, utenti in
quanto persone; per secondo livello intendiamo gli utenti organizzati
in associazioni e gruppi, oppure le istituzioni. È intuitivo
che se l'intervento è rivolto direttamente ai bambini che vengono
al Centro, all'animatore si richiedono competenze più limitate
che se il servizio si rivolge alle scuole. In questo secondo caso ci
saranno certo anche i bambini, ma prima di arrivare ad essi l'animatore
dovrà "animare" organi collegiali, dirigenti scolastici,
e insegnanti (oltre che, qualche volta, il personale non docente).
1. Interventi al primo livello
A livello dell'utente singolo possiamo identificare interventi per tutta
la città o per porzioni di essa (circoscrizione o zona, quartiere,
caseggiato, parrocchia), cioè per tutti i cittadini indipendentemente
dall'età, dal sesso, dal mestiere. Oppure possiamo prevedere
interventi centrati sui ruoli professionali o sociali: gli insegnanti,
le madri, i giovani disoccupati, i pensionati, i lavoratori in cassa
integrazione.
Oppure interventi per età: bambini, adolescenti, giovani,
adulti, anziani. Oppure per categorie di svantaggio: i drogati,
i giovani delinquenti, i barboni , gli handicappati fisici, i dimessi
dall'ospedale psichiatrico. Attualmente sta passando in Italia il modello
del quartiere o della città, ma con un grosso equivoco di fondo.
Poiché negli anni '70 gli interventi erano particolari e settoriali
(di solito i settori erano: bambini, anziani, vacanze) e mostrarono
i grossi limiti di questa settorialità, la nuova parola d'ordine
e "territorio" e "operatore polivalente". Queste
due parole sono interpretate nel senso peggiore, e producono interventi
senza obiettivi, calderoni confusi, e approcci pasticcioni all'insegna
degli "animatori che fanno tutto, per tutti insieme". Il che
è sbagliato quanto la settorializzazione precedente. Certamente
gli inferenti migliori sono quelli orizzontali e gli animatori più
bravi sono quelli polivalenti e flessibili. Ma questo non ha nulla a
che vedere con l'annacquamento ed il pressapochismo. Occorre introdurre
nei progetti territoriali e polivalenti, delle articolazioni spaziali
e temporali, oltre che di utenza.
Fare un progetto urbano non significa riproporre l'adunata del sabato
fascista nella piazza principale; ma fare un progetto che intervenga
su tutte le fasce di utenza, per diversi bisogni, con strumenti molteplici,
in tempi e spazi diversificati. Nulla vieta che si giunga ad iniziative
comuni per tutte le utenze, purché si sia consapevoli che questo
è un obiettivo e non un dato di partenza ne un obbligo. Mettere
in uno stesso spazio giovani devianti, anziani e bambini significa prima
o poi vedere due di questi tre gruppi andarsene (di solito gli anziani
ed i bambini). Allora occorre prevedere spazi e tempi comuni, a lato
di spazi e tempi riservati alle diverse utenze; ed animatori che siano
polivalenti nel senso che sanno usare per ciascun utente l'atteggimento
e le tecniche appropriate, non nel senso che si comportano allo stesso
modo con tutti.
2. Interventi al secondo livello
Vorrei soffermare l'attenzione sull'ipotesi di interventi al secondo
livello: quello delle associazioni e delle istituzioni.
Lavorare con utenza al primo livello significa investire una grande
mole di risorse; spesso significa fare del Centro socioculturale un'Ente
in concorrenza con organizzazioni esistenti; infine vuol dire rinunciare
all'effetto moltiplicatore.
Molti Centri socioculturali (di tempo libero, d'Incontro, bibliotecari,
ecc.) si offrono al mercato dell'utenza in concorrenza con altre organizzazioni
come l'oratorio, la banda locale, il gruppo scout, l'Arci, gli ex-alpini
e così via. Questo è un errore politico e tattico.
L'intervento socioculturale deve semmai fare ciò che nessun
altro organismo realizza e valorizzare ciò che le aggregazioni
esistenti già fanno.
Credo che l'animatore debba affiancare a progetti che si rivolgono
all'utenza diretta, anche progetti che si indirizzino alle aggregazioni
esistenti. Lo stesso vale per gli amministratori locali. Gli Assessori
che buttano soldi per chiamare il ballerino californiano di richiamo,
sono anche quelli che fanno marcire le istituzioni ed i gruppi già
operanti sul territorio. Lavorare anche con utenti di secondo livello,
richiede la scelta di obiettivi precisi e la messa in atto di capacità
particolari, che rendono l'animatore un "tessitore di connessioni".
