Presentazione del corso: metodologia, contenuti e tecniche di Guido Contessa*

Sommario

1. L'impostazione metodologica del Corso ed il ruolo professionale degli animatori
2. Problemi di contenuto e di obiettivi
2.1 Inserimento ed integrazione degli animatori nella scuola
2.2 L'apertura ai quartiere
3. Problemi di metodo e di organizzazione
4. L'articolazione del progetto di Massa: 13 seminari - metodo - tecniche formative- riorientamento permanente del Corso - funzionamento dello staff

ALLEGATI

" A ": Programma del Corso per operatori socioculturali di Massa '79

" B": Staff del Corso per operatori socioculturali di Massa '79

1. L'impostazione metodologica del Corso ad il ruolo professionale degli animatori

II primo problema che abbiamo dovuto affrontare nella progettazione di questo Corso, come in altri casi simili, è stato quello della precisa determinazione degli obiettivi. Da una serie di colloqui avuti con funzionari e rappresentanti politici dell'Amministrazione comunale di Massa, è emerso come obiettivo " la preparazione di operatori socioculturali, in grado di lavorare nelle attività integrative della scuola elementare, ma nella prospettiva di un'apertura al quartiere e di un coinvolgimento di tutte le categorie di cittadini ".
Gli obiettivi formativi erano dunque diversi, perché comprendevano sia l'area della scuola sta quella del quartiere.
La scuola è un'istituzione semi-chiusa, con regole interne ed obiettivi specifici, che vede come attori principali gli insegnanti ed i bambini, II quartiere è una realtà aperta e magmatica, spesso poco identificata, i cui attori sono i lavoratori, le donne, gli handicappati, gli anziani. Verso la scuola l'obiettivo principale degli operatori doveva essere quello dell'innovazione; verso il quartiere quello della partecipazione.
I partecipanti al Corso eran per lo più giovani privi di occupazione ma anche di esperienze di lavoro socioculturale. Una minoranza poteva vantare una breve esperienza estiva di animazione rivolta ai bambini in città. Proprio verso la fine del '78 sono usciti due volumi che presentano due diverse esperienze, indirizzate ad obiettivi simili, realizzate nell'area bolognese ed in quella torinese. Da quanto si recepisce dai resoconti relativi, questi progetti, seppure recentissimi, risentono di un'impostazione metodologica piuttosto vecchia. Nel caso di Torino, si è sviluppato, nell'arco di un biennio, un lavoro eminentemente teorico, affiancato da discussioni di gruppo che dovevano avere funzione " attivizzante ". Nel caso di Bologna, si sono affiancati ai momenti teorici, momenti tecnici. Siamo nella tradizionale concezione della formazione come " trasmissione " di conoscenze, o come " esercitazione " su tecniche. L'unica novità consiste nell'ammettere che sia le conoscenze che le esercitazioni possono anche essere discusse in gruppo.
Sarebbe interessante conoscere quale è stato il tasso di divergenza concesso a queste discussioni di gruppo, ma i due testi non ce lo dicono. Purtroppo per i partecipanti bolognesi e torinesi, la loro esperienza risulta inquinata dal fatto che sono stati affidati a " mani accademiche " delle rispettive università, i cui docenti, ancorché spesso palesemente incapaci di svolgere un corretto lavoro all'interno della loro istituzione, stanno tentando di trasferire i propri insuccessi a livello di territorio.
La gestione di un ruolo professionale, tanto più in un'attività sociale, richiede conoscenze teoriche, capacità strumentali ed attitudini comportamentali.
L'idea che solo le prime due possano rendere un operatore capace di incidere sulla realtà, è un vecchio retaggio illuministico, appena rinfrescato dal positivismo e dal tecnicismo novecentesco. Nessun buon tecnico e nessun buon accademico hanno mai prodotto un qualsiasi cambiamento sodale concreto. Un operatore socioculturale usa teorie e tecniche solo per una piccola parte della sua giornata di lavoro. Per la gran parte di essa, egli si esprime, comunica, lotta, attiva relazioni con altri individui o con gruppi, si muove dentro o contro istituzioni di ogni genere, inventa, provoca, aiuta. L'operatore passa gran parte del suo tempo nel mettere in atto comportamenti sodali che ne conferenze accademiche, ne " botteghe " sui " linguaggi " hanno mai incentivato. L'apprendimento professionale è anzitutto apprendimento di comportamenti, o meglio di capacità, psicologiche. Inoltre, se l'animazione socioculturale è un'attività che tende a far superare agli utenti la alienazione in cui vivono, è indispensabile che l'operatore abbia almeno avviato il processo della sua propria animazione-disalienazione. Apprendimento per l'animatore è quindi, anzitutto, disapprendimento. Ogni attività rivolta ad operatori sociali deve prevedere l'acquisizione di specifiche capacità psicologiche ed il disapprendimento di comportamenti alienati.
È sulla base di queste considerazioni che la progettazione del Corso si è ispirata alla mozione redatta a conclusione del " Convegno europeo sulla formazione degli operatori socioculturali", tenutosi a Zurigo, nel novembre '78, per iniziativa dell'ELRA e dell'UNESCO. In questa mozione è indicato come sia indispensabile che ogni iniziativa formativa rivolta ad animatori o operatori socioculturali, comprenda 1/3 di contributi teorici,1/3 di esperienze tecniche e strumentali ed 1/3 di sensibilizzazione personale. Questa impostazione deriva dalla psicologia francese che prevede una formazione a tre aspetti interconnessi: il sapere, il sapere fare ed il saper essere. Il sapere comprende le teorie, i concetti, l'informazione; il saper fare riguarda le tecniche, gli strumenti, i linguaggi; il saper essere concerne le attitudini, gli atteggiamenti ed i comportamenti.
In base a questa impostazione è necessario, nel progettare un intervento formativo, identificare con precisione quali teorie, quali tecniche, quali capacità psicologiche sono indispensabili per il ruolo professionale in questione.

