ORGANIZZAZIONE ISTITUZIONALE DEGLI ANIMATORI
di Guido Contessa*

SOMMARIO:
1. Il contratto professionale
2. L'assunzione in pianta organica nell'Ente Locale
3. L'animatore "terzo polo" della dialettica cittadini-èlites del potere
4. La convenzione con cooperativa: vantaggi, limiti e condizioni

Il Corso di Massa, così come il successivo corso tenutosi a Pordenone, ha prodotto negli animatori la decisione di costituirsi in cooperativa di animazione socioculturale. Per noi formatori, la costituzione di un'entità organizzata, che continua dopo l'esperienza formativa è certamente un grande sogno. Trovo interessante riflettere tuttavia sui significati e le conseguenze di questa formula.

In particolare a Massa, dove la disoccupazione giovanile è elevata, molti corsisti avevano accarezzato, durante tutto il biennio formativo, la possibilità di un rapporto di lavoro individuale e continuativo. Alcuni pensavano che, malgrado le restrizioni imposte agli Enti Locali dalla Legge Stammati, esistessero spazi di riempimento di una vecchia pianta organica mai del tutto completata. Altri si sarebbero accontentati di un rapporto di tipo professionale, a gettone, ma continuativo. Solo una minoranza prese in considerazione, fin dall'inizio, la formula cooperativa.
Questa variegazione era favorita dall'atteggiamento dei politici che erano molto ambigui sul tema e lasciavano via via prospettare diverse soluzioni, senza mai appoggiarne decisamente alcuna.
Nella situazione di Pordenone, la cooperativa fu quasi subito caldeggiata sia dai partecipanti che dall'Assessore.

1- II contratto professionale

Delle tre condizioni contrattuali (assunzione in pianta organica, convenzione con cooperativa, contratto professionale) non c'è dubbio che la prestazione professionale è la formula più svantaggiosa. Lo svantaggio più evidente riguarda gli operatori che si trovano in una situazione di precarietà e ricattabilità elevate. Ma esiste anche uno svantaggio per l'Ente Locale, il quale non può contare su un impegno professionale serio e quindi su una forza lavoro che faciliti una pianificazione. I contratti a prestazione professionale, alla lunga provocano un vorticoso turn over, con perdite elevatissime soprattutto per gli Enti Locali. In genere questa soluzione è accettata o perché l'operatore e contrattualmente molto debole o perché in realtà egli intende quell'impegno come transitorio.

2. L'assunzione in pianta organica nell'Ente Locale

II contratto di lavoro formalizzato è stato negli anni "60-'70 una specie di mito. In un'ottica politicizzata, lavorare per l'Ente pubblico è sembrato per un ventennio molto più serio che lavorare per imprese private, le quali hanno goduto per motti giovani intellettuali una pessima considerazione. In un'ottica più egoistica, l'assunzione nell'Ente pubblico ha rappresentato: sicurezza del posto di lavoro camera automatizzata, assenza totale di controlli sia fiscali che di qualità, orari limitati.
Nel caso di operatori socio-culturali, l'ipotesi dell'assunzione presso l'Ente Locale viene giustificata con la necessità che l'azione culturale sia "organica" ai bisogni dei cittadini, dei quali l'Ente Locale è stato ed è tuttora considerato dalla maggioranza, il rappresentante più genuino In questa visione un po' primitiva della dialettica sociale, ci sarebbe un industria culturale dei mass-media legata agli interessi del Grande Potere, finalizzata all'adattamento, al conformismo, alla sottomissione culturale; poi ci sarebbe un'azione culturale degli Enti Locali legata ai bisogni dei cittadini, e finalizzata alla partecipazione e alla crescita culturale. Credo che questo scenario sia assai più fiabesco che reale. Attualmente possiamo affermare che un giornalista del Corriere malgrado i condizionamenti capitalistici e piduistici cui è notoriamente sottoposto, gode di una libertà molto maggiore di quanta ne goda, per esempio, un animatore-bibliotecario sottoposto alle fameliche invadenze di un Consiglio di Gestione, rappresentativo del famoso territorio. Nel settore culturale, solo la scuola si è sottratta alla riduzione di autonomia, in molti casi esasperando un ingiustificato corporativismo burocratico dei "tecnici". Tutti i funzionari degli Assessorati " sociali degli Enti Locali (Comune, Provincia, Regione) possono testimoniare che la loro autonomia è praticamente inesistente.
Non parliamo dei giornalisti RAI o degli operatori della Biennale di Venezia, dei funzionari del Formez o dell'Isfol, dei tecnici insomma delle decine di agenzie culturali pubbliche italiane. La corretta dialettica fra organo politico democratico, che delinea gli indirizzi e ne controlla l'attuazione, ed organo tecnico che gestisce e realizza, si è trasformato in moltissimi casi in dominazione dell'organo politico e subordinazione o paralisi dei tecnici. Questo controllo del politico sul tecnico potrebbe anche giustificarsi, se effettivamente il politico rappresentasse "i bisogni" dell'utente; cioè in una società "pura" nella quale le élites fossero in tutto espressione genuina delle masse. Anche in questo caso però ci sarebbe il rischio di una cultura come "braccio disarmato" del potere, o come moltiplicatore dell'esistente. L'azione culturale non è anche elemento di movimento, differenziazione, novità? E come sarebbe possibile questo suo ruolo restando assoggettata a organi politici che interpretano esattamente i bisogni delle masse?
Comunque non si tratta qui, per fortuna, di riesumare la diatriba sull'intellettuale organico o disorganico. Questa fatica ci è risparmiata dalla situazione italiana, in cui la partitocrazia e l'invadenza delle élites sono talmente dilaganti da rendere del tutto casuale la rappresentatività degli organi politici.

