METODOLOGIE E TECNICHE DELL’ANIMAZIONE di Guido Contessa*

SOMMARIO:

1. Definizione terminologica
2. Aree di intervento specifico
3. Le attività dell'animazione
4. Le metodologie
5. Gli stili dell'animatore
6. Le tecniche dell'animazione

 

1. Definizione terminologica

Prima di affrontare il tema annunciato dal titolo, è necessario fare un pò di chiarezza su cosa sia l'animazione.
Essendo l'animazione nata come pratica, ha sofferto e soffre tuttora di grosse lacune teoriche. Come in tutte le discipline, il tuffo costante degli operatori nella prassi quotidiana impedisce spesso la riflessione sul senso e sui limiti di questa prassi.
Nel definire una disciplina o una pratica sociale non si può fare a meno di chiedersi quali ne siano i confini e quale lo "specifico" rispetto a discipline e pratiche vicine.
Nel nostro caso non possiamo sorvolare su questioni del tipo: che differenza c'è fra animazione e teatro? oppure fra animazione ed educazione? oppure fra animazione ed attività politico-sindacale? fra animazione ed informazione? o fra animazione e festa?
L'aver eluso, per tutti questi 15 anni di vita dell'animazione, tali interrogativi, ha portato all'enorme confusione nella quale ci troviamo oggi. Per descrivere in che modi e con quali strumenti opera l'animazione (come il titolo richiede), è indispensabile premettere una definizione di animazione.

Forse la confusione teorica circa lo specifico dell'animazione ha consentito molte sperimentazioni fruttuose; forse anche è sembrata favorire per molti giovani, senza prospettive professionali precise, una maggiore ampiezza di interventi. Non sono pochi coloro che in questi anni hanno pensato che il non definire l'animazione in uno specifico lasciava le porte aperte ad ogni settore, ad ogni tecnica, ad ogni utenza. L'animazione senza specifico è stata per molto una pratica buona per ogni specifico, e questo ha forse favorito, in tanti anni, l'idea di un'animazione forte e potente. Nella fase storica più "eroica" dell'animazione, all'incirca fra il '68 ed il '75, l'idea aveva qualche fondamento. Molti settori con uno specifico preciso e tradizionale (come il teatro, la scuola, la politica, l'informazione ed il tempo libero) erano in crisi e l'animazione sembrava non tanto destinata a rinnovarli quanto a sostituirli.
Lentamente, però, questi settori si sono riavuti dallo smarrimento, hanno inglobato alcune provocazione dell'animazione, si sono in parte rinnovati ed hanno riaffermato, non senza modifiche, il loro specifico.
E l'animazione ha scoperto la precarietà in cui l'ha gettata l'assenza di un'area propria ed esclusiva.

Oggi la definizione di un'area propria ed esclusiva per l'animazione è una condizione per la sua stessa esistenza.

Trovare uno specifico per una pratica sociale significa individuare un settore nel quale solo quella pratica o quella pratica più di altro, è efficace. Non importa se il settore individuato è limitato, ciò che conta è se quello spazio è occupato con competenza nell'interesse della comunità. Qualcuno identifica lo specifico di una pratica sociale con la specializzazione che deriva dalla divisione del lavoro, e rifiuta il primo in nome della contestazione alla seconda. Purtroppo i binomi specializzazione-despecializzazione e specifico-generale sono solo due delle numerose false contraddizioni nelle quali è impaniato il pensiero occidentale nell'ultimo decennio. Solo ora sta diventando chiaro a molti che è necessaria una specializzazione affiancata da una visione despecializzata, ed uno specifico accanto ad un'intenzione generale.
I settori tradizionalmente specializzati si sono ripresi il loro spazio e l'animazione rischia di non trovare più alcun spazio.

D'altra parte fin dall'inizio, l'animazione si è presentata con due anime. In molti settori della pratica sociale l'animazione è stata introdotta o assimilata come un "metodo" nuovo nella gestione di lavori tradizionali, come un corpo di nuove tecniche e strumenti dei quali arricchire vecchie professioni.
Per esempio nella scuola l'animazione ha significato un modo nuovo di insegnare ed un insieme di nuove tecniche didattiche o educative. Così è stato nel lavoro socioculturale, nel lavoro sociale in genere, nel lavoro educativo.
In questi casi il metodo e le tecniche dell'animazione dono divenute bagaglio dei vecchi operatori; l'animazione si è diluita nei settori che avevano uno specifico tradizionale.
La seconda anima dell'animazione, quella che ha forse più spazio nel futuro, è quella che si presenta come "contenuto" e come "attività". E' l'animazione che si può definire genericamente del tempo libero, e che dispone di operatori a tempo pieno, specializzati.