I progetti di animazione socioculturale dovrebbero essere momenti
"trasformativi" di materiale inerte o scarico in energia
che si autosviluppa. Il progetto d'intervento deve rivolgersi dunque
all'utenza diretta (primo livello) e all'utenza dì secondo
livello. Quando questa non c'è o non risponde (ma bisogna prima
averla chiamata e correttamente), allora l'intervento sull'utenza
di primo livello deve proporsi di trasformarla in utenza di secondo
livello. Molti chiamano questo come "passaggio dell'animatore
al ruolo di organizzatore socioculturale".
Quali sono le utenze di secondo livello? Ce ne sono di tre tipi, secondo
una scala di formalità: i gruppi spontanei, le associazioni,
le istituzioni.
a) I gruppi spontanei nascono a centinaia e muoiono per asfissia,
cioè per carenza di aiuti. Aiuti non solo economici, ma anche
di informazioni, consigli, suggerimenti. Chi scrive fa parte di una
decina di gruppi spontanei e di associazioni, che da anni trovano
l'Ente locale indifferente e ostile. Avendo una certa esperienza,
ce la caviamo lo stesso. Ma quanti giovani vanno allo sbando, per
non avere avuto accoglienza al loro progetto di aggregazione?
Nessun Comune dovrebbe essere privo di alcuni servizi fondamentali
come:
1. una segreteria per il tempo libero che raccolga e distribuisca
informazioni su ogni iniziativa aggregata, e cerchi di promuoverla;
2. una "casa per le riunioni" dove ogni gruppo possa riunirsi
ad ogni ora del giorno e della sera, con la massima autonomia;
3. di una segreteria telefonica che ogni gruppo possa usare come recapito;
4. di un ufficio collettivo per la stampa e la spedizione di ciclostilati,
bollettini e notiziari;
5. di un magazzino collettivo in cui ogni gruppo possa mettere in
deposito apparecchi e attrezzature.
Questi servizi, nelle grandi città, potrebbero essere forniti
dai Centri socioculturali di circoscrizione.
b) Poi ci sono le associazioni, molte delle quali sono così
povere di mezzi da poter essere assimilate ai gruppi spontanei. Alcune
di esse invece sono importanti ed hanno una forza di aggregazione
anche a livello nazionale (Arci, Acli, Csi, per citarne alcune). Ogni
animatore ed ogni amministratore dovrebbe lavorare di concerto con
queste che sono moltiplicatori formidabili, che hanno alle spalle
decenni di storia e di esperienze , che dispongono di un volontariato
organizzato ed efficiente. Lavorare di concerto non significa ne mettersi
al loro servizio ne cercare di limitare la loro autonomia, ma semmai
condeterminare progetti d'intervento complessi ed articolati.
e) Infine ci sono le istituzioni: quelle politico-amministrative
(Comune,Circoscrizione), quelle dei servizi sociosanitari (USL), quelle
formative (scuole e biblioteche), quelle culturali (teatro comunale,
fondazioni, musei, ecc.). Tutte possono essere considerate utenti
di secondo livello in un progetto d'intervento socioculturale. Molti
Comuni non tentano neppure di coordinare le istituzioni interne, come
i servizi di animazione ed il Teatro Comunale. Ma un progetto d'intervento
non può non agire sulle istituzioni della città. Se
le istituzioni, in particolare quelle formative e culturali, non funzionano
non ha nessun senso fare interventi d'animazione di massa. Questo
non deve essere inteso come un invito a lavorare prima con le istituzioni
e poi con l'utenza di primo livello, ma come un suggerimento a non
dimenticare che un progetto d'intervento deve operare a più
livelli d'utenza.
Naturalmente questo suggerimento non esclude una pianificazione
di tempi e luoghi e modi diversi, a seconda dell'utenza. Invitare
ad una festa in piazza il Direttore del Teatro Comunale non equivale
infatti a lavorare "con l'utenza di secondo livello".
2.4 Quali attività ed in che modi?
Una volta deciso un obiettivo d'intervento, occorre riempire un programma
di attività, che dovrebbero consentire il raggiungimento dell'obiettivo.
