Povertà, cultura e tempo libero di Guido Contessa, psicosociologo*

SOMMARIO:

1. Definizione o valutazione?
2.Le "politiche" della cultura e del tempo libero
3. Povertà soggettiva ed oggettiva
4. Dalla filosofia della ricchezza alla ricchezza della filosofia
5. Decaloghi (in otto punti) per lottare contro la povertà della cultura e del tempo libero

1. Definizione o valutazione?

Cosa intendiamo per "povertà", oggi, nei riguardi della cultura e del tempo libero? Non c’è dubbio che la nostra epoca sia quella che vede "in quantità" la maggior distribuzione di informazioni e la maggior disponibilità di tempo libero. Resta da decidere cosa intendiamo per cultura e tempo libero e quale sia la discrepanza fra qualità e quantità.
L’antropologia ha giustamente rivalutato i modi di dire, di fare e di vivere come "cultura" di una civiltà, in contrasto con la tradizionale equazione cultura = accademia, tradizione, classicità, ecc.
Dal momento che tutto è cultura, nel senso che tutto esprime la cultura di un popolo, allora i cantori dell’effimero, i nuovi Assessori d’assalto, si sentono autorizzati a spacciare per culturale ogni stupidità di massa o d'elite.
Equivoco grossolano e sospetto, fra una definizione ed una valutazione. Un conto infatti è definire cosa è cultura, un conto è valutare una cultura sensata, una cultura primitiva, sanguinaria o raffinata.
una recente mostra tenuta a Roma dal titolo: "Warhol verso De Chirico", la motivazione presentata è che Warhol è il maggior artista della nostra epoca in quanto incarna perfettamente la cultura dell’uomo medio americano i cui valori dominanti sono il dollaro, la riproduzione, gli oggetti popolari di consumo. In altre parole, il denaro è il valore base della nostra cultura, invece di affermare che essa è perlomeno fatua e primitiva, cioè "povera", diciamo che il danaro è cultura, e avere tanto danaro equivale ad avere tanta cultura. Stesso equivoco riguarda la musica rock, la moda, i comportamenti. Se è vero che ogni espressione di un popolo deriva da o rappresenta la sua cultura, è pur vero che noi possiamo valutare la cultura espressa come ricca o povera.
Né è possibile scambiare la cultura con la quantità di informazioni, la quale non migliora in nessun modo la qualità della vita contemporanea. L’iperinformazione oscilla tra cronaca, enciclopedia e settimana enigmistica. Lungi dall’essere, l’informazione, una base per riflettere e interrogarsi, essa e un sostituto della riflessione e dell’interrogazione, un simulacro di cultura.
Il tempo libero è certamente aumentato, se pensiamo al tempo non lavorativo. In realtà il tempo non lavorativo non è a disposizione del soggetto che formalmente.
Questa disponibilità formale è in realtà una sottomissione dei soggetti ad una catena continua, costituita dal momento della produzione e da quello del consumo. L’organizzazione produttiva ha ridotto il suo dominio formale al tempo di lavoro, ma ha esteso al tempo libero il suo dominio sostanziale, grazie all’uso dei mass-media.
In un certo senso possiamo dire che la condizione di villaggio globale, di produzione e di consumo, è la cultura del nostro tempo, cioè è la espressione più massiccia della nostra civiltà. Ma se passiamo ad una valutazione di questa cultura per misurarne il grado di ricchezza o povertà, dobbiamo osservare che produzione, consumo e informazione sono elementi di un "depauperamento progressivo" dell’umanità.
Se per cultura intendiamo infatti la capacità che l’uomo ha di riflettere su di sé e sui mondo, se per tempo libero intendiamo il tempo che l’uomo può dedicare liberamente ai suoi bisogni più profondi, allora possiamo affermare che la nostra società è assai povera sia di cultura sia di tempo libero. Non solo le organizzazioni di cultura e di tempo libero sono povere come enti culturali, ma addirittura si può sostenere che esse producono povertà culturale progressiva. La loro estensione nello spazio e nel tempo (sempre più attività "culturali", sempre più decentrate fin nei Paesi più lontani e spersi) è funzionale alla colonizzazione della civiltà della catena produzione-informazione-consumo assai ricca materialmente, ma assai povera culturalmente.