Arriviamo dunque alla nostra definizione di animazione.
Essa è una pratica sociale finalizzata alla presa di coscienza ed allo sviluppo del potenziale represso, rimosso o latente, di individui, piccoli gruppi e comunità.
Ci sembra questa la definizione più accettabile, distillata da quindici anni di esperienza storica d'animazione in Italia.

Anzitutto diciamo che l'animazione è una "pratica sociale" , non una teoria ne una disciplina. E' nell'ordine logico dell'insegnamento, della terapia, dell'assistenza sociale; si colloca nell'ordine della prassi, dell'azione concreta. Come pratica sociale, si basa su numerose teorie antitetiche; e fa uso di tutte le discipline scientifiche che le servono.
Come ogni pratica, si definisce meglio in termini funzionali: l'animazione serve a "far prendere coscienza ed a sviluppare un potenziale". Alcuni animatori e molti utenti identificano l'animazione con la ricreazione o il divertimento e la festa. Noi diciamo che questi possono essere elementi o tecniche dell'animazione; accettiamo il fatto che possano essere elementi importanti dell'animazione, ma rifiutiamo in modo fermissimo ogni omologazione. Il divertimento e la festa sono inseriti spesso nella scuola, dagli insegnanti più bravi, ma non per questo l'insegnamento e l'educazione sono identificabili col divertimento. Molti gruppi di animazione si riducono alla pratica aberrante di omologare l'animazione in piazza, quella dei villaggi turistici, dei Partiti di massa.
Certi eventi di ispirazione circense si ripetono inesorabili nella fabbrica occupata come al Club Mediterranée, al Festival dell'Unità e a quello dell'Amicizia, nel cortile della scuola elementare come nel vecchio ospedale psichiatrico. Se non si rigetta con forza l'equazione animazione-festa, prima o poi si arriva all'equazione animazione-stadio-ballo liscio-serata del dilettante.
Altri animatori ed utenti identificano l'animazione con le tecniche: burattini, bricolage, fotografia, ceramica, tessitura. Tutto il vecchio apparato degli hobbies e del "fai da te" diventa animazione. Per definizione le tecniche sono lo strumento che serve a qualche fine: sostituire o identificare col fine è una bassa operazione da mercato.
Purtroppo, grazie alla natura rassicurante ed edificante delle tecniche, si tratta di un'operazione diffusissima.
Altri, infine, identificano l'animazione con l'educazione. Se questa omologazione fosse possibile come giustificheremmo l'uso di una parola diversa? In realtà l'educazione è un processo articolato e complesso, che comprende una serie di pratiche parziali come l'animazione, l'istruzione, l'addestramento. La distinzione si giustifica, quindi, in quanto una pratica (l'animazione) è un segmento dell'altra (l'educazione).

Lo specifico dell'animazione è il processo di presa di coscienza e di sviluppo di qualcosa che è potenziale. Essa dunque serve (ed in tal senso deve ricercare ed attrezzassi) finchè esiste qualcosa di non cosciente o di poco sviluppato; va applicata ed usata in quelle situazioni e verso quegli utenti che "hanno qualcosa dentro da tirare fuori", sia questo qualcosa un bisogno, un desiderio, una capacità o un sogno.
Per esempio, degli individui possono avere un potenziale corporeo o mimico sottoutilizzato, represso: l'animazione può far loro scoprire questo potenziale esistente, può aiutarli a percepire il bisogno di esprimerlo, può magari sviluppare il loro interesse per esso. Ma un corso di yoga o di danza è una pratica di insegnamento o di addestramento, non di animazione. L'animazione ha come specifico la scoperta, lo stupore, la illuminazione, la presa di contatto, la esplorazione del possibile e del potenziale. Per un verso è un campo molto ristretto, ma per un latro verso si tratta di un'area cruciale. Se è vero che il mondo occidentale è connotato da una alienazione di massa,cioè da un'espropriazione degli uomini dal proprio possibile, l'animazione non ha davvero uno specifico per conto suo. Sviluppare il potenziale corrisponde ad aumentare il possibile, cioè il potere dei soggetti. L'animazione in sostanza è una pratica finalizzata a facilitare la presa del potere degli utenti. La catena potenziale - possibile- potere è l'opposto della catena attuale - reale - alienazione.
Il potenziale di cui far prendere coscienza e da sviluppare è quello "represso, rimosso o latente". Il potenziale latente è quello dei bambini; quello rimosso è quello che gli adulti hanno relegato nel dimenticatoio, disabituati ad esprimerlo a causa del sistema in cui vivono; il potenziale represso è quello che le organizzazioni o la società comprimono.
Dire che questi sono i potenziali di cui si occupa l'animazione significa escludere quei potenziali di cui la società facilita l'attuazione: come l'aggressività, la competizione, la tendenza all'evasione, il conformismo, la dipendenza o l'emulazione.
L'utenza dell'animazione non sono solo gli individui, ma anche i gruppi e le comunità, cioè quelle aggregazioni, formali o informali, che sono diverse dalla semplice sommatoria degli individui che le compongono.
Una definizione di questo tipo è, per forza di cose, generale e discutibile: tuttavia ci sembra un punto fermo da cui partire per un discorso sui metodi e le tecniche. Vorremmo che altri facessero uno sforzo teorico nella individuazione dello specifico, senza fughe nel genericismo e con un congruente sforzo operativo.