Collegati all'attività, ci sono i modi o metodi con cui essa
è realizzata. Occorre che modi ed attività siano congrui
con l'obiettivo. L'esempio fatto prima, della festa di quartiere,
rappresenta il caso in cui i "modi" non sono congrui all'obiettivo.
Le attività sono praticamente infinite. Quello che manca oggi
nel nostro panorama è la fantasia. Gli schemi delle attività
sono pochi e vengono ripetuti all'infinito. Manca la sperimentazione
e la ricerca. Vediamo qualche caso.
a) La categoria di attività oggi più in voga è
quella della ricreazione- evasione effimera. Le feste di ogni
tipo imperversano. Poi ci sono gli spettacoli, il giochi, il viaggio-vacanza.
Può darsi che la ricreazione dell'uomo si debba necessariamente
basare sulle quattro dimensioni:
- mangiare-consumare (feste con gastronomia),
- guardare-ascoltare (shows),
- simulare (giochi),
- muoversi-spostarsi (ballo-viaggio).
Quattro sole dimensioni che in genere vengono combinate fra loro,
ma nei modi più tradizionali, ripetitivi e scontati. In altra
occasione ho cercato di analizzare le feste in un'ottica psicosociale,
per cui qui mi limito a osservare che presto la gente andrà
al lavoro per divertirsi, tanto sono ripetitive le feste! Ogni festa
è uguale a tutte le altre, qualsiasi sia l'Ente che la organizza.
Alle pendici dell'Etna come nel Friuli, con l'Unità o l'Amicizia,
con l'oratorio o gli anarchici, si tratta sempre delle stesse musiche,
gli stessi salsicciotti, gli stessi banchetti artigianali. Un processo
di omologazione e di equivalenza impressionante. Come attività
di animazione, dovrebbe essere proibita per legge ogni festa per tre
anni, in attesa che qualcuno inventi qualcosa di nuovo! Ho già
detto che ritengo assai pericoloso affidare all'Ente locale il divertimento
in quanto tale, a meno che sia utilizzato come strumento per un altro
obiettivo. Le attività ricreative evasive dovrebbero a mio
avviso non comparire negli interventi socio-culturali pubblici, se
non occasionalmente e strumentalmente.
b) Un'altra categoria tradizionale dell'intervento socioculturale
e india delle attinta culturali: teatro, cineforum, museo, mostre
biblioteche, conferenze-dibattiti.
Si tratta di proposte culturali finalizzate alla diffusione della
conoscenza prodotta da operatori professionali. Sono certo un aspetto
importante dell'intervento socioculturale purché: 1. diffondano
realmente stimoli culturali; 2. siano collocati a lato di serie possibilità
di produzione culturale.
Richiedendo che queste attività diffondano realmente cultura
e conoscenza, non mi riferisco affatto al loro presunto livello (arte
o non arte cultura alta o bassa) ma alle condizioni della loro fruibilità
cioè ai modi con cui tali attività vengono realizzate.
Perché un qualsiasi evento sia realmente stimolo culturale
credo che occorra anzitutto che cada su un'utenza in grado di percepirne
qualcosa. Altrimenti facciamo una provocazione, ma con la consapevolezza
che lo sia. L'utenza percepisce prodotti il cui contenuto e la cui
forma toccano i temi ed i modi della sua vita, toccano i suoi bisogni
e le sue aspirazioni. Astruserie, esotismo, sofisticazioni, equilibrismi
e contorsioni mentali sono prodotti vicini ai bisogni di un'élite,
che non deve certo essere "promossa culturalmente" dall'Ente
locale. Fanno parte di queste sofisticazioni anche certi recuperi
"finto-popolare" dei canti delle mondine dell'800 piemontese,
che sono i canti meno apprezzati dalle mondine odierne. Questo discorso,
che interessa solo tangenzialmente il contributo, vale per il teatro,
per la musica, per la lettura come per le conferenze. Queste attività
devono essere fruibili come stimolo culturale, cioè devono
servire a conoscere ed a riflettere, sulla vita di tutti i giorni.