2. Problemi di contenuto e di obiettivi

Gran parte de! lavoro di questi animatori consiste nel " giocare " coi bambini, nelle ore pomeridiane.
Naturalmente qui il giocare, non è inteso come un'assistenza o, peggio, come una attività di custodia. Il gioco delle attività integrative è un mezzo per finalità educative. Esso deve divertire, rilassare, rendere sereni i bambini, ma insieme deve consentire loro una crescita personale, un'appropriazione di linguaggi diversi da quelli curricoli, una esperienza genuina di espressione creativa e di socializzazione.
Gli animatori devono dunque essere in grado di fare giocare i bambini in una prospettiva educativa. Devono cioè possedere delle tecniche di gioco,di espressione, di socializzazione, ma anche basi teoriche personali e tecniche più squisitamente educative; osservare i bambini, interpretare i loro bisogni e comportamenti, programmare le attività, realizzarle e verificare risultati. Questa attività è svolta all'interno di una istituzione, quella scolastica, e per conto di un'altra istituzione, quella comunale.
Una tale condizione genera numerosi problemi, che l'animatore deve essere in grado di gestire al pari di quelli educativi.

2.1 Inserimento ed integrazione degli animatori nella scuola

Verso la scuola, il primo problema che sorge, è quello dell'inserimento degli animatori, e della effettiva integrazione fra le attività pomeridiane e quelle mattutine.
Già a semplice inserimento richiede a consenso attiro delle famiglie e della struttura scolastica. Se il primo a Massa era dato, anche grazie alla esperienza dell'estate precedente ed ai bisogni oggettivi di una città deprivata di servizi ricreativi, il secondo richiedeva una strategia ed una tattica molto raffinate. Ottenere spazi agibili, la collaborazione dei commessi e la diminuzione dei " compiti a casa " degli insegnanti sono obiettivi raggiungibili solo se gli animatori sono in grado di presentare programmi convincenti, iniziative non troppo turbative dell'organizzazione scolastica, capacità relazionali e di mediazione. Arrivare poi all'integrazione, significa compiere una lunga marcia all'interno del " potere insegnante ", che richiede competenze pedagogiche e sensibilità politiche. Saper gestire rapporti produttivi ed innovativi con i singoli insegnanti, con i direttori didattici, con i consigli di classe e di circolo; questa è la capacità cruciale per ogni operatore che voglia fare animazione " dentro " la scuola.
Il fatto di svolgere questa azione per conto dell'Amministrazione comunale è sempre un fatto che aggrava i problemi. Anche se non ci sono vere opposizioni ideologiche fra il corpo scolastico e quello comunale (fenomeno diffuso e presente anche a Massa), l'Amministrazione comunale è sempre considerata un'intrusa dalla scuola. La reiezione dei suoi operatori e quasi sempre automatica e pregiudiziale. Per gli operatori, l'Amministrazione rappresenta l'autorità gerarchica, cioè un'altra autorità cui fare riferimento oltre a quella scolastica. L'Amministrazione comunale ha la sua burocrazia, le sue norme interne scritte e non scritte, con cui gli operatori devono fare i conti. In particolare si nota quasi sempre un fenomeno, molto complesso da gestire per gli animatori, di doppia comunicazione da parte dell'Amministrazione. Da una patte essa chiede agli animatori aggressività, creatività, efficacia per entrare con successo innovativo nella cittadella scolastica, dall'altra però chiede remissività, dipendenza, comprensione verso se stessa e le sue inevitabili difficoltà. Questo sistema di doppio messaggio è ancora aggravato dal fatto che, in caso di conflitto fra autorità scolastica e comunale, le mediazioni vengono trovate a livello di vertice, quasi sempre sulla testa ed a spese degli operatori. E' molto facile che l'autorità scolastica si allei con le famiglie e che il dissenso di queste spaventi l'Amministrazione, fino a portarla a utilizzare alcuni animatori come capri espiatori. Tutto ciò richiede negli operatori socioculturali grosse capacità contrattuali e mediatorie, sicurezza, prudenza, autonomia e coesione collettiva.