3. L'animatore "terzo polo" della dialettica cittadini-élites del potere

Cosa significa dunque, in Italia, promuovere l'assunzione in pianta organica, da parte dell'Ente Locale, degli animatori socioculturali? Se significa dare ad essi un interlocutore stabile, un orientamento preciso, un coordinatore ed un supporto strategico, allora questa formula può andare benissimo. Questo però presuppone che il politico o l'amministratore sappiano e vogliano fare il loro mestiere, e che gli operatori abbiano una seria competenza ed un'adeguata tutela contrattuale che consenta loro una giusta autonomia.
Come animatori possiamo ammettere che spesso la nostra competenza non è grandissima, e che la nostra forza contrattuale non è ancora abbastanza consolidata. Detto questo, osserviamo anche che non possiamo accettare di diventare i galoppini elettorali dell'Assessore Tale o del Partito Talaltro; non possiamo essere i mezzi esecutori di una linea politica, sia pure concordata da una maggioranza consiliare; non possiamo inseguire le fisime localistiche di un Presidente di Circoscrizione, ne le manie pseudoculturali di geometri e salumieri, ibernati dai Partiti nei numerosi Comitati di Gestione, cosiddetti democratici che pullulano sul territorio. Ruolo dell'animazione socio-culturale è quello di promuovere la partecipazione, favorire la distribuzione degli strumenti culturali (e del potere ad essi connesso), far emergere la consapevolezza di bisogni repressi o rimossi. In tutti i casi, ruolo dell'animatore è quello di "cambiatore", di colui che "mette in movimento", che apre una dialettica, laddove ruolo del politico è essenzialmente quello di raccoglitore del consenso. L'animatore socioculturale deve insomma collocarsi come "terzo polo" della dialettica esistente fra cittadini ed élites del potere. In tale ruolo deve poter contare su un'autonomia, seppure non illimitata, che raramente riesce a conciliarsi (oggi) con la condizione di autonomia. Questo potrebbe essere vero in teoria. In pratica il potere oggi non fa uso di strumenti repressivi diretti (licenziamenti, trasferimenti, sospensioni), ma fa uso di strumenti di emarginazione indiretta. Per controllare un gruppo di operatori "riottosi" è sufficiente negare l'appoggio politico, oppure promuovere attività o iniziative alternative, oppure ancora modificare l'organizzazione o la distribuzione del budget. Ne risultano così penosi casi di funzionari "fantozziani", che, dopo una brillante stagione culturale, vengono "murati vivi" in tetri sottoscala, perché considerati poco "organici".
Il modello dell'animatore socioculturale in pianta organica può funzionare, senza diventare un orpello decorativo ne un piccolo impiegato da Minculpop, solo a condizione che:
1. il referente politico-amministrativo sappia mantenersi nel suo ruolo;
2. esista una professionalità collettiva degli operatori ed una conseguente tutela della loro autonomia;
3. esista una pianificazione pluriennale ed un insieme di funzioni ordinarie espletabili anche senza dipendere dall'ente politico.
Inutile sottolineare che tali condizioni presuppongono, fra l'altro, un meccanismo di formazione e selezione degli operatori del tutto svincolato dal sistema partitocratico. È ridicolo sentire il tipico giornalista RAI che si lamenta del controllo dei Partiti, dopo essersi fatto assumere grazie ad una tessera. Questo discorso ci riporta ai sistema di formazione (scuole, corsi) ed a quelli di assunzione (reclutamento, selezione,concorso).