2. Aree di intervento specifico

Se l'animazione si occupa del potenziale represso, rimosso o latente è comprensibile come in questi anni certe aree siano state oggetto specifico dell'intervento animativo.

2.1 Prima fra tutte l'area della socialità.
E' ormai assodato, che il sistema sociale dell'era industriale avanzata si fonda sull'inaridimento delle relazioni interpersonali e sociali. Il processo di alienazione, cioè di riduzione dell'uomo a cosa, unito al processo di deterritorializzazione, cioè di sradicamento dell'individuo dal suo tessuto storico, hanno reso sempre meno frequenti gli incontri autentici fra le persone.
L'uomo produttore-consumatore è stato omologato, reso equivalente, massificato. L'individuo monodimensionale ha perso lentamente la sua unicità ed il suo valore di persona, diventando ingranaggio fungibile del sistema produttivo e consumistico.
Non solo la famiglia è stata la prima vittima di questo processo, ma via via ne sono stati intaccati la coppia, il gruppo amicale, la comunità. La spinta alla socialità, ai rapporti faccia a faccia, solidaristici e fraterni, passa da una situazione di latenza nell'infanzia ad una situazione di rimozione nell'età adulta. Al punto che oggi molto uomini non riescono più neppure a percepire la socialità come un loro bisogno naturale. Alla soglia di quella che qualcuno ha chiamato l'era "energotronica", l'umanesimo sembra un reperto archeologico.
L'animazione si è posta fin dagli inizi come una pratica "eversiva" di questa tendenza economistica e macchinistica. La scoperta del sè e dell'altro, del "noi" come insieme di bisogni e sentimenti, dei rapporti fra persone, individui irriproducibili dotati di senso e di valore: questa è forse l'area più importante dell'intervento animativo.
La scoperta della socialità, non solo come condizione di un vivere umano, ma anche come premessa di un vivere civile e politico, ha portato l'animazione ad operare sul fronte della partecipazione, cioè della socializzazione del potere.

2.2 Una seconda area è quella della fisicità.
Una civiltà dell'energia e dell'elettronica, della razionalità e della tecnica, tende a rimuovere la natura come un ostacolo ed un errore. La natura ed il territorio come il corpo umano vengono considerati residui di un passato primitivo e selvatico. Il codice dell'artificiale e del cerebrale tendono a sostituire il codice del naturale e del corporale. Corpo umano e natura vengono considerati al massimo come luoghi di consumo ed il loro valore è solo quello di scambio.
Un bosco ed un corpo hanno smarrito il loro inestimabile valore d'uso ed il loro senso, per essere quantificati come unità di scambio monetario.
L'animazione ha colto questa tendenza ed ha cercato di opporvisi. La fisicità dell'uomo e della natura è stata rivalutata come un bisogno insopprimibile, come dotata di senso e valore, come potenziale indispensabile ed una qualità umana della vita. Attività ecologiche e naturalistiche, di educazione sanitaria ed alimentare, di valorizzazione corporea in senso salutistico o espressivo: sono divenute area specifica dell'animazione.