2. Le "politiche" della cultura e del tempo libero

La funzione delle organizzazioni culturali e del tempo libero è l’adattamento ai modello dominante, fin nei più reconditi processi cognitivi e psichici. Tale modo di intendere cultura e tempo libero hanno dunque impoverito (e continuano a farlo in progressione geometrica) l’uomo della sua capacità di pensare e ripensarsi come essere facente parte dell’universo e della storia.
Queste riflessioni non devono far pensare ad una nostalgia per l’ignoranza, la disinformazione, l’incultura. Al contrario, si tratta di richiedere un aumento di cultura sia in termini di quantità che di qualità.
Si tratta di rifiutare l’identità cultura/merce e cultura/consumo, per rifondare un concetto di cultura come ricchezza di ricerca e riflessione, di potere e di cambiamento. Allora possiamo valutare come povera una cultura ed un tempo libero basati sul ready-made, il prèt-a-porter, l’effimero, la riproduzione e l’evasione. La ricchezza del tempo libero e della cultura è invece basata sulla durata, la produzione, il coinvolgimento.
Una società culturalmente ricca è una società che si dà strumenti permanenti ed efficaci di produzione culturale, che realizza una effettiva uguaglianza nei mezzi e nelle possibilità espressive, che riflette su di sé e sul proprio ruolo nell’universo e nella storia, alla ricerca di una sempre maggiore dignità.
Come può essere ricca culturalmente una società in cui pochi pensano, pochi si esprimono e nessuno si preoccupa di ciò?
Le nuove politiche culturali definite "sul territorio" non servono ad altro che a rendere il territorio un "contenitore" di povertà e deprivazione culturale, ed un "contenitore" delle ansie e dei disagi da adattamento.
In tale situazione di colonizzazione culturale da parte del sistema dominante esiste il grosso pericolo che ogni processo di arricchimento culturale si identifichi, nei fatti, con il comportamento deviante. Proporzionalmente alla totalizzazione del modello di povertà culturale e di espropriazione del tempo (processo nel quale ogni differenza è presto risucchiata), la cultura e la riappropriazione del tempo richiedono atteggiamenti ed atti facilmente confinanti con la sovversione. La differenza è sempre più gracile ed insufficiente: si richiede la alienità, la estraneità, la separatezza.
Situazione di grave rischio. Infatti, da una parte, questa povertà culturale spinge alla devianza come solo mezzo di recupero; dall’altra, giustifica ogni devianza come mezzo di recupero culturale. Al punto che anche le estreme punte della devianza attuale (terrorismo, gangsterismo, droga) assumono, per alcuni, dignità culturale.

3. Povertà soggettiva ed oggettiva

Una questione importante è quella del "vissuto di povertà".
Tale problema si colloca al centro delle contraddizioni del sistema di produzione e consumo, della società post-industriale. La società ha basato il proprio sviluppo su una ambiguità radicale: da una parte chiede legittimità alla base dei progressi di benessere raggiunti, dall’altra basa la sua esistenza sull’induzione di aspettative e bisogni crescenti.
Tale ambiguità è stata funzionale in un quadro di sviluppo illimitato, poggiante su una ottimistica filosofia dei progresso. Il ragionamento era "la società è buona perché vi offre tanto; ma voi dovete desiderare di più perché questo serve allo sviluppo della società". La catena produzione mass media-consumi, fondata su questa evidente contraddizione, è continuata fino a che ha retto il supporto del progresso illimitato.
L’arrivo della crisi energetica ha disoccultato la contraddizione ed ha svelato la fragilità del mito dello sviluppo illimitato. Ora il ragionamento è del tipo: "voi dovete desiderare sempre di più, altrimenti la società si blocca; ma questa non può più soddisfare i desideri di tutti". Da un vissuto di arricchimento progressivo si è passati repentinamente ad un vissuto di povertà progressiva. Gli sbocchi a questa situazione sono in qualche modo prevedibili:
a) un espansionismo neo-colonizzatore (anche sotto specie di neo-immigrazione dal Terzo Mondo);