Ma rischierebbero di diventare semplici induttori di atteggiamenti
contemplativi se non fossero collocate a lato di serie occasioni di
produzione culturale. Come abbiamo già detto, la cultura è
potere ma per attualizzarsi come tale, deve mettere tutti in condizione
di essere produttori. E qui si apre il discorso più serio dell'intervento
di animazione che può fare un'amministrazione comunale. Scuole,
laboratori, ateliers, spazi e mezzi in cui i cittadini possano imparare
a fare cultura, cioè a produrre musica, teatro, cinema, o letteratura:
questo è l'intervento culturale da fare da qui al 2000.
e) Grazie agli animatori ed ai Centri da essi condotti, che stanno
sorgendo ovunque, si apre una terza categoria di attività dell'intervento
socioculturale: quella dei linguaggi espressivi. I modelli
di Milano, Forlì, in parte, di Torino si sono avviati in questo
senso. Laboratori di attività manuali, grafico-pittoriche,
drammatiche, visuali musicali sparsi nelle città per avvicinare
i cittadini all'acquisizione dei linguaggi della produzione culturale.
Si tratta quasi di Centri di avviamento ai linguaggi, nei quali chiunque
può accostarsi agli strumenti di produzione. Queste attività
sono sicuramente una parte importante dell'intervento di animazione
socioculturale: ma, da una parte, lasciano intatto il problema di
istituzioni specializzante per l'approfondimento dei linguaggi; dall'altra,
aprono il problema del destino dei gruppi che si sono inoltrati nei
linguaggi quel tanto che basta per decidere di aggregarsi intorno
ad essi. Non è certo pensabile che i Centri di animazione divengano
dei luoghi specializzati per l'apprendimento dei linguaggi, a meno
di pensare a centinaia di piccoli Beaubourg-Conservatori-Offìcine.
Credo che i Centri socioculturali possono restare centri di "scoperta
e di smistamento" delle possibilità di esprimersi attraverso
diversi linguaggi. Ne condivido l'ipotesi milanese di utilizzare i
Centri come spazi-laboratori di gruppi aggregati, perché credo
che ciò farebbe dei Centri luoghi aperti soli agli appassionati,
cioè a pochi.
d) Esiste una quarta categoria di attività di animazione socioculturale,
che sta emergendo nel panorama italiano: la categoria delle attività
relazionali, di contatto e di collegamento; la categoria delle attività
di animazione istituzionale e di sensibilizzazione comunitaria.
Si tratta di attività che tendono alla costruzione di contenitori,
di varia grandezza e natura, il più grande dei quali è
la comunità territoriale (zona, quartiere, comune).
Si possono anche definire attività di "processo"
per distinguerle dalle precedenti che chiameremmo di "prodotto".
Sono attività e progetti che danno alle altre una connotazione
collettiva e partecipata, cioè comunitaria, senza la quale la
festa, la cultura ed i linguaggi sono solo forme e simulacri.
La festa infatti presuppone un "noi", la cultura ed i linguaggi
rappresentano la storia (il passato) ed il progetto (il futuro) collettivo
dell'umanità. L'animazione, come ogni strategia di cambiamento,
è la risultante della dimensione temporale e della dimensione
sociale: da una parte il passato, il presente ed il futuro e dall'altra
il noi, l'altro, il socius. Insomma la festa, la cultura ed i linguaggi
sono la dimensione temporale cui manca la dimensione sociale, a meno
che non vi sia la dimensione relazionale.
Far incontrare le persone ed i gruppi; andare a scovarli, metterli in
contatto; far aprire colloqui, conoscenze, rapporti; stimolare la definizione
di progetti comuni; stimolare l'apertura di persone, gruppi e istituzioni:
ecco alcune attività di questa categoria.
Operare una "ritessitura" della comunità, stimolando
la coniugazione della specializzazione con l'appartenenza. Dare importanza
agli incontri e alle persone, almeno quanta se ne da alle cose ed ai
fatti. L'animatore diventa così un perenne allestitore di "tavoli"
attorno ai quali siede la comunità; un restimolatore di energie
assopite ed un facilitatore di interventi sinergici; il gestore di un
"mezzo" che è anche messaggio, di un contenitore che
è al tempo stesso contenuto. Queste attività non importa
a cosa portano, perché il farle è già aver raggiunto
un obiettivo dell'animazione che è la socialità.
Gli strumenti principali di questa attività sono il colloquio
e la creatività, ma vanno bene anche la ricerca, l'informazione,
la festa, la cultura, i linguaggi.
Il colloquio, perché questa attività "connettiva"
e fatta di parole e di ascolto, domande e risposte; un continuo, incessante
parlare dell'animatore a tutti: utenti diretti ed indiretti, amministratori,
mezzi di comunicazione , colleghi. Ma un continuo ascoltare silenzioso,
attento,pronto a captare ogni piega dei discorso, ogni sfumatura, ogni
cosa sotterranea; un ascoltare partecipe e solidale, sensibile e critico,
autentico.