2.2 L'apertura ed quartiere

Un obiettivo esplicito dell'operazione attività integrative era l'apertura al quartiere ed il coinvolgimento massimo di tutti gli abitanti. Non solo perché le attività coi bambini dovevano portarli fuori dal ghetto scolastico,ma anche perchè si voleva attivare la partecipazione degli adulti ed alimentare la loro sensibilità ad attività ricreative e culturali comunitarie. Gli operatori dovevano dunque avere capacità di rapporto con gli adulti, richiede conoscenze teoriche e tecniche (come si fa ad animare un quartiere?), ma anche capacità psicosociali: saper indagare la realtà del quartiere, interpretarla, inserirsi in essa e vitalizzarla al massimo.

3. Problemi di metodo e di organizzazione

Oltre a questi problemi di contenuti ed obiettivi, si ponevano problemi di metodo e di organizzazione.
A livello di plesso scolastico il lavoro non può che essere condotto dal gruppo degli operatori, unico ente che può dialogare col Consiglio di classe o interclasse; che può consentire una programmazione delle attività;che offre uno spazio di solidarietà e di dibattito fra operatori.
A livello di quartiere, gli operatori devono lavorare come insieme dei gruppi di plesso, cioè come intergruppo; unica dimensione spaziale ragionevolmente interlocutoria della comunità.
Nei rapporti con l'Amministrazione, gli animatori devono operare come assemblea coesa e solidale, pena il rischio di manovre autoritarie o clientelari. Tutto ciò porta con sé l'esigenza per gli operatori di saper funzionare a più livelli: individuale, di piccolo gruppo, di intergruppo e di assemblea.
Come si possono insegnare queste capacità, mediante dotte conferenze accademiche o botteghe di linguaggi?

4. L'articolazione del progetto di Massa

Partendo da queste considerazioni il progetto ha previsto tredici seminari,per complessive 39 giornate, nell'arco di circa tre mesi Nei tre mesi della durata del Corso, che veniva svolto nei giorni di venerdì, sabato e domenica, i partecipanti operavano sul campo, svolgendo attività integrative nelle scuole dietro pagamento di una modesta retribuzione. Anche se il Corso non è stato impostato nelle forme di una consulenza sul lavoro in atto, è ovvio che questa coincidenza di studio e lavoro ha consentito una interdipendenza fra i due momenti.

4.1 Come si può vedere dall'allegato" A ", dei 13 seminari: 3 sono di impostazione prevalentemente teorica (nn. 1-5-13), 3 sono focalizzati principalmente sulla sensibilizzazione personale (nn. 2-9-11), 7 sono essenzialmente tecnico-strumentali (nn. 3-4-6-7-8-10-12). Ciascuno dei seminari, in base al suo carattere prevalente, è stato condotto con una metodologia specifica, che tuttavia lasciava spazio al raggiungimento di sub-obiettivi. Così i seminari teorici si sono basati sulle comunicazioni di esperti, cui però si sono alternati, discussioni ed approfondimenti di gruppo. I seminari di sensibilizzazione personale, hanno privilegiato il metodo dell'autocentratura, ma non hanno trascurato le concettualizzazioni teoriche e l'uso di tecniche trasferibili sul campo (con i debiti adattamenti). I seminari tecnico-strumentali sono stati impostati sul lavoro attivo, sul laboratorio, alternato da discussioni di gruppo, concettualizzazioni e riflessioni autocentrate sui processi.