b) una estensione di manovre repressive degli Stati, dirette a contenere il malcontento derivante dal vissuto di povertà (dalla disoccupazione alla diminuzione delle libertà);

c) una moltiplicazione dei sistemi di manipolazione del consenso, e dei meccanismi di compensazione o sublimazione (tv private, feste di piazza, droga di Stato, spettacolarizzazione della politica).

Non sembra dubbio che il regime italiano stia scegliendo la terza via, come prevalente; pur senza trascurare le prime due. La strategia imboccata sembra essere quella di rispondere alla povertà oggettiva progressiva attraverso l’induzione di un maggior consumismo ostentativo (in nessuna baracca del Belice manchi un tv-color!); e alla povertà soggettiva, mediante il coinvolgimento in ingranaggi sempre più capillari di consenso (rock ai giovani disoccupati e nelle caserme!).

4. Dalla filosofia della ricchezza alla ricchezza della filosofia

Molti si interrogano sugli sbocchi possibili e i prossimi cambiamenti a questo stato di cose. Pur non appartenendo alla schiera degli apocalittici, penso che la situazione abbia dimensioni epocali. Raramente le passate epoche storiche sono durate meno di uno o due secoli: non c’è ragione di pensare, malgrado la accelerazione del mondo contemporaneo, che l’epoca post-moderna duri meno di mezzo secolo.
Viene da sorridere quando si legge che il profeta (para) psicologo di turno, segnala il "Nuovo Rinascimento"; oppure quando i commentatori politici prevedono una svolta storica quando il governo passa da una formula a quattro ad una a cinque Partiti.
L’evo industriale, dominante per circa un secolo, ha intriso di sé delle sue logiche positive o perverse) ogni angolo della società e della mente degli individui. Nella sua fase decadente, gli ultimi vent'anni, ha pervaso con maggiore pervicacia ogni interstizio ed ogni opzione alternativa.
Oggi non solo la classe politica è fuori dalla Storia, come residuo o relitto di un gigantesco naufragio, ma anche i quadri intermedi della società, i gruppi paralleli ed alternativi, i giovani, le aggregazioni del contro potere e quelle cosiddette "civili" sembrano lontanissimi dall’esprimere strategie di cambiamento e figure di ricambio.
Quale soggetto storico, quale ceto, potrebbe oggi in qualche modo presentarsi come portatore credibile di rinnovamento? La filosofia della ricchezza, come il vitello d’oro, ha sfiancato ogni fibra della società postmoderna, che si avvia a crepuscolari decenni di decadenza. Un processo violento, barbarico, vizioso ma non privo di lampi di grandezza, come ogni epoca decadente esprime. Vedremo grandi slanci esemplari,, profetismi individuali, movimenti mistici, sadismi collettivi e disastri naturali: scene tipiche delle epoche della miseria. Ma vedremo, anzi già intravediamo, qua e là, timide riscoperte di usanze cenobitiche, gruppi catacombali e solitari stilisti: tendenze di recupero di una ricchezza della filosofia che era stata sommersa dalla filosofia della ricchezza.
Alcuni (pochissimi ancora) riscoprono la necessità di tornare a pensare. La via indicata è quella di una riappropriazione della cultura e del tempo, come ricchezze in sé, fruibili da tutti, qui ed ora. Una via lunghissima che deve superare decenni di povertà e di alienazione penetrate in ogni anfratto, anche nel cuore dei pochi "nuovi monaci".
Ma esistono alternative?