2.3 Una terza area riguarda l'espressività attraverso linguaggi plurimi.
La nostra società è impostata sul codice verbale, a causa della sua razionalità ed economicità. Gli altri codici espressivi vengono usati a scopi di suggestione e manipolazione (v. mass-media), oppure delegati ad artisti e tecnici, casta sopportata o cooptata dal potere.
L'espressione grafica e pittorica, cinefotografica, mimica e drammatica, musicale e poetica è stata sottratta alla generalità delle persone in nome di una funzionalità che è solo economica. L'espressività manuale è stata soppiantata dai processi di produzione industriale e dal macchinismo, ancora in nome dell'economicità del danaro e della fatica.
Il risultato è una folla di soggetti padroni di trecento vocaboli, totalmente dipendenti dai messaggi, prodotti da artisti e tecnici, controllati dalle leggi del mercato e del potere. Il progetto di uomo sottostante è quello di fruitore, consumatore, ascoltatore, spettatore di simboli e messaggi, giammai produttore. La massa non deve esprimersi: l'elite si esprime al suo posto.
L'animazione ha avuto il merito di segnalare questo processo aberrante, non solo con una teoria critica, ma con una prassi alternativa. Ogni sforzo dell'animazione è stato finalizzato a far riappropriare i soggetti del potere e della capacità di esprimersi e produrre cultura, con tutti i linguaggi espressivi. Non sempre la produzione individuale assurge a livelli ecumenici e metastorici; quasi mai è commerciabile. Tuttavia ha un grande valore per il soggetto che si esprime e che in questa espressione trova modo di "parlare". In questo senso l'animazione ha posto fin dall'inizio maggiore accento sul "processo" di produzione espressiva, piuttosto che sul "prodotto". La perfezione formale ha senso solo nell'ottica della commerciabilità o dell'arte, intesa come messaggio universale; ma perde senso se ci poniamo nell'ottica del prodotto d'uso (o del processo produttivo) individuale.

2.4 Un'altra area di interesse dell'animazione riguarda la creatività.
Una società impostata sull'uomo-massa, omologato e fungibile, non può che tendere al conformismo ed al realismo. I bambini non sono considerati per il loro potenziale fantastico e divergente, ma come miniature di operai e soldati.
Creatività e fantasia sono errori, pericoli o gratuite perdite di tempo. La divergenza è inutile quando addirittura non dannosa. L'animazione , fin dall'inizio, ha capito che suo compito era difendere il potenziale di immaginazione e fantasia dei bambini, ed ove possibile svilupparlo.
Spettacolazioni, drammatizzazioni, fiabe, sogni mimati, costruzioni di "macchine celibi", poesie ironiche, libere associazioni di disegni "assurdi" sono stati fin dall'inizio gli sforzi dell'animazione.

2.5 Infine il gioco: inizialmente per i bambini e, da qualche tempo, per gli adulti.
In una società ove tutto è mercé, la gratuità diventa un valore rivoluzionario. Diffondere ovunque il gioco assumere il significato di rivalutare la gratuità e la superfluità come momento altamente educativo e liberatorio.
Il gioco infantile ed adulto è un'attività libera di riprogettazione del mondo. Chi gioca è padrone del gioco, gioca per se stesso, imita ed insieme modifica la vita reale. Si diverte, cioè fa un'esperienza di diversità.
L'animazione ha tentato e tenta di operare in quest'area, dando al gioco un alto valore per lo sviluppo di tutto il potenziale umano.

3. Le attività dell'animazione

Nelle aree indicate si è sviluppata maggiormente l'animazione, con attività di tipo ed intensità diversi.