4.2 Sul piano del metodo ogni seminario, pur essendo strutturato precedentemente, lasciava ampi spazi di gestione e cambiamento ai partecipanti. In tutti i seminari i partecipanti sono stati messi in situazioni diverse, che consentissero loro di sperimentare alternativamente le tre dimensioni di piccolo gruppo, di intergruppo e di assemblea. In alcuni casi i piccoli gruppi sono stati formati omogeneamente, cioè con partecipanti al lavoro nello stesso quartiere. In molti casi si è favorito un raggruppamento diverso, in modo da offrire ai partecipanti; da un lato, sempre nuove occasioni di socializzazione e confronto; dall'altro, la possibilità di aumentare le relazioni e la coesione fra tutti i " novantacinque ".

4.3 Sul piano delle tecniche formative si sono usate, pur con intensità diverse, tutte quelle ritenute utili: direttiva, non-direttiva ed attiva. In tal modo i partecipanti hanno potuto sperimentare tre modalità di apprendimento (imparare da, imparare contro, imparare con} e tre diversi atteggiamenti (dipendenza, controdipendenza, interdipendenza).
Questo modello ha portato gli operatori a fare i conti con la dipendenza, la collaborazione, ma anche il conflitto verticale, verso lo staff, ed orizzontale (tra loro).
È proprio quest'ultimo elemento, il conflitto, che distingue il nostro programma da tutti quelli tradizionali. La gestione dei conflitti è un elemento cruciale della professionalità di un operatore sociale. Essa tuttavia viene rimossa dai programmi di formazione accademici, che trovano assai più gratificante insegnare, conservando però l'amore, l'ammirazione e la stima dei discenti (e magari anche il potere su essi).

4.4 Un altro cardine della metodologia del Corso è stata la considerazione che nessun progetto formativo può prescindere dalla realtà dei partecipanti e del territorio. Il programma è stato dunque inizialmente " contrattato " coi partecipanti, in una assemblea apposita, dopo che era stato a lungo contrattato con l'Amministrazione.
Poi lo stesso programma è stato considerato provvisorio, in modo da consentire adattamenti via via richiesti dai partecipanti o ritenuti utili dallo staff. Al fine di rendere più preciso il riorientamento permanente del Corso,è stata effettuata una ricerca in margine allo stesso, i cui risultati sono presentati nelle conclusioni di questo volume (pp. 319 e ss.). Con la somministrazione di quattro questionari successivi a tutti i partecipanti, ci si è dotati di un utile strumento di informazione, il quale, unito alle osservazioni dello staff, ha reso possibile adattare i seminari alle esigenze ed ai livelli di apprendimento dei corsisti.

4-5 Particolare importanza, nella metodologia del Corso, è stata data alla composizione ed al funzionamento dello staff (allegato " B ").
Molti di coloro che hanno partecipato con responsabilità formative al Corso,gravitano attorno alla rivista "Animazione Sociale " o lavorano in progetti di cui sono responsabili redattori della Rivista. La scelta degli altri non è avvenuta ne in base a titoli accademici, ne (come avviene spesso oggi un Italia) in base ad appartenenze ideologiche o partitiche. Nella scelta si sono tenute presenti la professionalità, non solo nel campo specifico, ma anche nella formazione degli adulti in genere; l'esperienza nel lavoro socioculturale e nella formazione di operatori; la disponibilità ad un lavoro d'equipe. Ciascun seminario è stato infatti preceduto e seguito da riunioni dei docenti, animatori o conduttori coinvolti, in modo che le legittime differenze individuali fossero integrate con una visione di fondo integrata.

Riferimenti bibliografici

P. BERTOLINI. R. FARNE (a cura di), Territorio e intervento culturale. Cappelli, Bologna 1978.
F. G. GATTI, L. BERZANO, E. GARELLI (a cura di), Bisogno di cultura e operatori, voll. I e II, Ed. Stampatori, Torino 1978.
G. CONTESSA, A. ELLENA, R. SALVI, Animatori del tempo libero. Società Editrice Napoletana, Napoli 1979-
G. CONTESSA, R. V'ACCANI, A. VOLTOLIN, La formazione alternativa, Etaslibri, Milano 1975.
P. GOGUELIN, J. CAVOZZI, J. DUBOST, E. ENRIQUEZ, La formazione psicologica nelle organizzazioni, Isedi, Milano 1972.
G. CONTESSA, Per un'azione di animazione, in B Animazione Sociale ", anno III, n-11, 1974.
E. SCHINDLEX RAINMAN, R. LIPPIT, Toward improving the quality of Community life, in " Advances in experiential social processes ", a cura di C. L. COOPER, C. ALDERFER, Ed, J. Wiley & Sons. Chicester (GB).

*Estratto da "Animatori di quartiere", a cura di Guido Contessa e Aldo Ellena, in Quaderni di Animazione Sociale, ISAMEPS - Milano - 1981, pag. 61-67.