5. Decalogo (in 8 punti) per lottare contro la povertà della cultura e del tempo libero

Mentre i "nuovi monaci" si chiudono nei loro monasteri a riflettere ed a difendere dalla barbarie i brandelli di cultura che contano, cosa possono fare gli altri uomini, quelli che non riescono a perdere le illusioni di poter fare qualcosa subito?

1. LAVORARE PER LE CONNESSIONI (contro le divisioni, le specializzazioni, le competenze riservate, i comparti, occorre operare per collegare, connettere, rimettere in un circuito comunicativo quanto è separato: progetti comuni fra Assessorati, fra pubblico e privato, fra le diverse scienze e professioni, fra chierici e laici).

2. RIPRISTINARE L’INTERROGAZIONE (contro le certezze aprioristiche, gli stereotipi e i pregiudizi; contro l’adattamento passivo, il conformismo, la sordità e l’atrofia mentale, occorre ripristinare in ogni momento il metodo dell’integrazione, in modo da ripercorrere una ricerca di cui abbiamo smarrito sia l’inizio che il senso: ogni attività, progetto, iniziativa deve riservare una quota di risorse, mentali ed economiche, alla riflessione su di se’).

3. DIMINUIRE I SERVIZI IN FAVORE DEI PROGRAMMI O DELLE STRUTTURE (la logica dei servizi è tipica delle società ricche e pigre, o ricche e stupide: è un lusso per le società deprivate ed una superfluità per quelle raffinate; le situazioni in cui prevale la povertà materiale o culturale devono essere affrontate con programmi finalizzati; le situazioni più avanzate vedono il servizio come limitazione, quindi devono essere fornite di strutture da riempire).

4. CONSIDERARE LA DIVERSITÀ UNA FORTUNA SOCIALE (contro ogni omologazione, appiattimento, asfissia; contro la ripetizione e l’imitazione occorre valutare ogni deviazione e dirottamento, purché non violento, come una grande risorsa, una irripetibile chance per la rivitalizzazione sociale; occorre valutare ogni differenza come un futuro possibile, una esplorazione indispensabile a tutta la società).

5. ELEVARE LE AMBIZIONI E LE ASPETTATIVE CULTURALI (contro la logica della alienazione compensata, . della monetizzazione della stupidità, del rimborso per l’insignificanza: occorre lavorare perché ogni uomo esiga e lotti per un lavoro intelligente, una scuola colta, un tempo libero veramente "libero").

6. RIDIMENSIONARE LA CULTURA DEL "FARE" E DEL "PIENO" (contro l’efficientismo, l’attivismo, l’hobby produttivo, il saggio finale; contro l’horror vacui, il rumore, l’immobilità e l’ozio; suggerimento per Assessore sperimentalista: fare mostra di specchi, coi visitatori obbligati al silenzio).

7. RIPRISTINARE UNA CULTURA DELLA PENA SIMBOLICA (contro i perpetui giustificazionismi, le collusioni, le complicità, occorre inchiodare ciascuno alle proprie responsabilità e punirlo — simbolicamente —; ricordando che solo i pazzi, i bambini e gli animali non sono responsabili e quindi non sono punibili, occorre far sì che (oltre al resto) i dirigenti dirigano, i funzionari funzionino, gli studenti studino, gli amministratori amministrino, gli insegnanti insegnino, i lavoratori lavorino, come minimo).

8. CONSIDERARE IL LAVORO CULTURALE UN PRIVILEGIO (contro l’asservimento dei chierici al potere e contro la sclerosi intellettuale occorre sottoporre chi fa un lavoro culturale, o ricreativo o a tempo ridotto, a selezioni spietate, contratti di lavoro temporanei con prove periodiche, retribuzioni modeste).

 

*Estratto da POVERTA' A MILANO, n.2, marzo 1983, pag. 131-137