3.1 L'attività più diffusa è quella della ricreazione e del divertimento.
Nei periodi di forte impegno politico, questa attività è stata spesso criticata da molti animatori come evasiva ed in sostanza collusiva col sistema vigente.
Il movimento delle donne e certe ondate giovanili (indiani metropolitani,quelli del '77 che non usavano la P38), hanno lentamente rivalutato il divertimento, la gioia, l'ironia come attività liberatrici. Oggi il problema non è più quello di bollare il divertimento e la ricreazione come futilità, ma semmai di diffonderli dando ad essi una valenza d'animazione. Divertirsi significa fare esperienze di diversità; ricrearsi significa rigenerarsi: entrambi i termini possono essere tradotti nel senso più conformista o nel senso più innovativo.
In senso conformistico "divertirsi" significa evadere, dimenticare, distrarsi dai problemi reali; "ricrearsi" significa riposare, ricostituirsi intatti ed uguali a prima, per meglio produrre.
In senso innovativo invece "divertirsi" implica fare un'esperienza di diversità e di novità, un'esperienza divergente, che distoglie dalla normalità per arricchirci di strumenti adatti ad affrontarla in modo diverso (divertito?). "Ricrearsi" vuoi dire rigenerarsi, cioè cambiare. Perdere stanchezza fisica e psichica, lasciare certe pigrizie e prepararsi ad un atteggiamento rigenerato verso la vita.
È sottinteso che divertimento e ricreazione hanno dunque poco a che fare con lo spettacolo di varietà, i giochi senza frontiere, il flipper, la vacanza in coda. L'animazione che opera nel settore del divertimento e della ricreazione (tempo libero, clubs, vacanze, ecc.) si occupa di attivare esperienze di diversità e cambiamento. Non è cosa facile perché l'alienazione va sottobraccio alla non consapevolezza, per cui la domanda di ricreazione e divertimento si esprime quasi sempre in consumo di servizi ed oggetti imitativi e conformistici. Tuttavia è questo io sforzo maggiore che occuperà l'animazione in questo scorcio di secolo. L'aumento di tempo libero o non occupato, la trasformazione della società in un grande show-business, il dilagante edonismo tipico di ogni società decadente...: sono tutti vettori di spinta ad un aumento verticale della domanda di "più divertimento e ricreazione".

3.2 Un'altra attività tipica dell'animazione è quella che possiamo chiamare sensibilizzazione.
Gli animatori si sono sempre occupati di sensibilizzare l'utenza, sia attuale che potenziale, alle problematiche relative alle aree prima indicate. Dalle campagne stampa alle provocazioni simboliche, dalle ricerche sociali ai prodotti audiovisuali, dagli interventi spettacolari ai corsi per utenti: l'animazione si è sforzata di attivare la sensibilità di tutti ai temi della socialità, del corpo e della natura, dell'espressività,del gioco e della creatività. Questo lavoro non sempre ha dato frutti,perché l'animazione è anch'essa sottoposta ai nodi culturali della società in cui opera storicamente. L'errore principale verso la sensibilizzazione è stato quello di non capire subito che non è possibile modificare la sensibilità (fatta di emozioni, atteggiamenti, pregiudizi, false conoscenze ) attraverso azioni solo razionali. Con la razionalità tutt'al più si agisce sulla razionalità, ma questo non basta a modificare la sensibilità. Sensibilizzare significa toccare le emozioni, far vibrare il cuore, sollecitare i sentimenti. E qui l'animazione è stata debole, per gli scarsi apporti avuti dalla psicologia. L'attività di sensibilizzazione è di vitale importanza, è forse il cuore stesso dell'animazione; perciò va ripensata nei prossimi; anni, per affinarne le tecniche.

3.3 Un grosso lavoro l'animazione l'ha svolto nel settore della formazione.
Ben presto gli animatori si sono accorti che l'animazione può anche; essere una professione, ma deve soprattutto essere un metodo comune a tutte le professioni sociali. Gli animatori hanno lavorato molto in questo senso, come formatori di insegnanti, educatori, psicologi, pedagogisti, volontari, operatori culturali, ecc. Questa attività ha dato i frutti più vistosi nella scuola elementare, più aperta e disponibile all'innovazione, e materna.
Anche se molti animatori recriminano una diminuzione degli interventi nelle scuole, ciò non vuoi dire che l'animazione, come principi e metodi, non abbia profondamente trasformato il modo complessivo di fare scuola.
La formazione ha toccato anche molte associazioni giovanili e molti operatori di Enti locali, mutandone lentamente ma chiaramente gli orientamenti.