4. La convenzione con cooperativa: vantaggi, limiti e condizioni

L'altra opportunità oggi abbastanza diffusa è quella della cooperativa. Qualche volta essa viene percorsa dall'Ente Locale sia perché non è possibile perseguire la via dell'affollamento della pianta organica, sia perché la convenzione sembra un rapporto meno impegnativo e dunque più suscettibile di un controllo nel tempo. Dal punto di vista degli animatori, questa via offre una maggiore libertà sia di contrattare i programmi sia di organizzazione interna. La cooperativa consente convenzioni su programmi in qualche modo contrattati, nei quali una certa autonomia degli operatori verso l'Ente convenzionatore è preservata.
Inoltre consente un'organizzazione interna elastica, che lascia spazio a formule di lavoro full-time, part-time, sostituzioni e rotazioni, utilizzabili in base alle diverse necessità degli operatori. Un altro vantaggio della cooperativa è che essa si configura come un'impresa di servizi culturali, potenzialmente disponibile sul mercato, e dunque con la possibilità di occupare aree d'intervento diversificate. Naturalmente ci sono anche qui difficoltà.
La prima riguarda appunto la contrattualità della convenzione, che può essere rinnovala ma anche non esserlo. Questa situazione aumenta la ricattabilità da parte dell'Ente locale. L'unica via per ovviare a questo rischio è il carattere pluriennale della convenzione. Essa non deve essere un contratto ad hoc, stipulato per fronteggiare l'emergenza, ma essere la scelta conseguente ad un piano dell'Ente Locale, di respiro ampio ed articolato.
La seconda difficoltà si presenta come aggravante della prima, quando l'Ente Locale convenzionatore è l'unico cliente della cooperativa. In tal caso si ricade in una situazione che ha gli svantaggi del contratto di lavoro dipendente, senza averne i benefici. La cooperativa è qui doppiamente ricattabile, sia perché la convenzione può non essere rinnovata, sia perché, in questo caso, la cooperativa rischia l'estinzione forzata.
La terza difficoltà nasce proprio dai vantaggi della cooperativa. Perché si affacci sul mercato, evitando la ricattabilità da parte dell'Ente Locale convenzionatore, la cooperativa deve riuscire ad organizzarsi come una vera e propria "azienda di servizi". Questo tipo di impresa è la forma più matura del sistema neocapitalista avanzato. Si tratta di una forma d'impresa di assai difficile gestione.
Basta ricordare che una delle risorse principali delle imprese di servizio è il "know how", cioè la conoscenza. Nel caso di una cooperativa socioculturale "know how" significa ricerca sociale; in altre parole una simile cooperativa deve anzitutto mettersi in grado di "produrre sapere". Questo vuol dire ricerca, documentazione, informazione, formazione permanente, scambi nazionali ed internazionali. Un'altra risorsa fondamentale di questo tipo di imprese è il "capitale umano", con tutta l'enorme difficoltà che comporta la sua gestione, dal reclutamento, alla selezione, alle incentivazioni, ai meccanismi di carriera.
Se poi facciamo attenzione al fatto che l'impresa cooperativa è, per legge, da gestire attraverso meccanismi democratici, e che una cooperativa socioculturale è fatta di operatori molto intellettualizzati e spesso ideologizzati, possiamo dedurre con facilità che la gestione è ardua. Infine ricordiamo i problemi di marketing e di vendita. Una cooperativa di servizi socio-culturali deve trovare una sofisticata metodologia di promozione dei propri servizi, che non è certo riducibile al negozio o ai venditori "door to door".
La formula cooperativa ha dunque il vantaggio di offrire una maggiore funzione dialettica all'azione culturale (fra cittadini, animatori e soggetti politici), ma richiede che:
1. la convenzione con l'Ente Locale abbia carattere pluriennale, all'interno di un piano articolato d'intervento culturale;
2. la cooperativa si metta nell'ottica di avere diverse convenzioni, a garanzia della propria autonomia in ciascuna;
3. la cooperativa sia capace, come risorse individuali e come organizzazione interna, di mettersi sul mercato sociale come "impresa di servizi".
Anche qui sembra superfluo sottolineare la crucialità della formazione professionale ma anche imprenditoriale degli animatori.

 *Estratto da QUADERNI DI ANIMAZIONE SOCIALE- ANIMARE LA CITTA’, ISAMEPS, Milano, 1982, pag.271-276