La creatività è necessaria, se intesa come divergenza,
dirottamento,apertura anticonformista, disponibilità al nuovo.
Serve per fantasticare nuovi percorsi, universi possibili, deviazioni
di rotta, da gettare sul tavolo del discorso e per offrire alla comunità
embrioni di futuro su cui iniziare un lavoro collettivo.
Determinare le attività ed i modi in conseguenza degli obiettivi
è comunque un'occasione per superare la separazione fra tempo
liber-cultura e lavoro-vita quotidiana. In una zona come quella del
Cuoio (Pisa) o come quella di Prato dove "l'incultura del lavoro"
provoca malattie fisiche e mentali di ogni genere, animazione socioculturale
significa incidere sul sistema produttivo, non occuparsi di "macchine
teatrali".
2.5 Animazione dove?
Oggi che l'animazione urbana sta esplodendo, si apre il problema
del dove farla. Affermo subito che la linea che consiglio è
quella della pludislocazione.
Dibattito ormai ventennale è quello fra centro e periferia.
Le Amministrazioni oscillano da periodi di, centralismo ossessivo
a decentramenti selvaggi. Oggi tende a prevalere il modello del
decentramento. A mio avviso il decentramento va perseguito ma con
due accorgimenti. Anzitutto decentramento non può essere
trasferimento alla periferia di prodotti e operatori del Centro.
Fare a Montesacro un'attività pensata per la zona di via
Condotti è come portare al Gratosoglio il Piccolo Teatro.
Si ottiene solo che gli habitués del Centro passino una sera
in periferia.
Però decentramento non può nemmeno essere una operazione
di campanilismo provinciale. Affidare a certi Consigli di Circoscrizione,
impreparati e dequalificati, tutte le scelte di politica culturale
della zona, porta solo alla moltiplicazione degli errori già
fatti dagli Assessori comunali. Si rischia di avere in Italia 10.000
Nicolini o 10.000 piccoli Bearzot che organizzano incontri fra "scapoli
e sposati" nei quartieri. Assisteremmo alla guerra dei "mini-zecchini
d'oro"; all'orgia di "tornei di scala 40"; alla "festa-mercato-continua".
Le Amministrazioni locali che assegnano fondi e operatori alle Circoscrizioni,
devono mantenere assolutamente un ruolo di proposta, di controllo
di qualità e di coordinamento delle varie iniziative. Gli
interventi d'animazione vanno dunque fatti al centro e in periferia.
Con l'accorgimento di lasciare una parte delle attività periferiche
in mano al centro, ed una parte delle attività centrali in
mano alla periferia.
Ma in quali luoghi fisici, opera l'animazione socioculturale?
La tendenza attuale è giustamente, quella dei "luoghi
riservati", come i Centri di Incontro, i Centri di Tempo Libero,
i Centratutto e così via. In genere sono strutture polivalenti,
affiancate al Consiglio di Circoscrizione, alla biblioteca o ad
una scuola. Questi luoghi appositi sono necessari sia per dare agli
operatori un Centro organizzativo, sia per dare un riferimento all'utenza.
Tuttavia crediamo che l'animazione debba svolgersi solo per una
parte nei centri appositi. Per gran parte essa deve svolgersi nelle
sedi di associazioni o istituzioni, nelle strutture culturali e
ricreative culturali e ricreative del quartiere; ma anche nei campi
gioco all'aperto, nei parchi e giardini, nelle strade e nei circoli,
persino nei bar.
Nella logica dell'animatore inteso come "ricucitore",
egli può e deve fare uso di tutto resistente per aggregare
l'utenza. Perché organizzare qualcosa nel Centro socioculturale,
quando magari una iniziativa promossa nel quartiere da un gruppo
o un'associazione, va deserta? Perché mobilitare persone
apposta per un programma di educazione alimentare quando gli operatori
del consultorio sono a disposizione? Perché non sforzarsi
di riempire la biblioteca, il cinema parrocchiale, il museo di quartiere
o l'atelier di una cooperativa, prima di trascinare la gente nel
Centro socioculturale? Perché strappare la gente dal bar,
per portarla nel Centro a fare un torneo di scacchi?
2.6 Organizzazione interna degli animatori
La realizzazione di uno o più interventi di animazione nella
città richiede una vera e propria organizzazione degli animatori.