3.4 Un'altra attività meno appariscente dell'animazione, ma non per ciò meno importante è quella che definirei "di relazione o di connessione".
Essendo una caratteristica del nostro sistema sociale la separazione e la specializzazione, è stato sempre importante operare nel senso di aumentare le connessioni fra persone, gruppi, enti diversi. L'animazione ha lavorato per connettere la scuola al territorio, le istituzioni assistenziali al quartiere, il teatro alla scuoia, la musica alle biblioteche, lo sport al gioco, la vacanza all'arte, ecc.
I bambini o la comunità del quartiere sono totalità, unità che non si possono dividere se non rischiando la possibilità di riunificare. Di fronte al bambino affidato all'insegnante il mattino, al doposcuolista nel pomeriggio, all'educatore nell'oratorio, all'istruttore sui campi sportivi, al riabilitatore in casi di patologia, l'animazione tenta di porsi di fronte ad esso in modo unitario, collegando le risorse e rendendo plurifunzionali gli interventi. Di fronte ad un quartiere suddiviso in luoghi deputati, per ceti separati, l'animazione oppone il teatro in piazza, la musica in biblioteca, l'atelier di pittura al parco, il gioco a scuola. Questa attività di connessione sottintende sforzi di sintesi fra discipline, pratiche, gruppi ed utenti diversi. Così viene osteggiata la separazione per età diffusa in genere dal comportamentalismo degli Enti: vengono coinvolti nelle stesse attività anziani e bambini, handicappati e non, giovani e adulti, insegnanti ed allievi.

 3.5 Per terminare il paragrafo delle attività di animazione, è necessario un accenno al problema terapia-prevenzione.
L'animazione è per definizione un'attività preventiva. Essa ha a che fare con la qualità generale della vita e degli uomini: si occupa quindi di tutta la popolazione. Può occuparsi anche di svantaggiati-devianti, ma solo in quanto persone, non come categorie speciali stigmatizzate. Purtroppo assistiamo sempre più spesso ad iniziative di Enti locali che,davanti a problemi disastrosi ingigantiti da città disumane, modi di vita ferini , istituzioni selvagge, non trovano di meglio che mandare alla periferia tre animatori, con compiti messianici.
Gli animatori, spesso presi nella ragnatela della disoccupazione, accettano di essere usati come finti lamponi, finti controllori sociali, finti interventi illuminati.
Il lavoro di terapia, individuale o sociale, non è dell'animazione, ma anzitutto dei politici ed in secondo luogo dei terapeuti (logo, fìsio,psico, ecc.). L'animazione si occupa di arricchire la vita, quindi semmai di prevenire l'asocialità, i! silenzio, la reificazione, la violenza.
Una società in cui i giovani potessero avere relazioni significative, esprimersi appieno, dare valore non di mercé al proprio corpo e dall'ambiente, essere diversi ma partecipi, giocare e far vivere le proprie fantasie, non avrebbe bisogno di eroina, rapine, violenze. L'animazione punta a questa società ma per riuscire ha bisogno di precondizioni strutturali ancora molto lontane. Essa è una pratica sociale preventiva solo assieme ad altre pratiche preventive, all'interno di una società organizzata per prevenire.