Sia che essi siano tutti dipendenti comunali, sia che siano a convenzione,
sia che abbiano un contratto di collaborazione professionale, gli
animatori devono organizzarsi con una struttura permanente
che all'occasione si renda flessibile per progetti particolari.
Il problema non è semplice perché è legato alla
struttura dei servizi socioculturali comunali, ma è anche legato
alle competenze richieste per ciascuna équipe. Per esempio
Forlì, ed in parte anche Milano, tendono a specializzare i
Centri di quartiere intorno ad un gruppo di linguaggi omogenei, coerentemente
con la loro scelta d'obiettivo.
Questo comporta che ogni Centro disponga delle competenze specialistiche
necessario. Torino invece, che è centrata sul quartiere, presenta
una maggiore despecializzazione nei diversi Centri, come è
avviata a fare Genova. Finché si tratta di fare interventi
di quartiere, le cose sono relativamente semplici. Ma si complicano
quando si vuole fare un intervento urbano, come era il caso di Massa.
Che significa intervento urbano? Si può intender come:
- centrato sulle istituzioni centrali della città (teatro comunale,
biblioteca centrate, piazza);
- scomposto in tanti sotto-progetti quanti sono i quartieri (collegati
dallo stesso tema);
- scomposto in tante parti quanti sono i quartieri (con ogni parte
che confluisce al centro);
- scomposto in 2/3 parti geograficamente significative (centro-periferia
oppure monte-mare);
- scomposto in 2/3 parti significative operativamente (gruppo logistico
- gruppo istituzioni - gruppo spettacolo, ecc.).
Ciascuno di questi modelli ha vantaggi e svantaggi, ma modifica i
processi di lavoro culturale e quindi le mansioni e le capacità
richieste. Se questa è la problematica dell'organizzazione
di un intervento urbano, ne esiste un'altra legata alla struttura
permanente. Non parlo della struttura formale-istituzionale (cooperative-contratto,
ecc.) ma dell'organizzazione funzionale. Il servizio di animazione
socioculturale di una città è un'organizzazione di lavoro
che deve produrre animazione: la sua organizzazione non è trascurabile
rispetto ai processi di lavoro ed ai prodotti del lavoro.
Il primo problema è l'assegnazione dei luoghi di lavoro
e la composizione delle équipes.
In genere gli animatori tendono, per comodità e desiderio
di rassicurazione, ad operare nel loro quartiere di residenza e/o
con colleghi molto affini. Ma questo è nell'interesse del lavoro
socioculturale? In parte si, perché è ovvio che operatori
poco professionali e psicologicamente gracili, avrebbero un assai
scarso rendimento in un territorio sconosciutoed in un'equipe poco
gratificante. Però ci sono degli svantaggi. Il primo è
che l'animatore che opera nel quartiere, subisce i limiti derivanti
dalla conoscenza che di lui hanno gli utenti. Per esempio sul piano
politico: quale credibilità e fiducia otterrebbe un animatore
molto colorato partiticamente? Susciterebbe diffidenza ed ostilità
da parte di tutti coloro che sono di partiti politici diversi. Quale
autorevolezza avrebbe l'animatore nei confronti della sua ex-scuola
media, della sua parrocchia, del suo caseggiato?
Il secondo svantaggio riguarda l'omogeneità dell'equipe. Poche
differenziazioni equivalgono a scarso dibattito e confronto, a poca
creatività e complementarietà.
L'omogeneità "affettiva", nei gruppi corrisponde
di solito ad omogeneità nelle pratiche e nelle tecniche d'animazione,
e spesso si basa su rapporti di dipendenza. Perciò assecondare
questa esigenza, per l'amministrazione, può voler dire scarsa
vitalità nelle équipes e scarsa flessibilità,
oltre che ristretto ventaglio di capacità.
Il secondo problema che si pone nelle équipes di Circoscrizione
e resistenza e le funzioni di un coordinatore.
In genere le Amministrazioni preferiscono avere un solo interlocutore
ed un solo responsabile del lavoro. Questo tuttavia fa sorgere un
livello gerarchico, che, se mal gestito dal coordinatore, rischia
di disturbare lutto il lavoro.
Per esempio, il coordinatore tende ad accentrare in se le informazioni
sia del territorio che dell'Amministrazione. Se non è capace
di far girare ampiamente queste informazioni, l'equipe viene espropriata
di dati utili per gli interventi. Ancora, il coordinatore ha di solito
un compito di controllo delle presenze e degli orari: ruolo spiacevole
che rischia di innescare complicità o malumori. Infine il coordinatore
deve ridurre la sua presenza attiva con l'utenza, per dedicare tempo
alla preparazione ed ai contatti. Questo può portare ad una
eccessiva separazione fra il suo lavoro che assume connotati più
prestigiosi e quello dei colleghi, che si assimila a lavoro esecutivo.
Una soluzione al problema potrebbe derivare dalla rotazione periodica
del coordinatore, ma questo apre problemi di formazione e di retribuzione.
Un terzo problema, assai delicato, e quello del coordinamento
a livello comunale.
Molti progetti di mia conoscenza sono falliti per carenze a questo
livello. Non è possibile sperare che il coordinamento comunale
funzioni se le persone che se ne occupano hanno meno capacità
e prestigio degli operatori periferici. Ne certamente il coordinamento
comunale può essere inteso come semplice livello gerarchico
di distributore di ordini, controlli e sanzioni. L'animatore socioculturale
non può essere messo nelle condizioni di "eseguire"
un ordine, perché il lavoro culturale si basa sulla libertà
e creatività personale dell'operatore. Una linea del genere
burocratizzerebbe ben presto l'intero servizio (con sintomi di disaffezione,
assenteismi, resistenze passive) oppure produrrebbe un'elevata conflittualità
fra centro e periferia. Il centro deve promuovere, stimolare, armonizzare
e supportare le équipes periferiche; dirimere i conflitti;
rappresentare le loro istanze professionali verso l'Amministrazione.
Naturalmente è utile che al centro non vi sia un solo coordinatore,
ma almeno due o tre, il che consente collegialità e complementarità.In
qualche caso è possibile che al centro pervengano a rotazione
i coordinatori periferici. In ogni caso il centro non può svolgere
la sua funzione di coordinamento senza essere affiancato da organismi
del tipo "assemblea degli animatori" o "conferenza
dei coordinatori", che servono da diffusori dell'informazione,
omogeneizzatori degli interventi, spazi di dibattito interno. Va chiarito
che questi organismi sono strettamente professionali, perciò
devono esulare da essi le questioni sindacali, che troveranno altra
sede per esprimersi.
L'assenza di questi organismi collegiali di coordinamento, provoca
sia un'eccessiva gerarchizzazione fra centro e periferia sia un totale
scollamento degli interventi periferici, che devono invece mantenere
un'unità di fondo che rispecchi la politica della città.
Inoltre l'assenza di movimenti di incontro collettivo, rende assai
improbabile la possibilità di realizzare anche una sola volta
all'anno interventi urbani coordinati. Invece una città, specie
di media grandezza, può trarre grande giovamento da progetti
periodici di respiro urbano, che si affianchino ai progetti periodici
ed ai servizi permanenti di quartiere.
2.7 II progetto massese scaturito dal seminario
Come ho già detto, tutte queste cose e molte altre furono
il contenuto del lavoro durato quindici giorni, durante la seconda
tranche del Corso di Specializzazione del Comune di Massa.
Il programma dei lavori del seminario era il seguente:
MERC
|
ore 9-10.30
|
ore 11-12.30
|
ore 15.30-17
|
ore 17.30-19
|
ore 21-23
|
PLENARIA
|
Gruppi Base
|
Gruppi Base
|
PLENARIA
|
Incontro Circoscriz.
|
GIOV
|
Gruppi Base
|
Intergruppi
|
PLENARIA
|
Gruppi Base
|
|
VEN
|
Intergruppi
|
Intergruppi
|
Gruppi Base
|
PLENARIA
|
Incontro Associazioni
|
SAB
|
PLENARIA
|
PLENARIA
|
-
|
-
|
|
DOM
|
-
|
-
|
-
|
-
|
|
LUN
|
PLENARIA
|
Gr. Operativi
|
Gr. Operativi
|
Gruppi Base
|
|
MART
|
PLENARIA
|
Gr. Operativi
|
Gr. Operativi
|
Gruppi Base
|
|
MERC
|
PLENARIA
|
Gr. Operativi
|
Gr. Operativi
|
Gruppi Base
|
|
GIOV
|
PLENARIA
|
Gr. Operativi
|
Gr. Operativi
|
Gruppi Base
|
|
VEN
|
PLENARIA
|
Gr. Operativi
|
Gr. Operativi
|
Gruppi Base
|
|
SAB
|
IN
|
TER
|
VEN
|
TO |
|
DOM
|
IN
|
TER
|
VEN
|
TO |
|
LUN
|
Gruppi Base
|
Gruppi Base
|
PLENARIA
|
PLENARIA
|
|
MART
|
Gruppi Base
|
Gruppi Base
|
PLENARIA
|
PLENARIA
|
|
*-Allegato
Progetto di massima dell'evento finale del Corso
di Specializzazione animatori di Massa
"Obiettivo: sensibilizzazione della popolazione ai problemi
culturali di Massa"
1. GRUPPO ZONA MARINA DI MASSA
Venerdì pomeriggio
- preparazione manifesti pubblicitari per dibattito popolare
(sabato sera)
- contatti con associazioni, gruppi di base, consiglieri di
Circoscrizioni e Partiti
Sabato mattina
- interviste nei luoghi di ritrovo popolari (bar, strade,
piazze)
Sabato pomeriggio
- elaborazione dati
- creazione cartelli e pannelli
Sabato sera
- dibattito con gruppi e persone contattate (adulti)
- animazione per bambini
- spettacolo musicale
|
2. GRUPPO ZONA CENTRO
Venerdì pomeriggio
- contatti con giovani nei loro luoghi abituali di aggregazione
(scuole, bar, piazze)
- raccolta dati attraverso colloqui
Sabato mattina
- elaborazione dati
- interviste nelle scuole
Sabato pomeriggio
- dibattito nella zona "villette"
- dibattito a Romagnano
|
3. GRUPPO ZONA MONTAGNA
Venerdì pomeriggio
- contatti - interviste con organizzazioni culturali e
di tempo libero
Sabato
- indagine fra i cittadini sui bisogni culturali
- trattamento dati, elaborazione e visualizzazione
|
Domenica mattino e pomeriggio
- esposizione pannelli dei dati
- dibattito generale
|
Domenica mattino e pomeriggio
- esposizione cartelloni con dati
- dibattito generale
|
Domenica mattino e pomeriggio
- esposizioni dati
- concerto bandistico
- dibattito generale
|
LA DOMENICA I TRE GRUPPI CONFLUISCONO NELLA
STESSA PIAZZA CENTRALE
|
Il grande seminario-laboratorio fu preceduto da due giorni di conferenze
e discussioni con ospiti esterni che presentarono stimoli di esperienze
di animazione urbana. P. Ursino presentò la relazione di una
ricerca promossa dal Comune su "spazi e bisogni di tempo libero
a Massa"; A. Cavallara presentò l'attività del
Comune di Torino; M. Bellotti, presentò esperienze fatte nel
meridione dalla Società Umanitaria di Milano.
I conduttori dei gruppi di Base furono: G. Contessa, R. Martini e
M.V. Sardella, affiancati in veste di osservatori da G. Zenone, C.
Surini e C. Martignoni. Come si può intravedere dallo schema
orario presentato, dopo i due giorni di esperienze, i partecipanti
avevano tre giorni (nelle serate dei quali si incontravano con le
Circoscrizioni e con le Associazioni in un teatro cittadino) per delineare
l'intervento, cinque giorni per prepararlo, due giorni per realizzarlo
e due giorni per verificare ogni aspetto del processo e del prodotto.
Poiché questo contributo non riguarda l'aspetto formativo,
mi limito a riprodurre il progetto definitivo elaborato (vedi allegato*).
Mentre i momenti di Plenaria, Intergruppo e Gruppo Base erano condotti
dallo staff, i Gruppi Operativi era previsto che si autogestissero
potendo rivolgersi allo staff come una risorsa di consulenza.
Il progetto non viene presentato in quanto modello perfetto. Ma soprattutto
per rispetto a tutti i partecipanti che si sono impegnati allo spasimo.
D'altronde non avevamo particolare interesse al prodotto, trattandosi
di una situazione formativa e da laboratorio. Ciò che ci interessava
era il processo attraverso cui il progetto veniva pensato, deciso
e realizzato. In questo processo i partecipanti dovevano imparare
quanto più possibile sui problemi principali che si incontrano
nella realizzazione di un intervento urbano. E credo che ci siamo
riusciti con quasi tutti i partecipanti.
*Estratto da QUADERNI DI ANIMAZIONE SOCIALE- ANIMARE
LA CITTA'- Isameps, Milano, 1982, pag.151- 174
|