4. Le metodologie

II problema metodologico è al centro del dibattito delle scienze e pratiche sociali dell'ultimo secolo. Non è dunque risolvibile dall'animazione, ne sintetizzabile in questo breve scritto. Tuttavia occorre parlarne.
Per metodo intendo l'architettura procedurale, l'insieme delle categorie concettuali che raggruppano gli atti (tecniche e rapporti) concreti, nel nostro caso, dell'animazione. Un metodo fondato è insomma un sistema complesso, che si situa come ponte fra il sistema dei fini ed il sistema degli atti quotidiani. Poiché l'animazione è una parte dell'attività educativa, i suoi metodi rispecchiano quelli dell'educazione. Definire il metodo significa definire: i ruoli degli attori, la qualità del rapporto fra essi , la funzione dei mezzi tecnici. Ciascuna di queste variabili ha influenza sulle altre e la variazione di una implica la variazione delle altre.
Il dibattito sul metodo negli ultimi vent'anni è stato inquinato dalla trasposizione nelle attività educative di ideologie politiche generali. Sommariamente possiamo sintetizzare il dibattito sul metodo in questi termini.
Da una parte il metodo tradizionale, direttivo o trasmissivo, che vede nell'animatore o educatore, la fonte del potere e del sapere e nell'utente il ricettore passivo; il rapporto che lega i due soggetti è di tipo dominio-dipendenza; le tecniche sono rituali utili alla trasmissione ma anche alla perpetuazione del potere dell'operatore.
All'opposto il metodo attivo, cooperativo e di ricerca, che vede nell'animatore uno stimolo, nell'utente un soggetto attivo; il rapporto fra i due è paritario e di scambio; le tecniche sono il punto di incontro fra i due attori, l'area del lavoro comune.
All'opposto dei primi due metodi, viene collocato il metodo non-direttivo, basato sull'induzione e la maieutica; con l'animatore presente come persona (cioè senza ruolo), l'utente come soggetto del potere, il rapporto fra i due alla pari, le tecniche ridotte al minimo o inesistenti. I tre modelli presentati all'osso, sono riferibili alla scuola italiana in genere (direttivo); ai Cemea francesi, Paulo Freire, Dewey (attivo); a C.Rogers e M. Pages (non direttivo). In termini politici i metodi erano riferiti rispettivamente alla conservazione, al progressismo, alla pratica rivoluzionaria. In realtà ora si vede chiaramente, raffreddati gli impulsi emotivi, che questa modellistica è irreale.
In primo luogo perché nessuno dei tre modelli è riscontrabile allo stato puro; in secondo luogo perché un metodo va considerato evolutivamente e non statisticamente. Non solo. Andando oltre le dichiarazioni di metodo, occorre analizzare il comportamento dell'operatore e la coerenza fra metodo dichiarato e metodo praticato.
Troviamo allora che la maggiore coerenza fra metodo dichiarato e praticato è riscontrabile all'interno dei sostenitori della direttività. I metodi attivi ed i metodi non direttivi, laddove vengono praticati, si basano su un'allucinazione fondamentale: l'ipotizzata uguaglianza fra animatore ed animato, educatore ed educato. Postulare questa uguaglianza significa anzitutto misconoscere l'importanza dei ruoli, non solo a livello oggettivo, ma soprattutto a livello soggettivo. Non sarà certo perché l'animatore arriva vestito da clown, che i bambini smetteranno di "viverlo" come un'autorità! In secondo luogo l'allucinazione dell'uguaglianza postulata, consente all'animatore di non assumersi responsabilità in ordine al successo o insuccesso del lavoro. Quanti animatori ed insegnanti, sedicenti innovatori, sono arrivati ad un comportamento permissivo ed abdicatori, in nome del lavoro attivo e non direttivo? Infine, il che è più grave, la denegazione della diseguaglianza, consente proprio la sua conservazione. Non sono pochi gli animatori che, partiti da manifesti di non-direttività, sono arrivati a posizioni da guru, santoni, mistici dell'animazione, con relativo seguito di proseliti, prostrati e plagiati!
Inoltre sia il metodo attivo che il metodo non-direttivo saltano a piedi pari, con sospetta disinvoltura, il problema del conflitto che è invece centrale in ogni progetto di vera crescita. Crescere significa anche misurarsi, a volte con alti costi psicologici, con l'autorità incarnata dall'educatore-animatore. Non offrire questa esperienza all'utente, non è forse una seduzione utile solo all'animatore? Gli operatori educativi orientali direttivamente sono stati accusati di seguire pulsioni sadico-anali, e ciò è stato spesso dimostrato vero; ora si comincia ad intravvedere però che le pulsioni orali e le istanze fusionali di molti innovatori non sono affatto più funzionali all'utente.
L'animazione, giunta allo stadio dell'adolescenza, si sta convincendo che i tre metodi vanno usati in modo combinato, in base agli obiettivi ed ai tempi.
L'uguaglianza fra educatore ed educando è l'obiettivo, non il punto di partenza; l'animatore ha dunque un potere, sia reale (conoscenze e capacità) sia fantasmatico (nella psiche dell'utente); l'utente ha un potere molto basso; la relazione fra i due, parte come dipendenza, usa per raggiungere gli obiettivi.

4.1 Come si può vedere dalle tavole allegate, ( metodi devono essere diversificati in base ai diversi obiettivi.
L'attività che si prefigge una trasmissione di informazioni deve essere direttiva: è una mistificazione ed una perdita di tempo gestirla con altri metodi. Le famose finte ricerche scolastiche che si riducono ad operazioni di ritaglio e collage hanno scarso senso.
La sensibilizzazione al contrario non può che essere ottenuta con metodi attivi o non direttivi, dal momento che richiede una mobilitazione emozionale, un movimento interno, che nessuno potrà ottenere in modo unidirezionale e trasmissivo.
L'attività ricreativa è per sua natura attiva, se si traduce in una rigenerazione del soggetto; l'uso di una metodologia passivante, fa della ricreazione una mera ripetizione (tv docet!).
L'attività di relazione e connessione può fare uso del metodo direttivo, nel senso di creare situazioni, anche imposte, che facilitino lo scambio tra individui, gruppi e servizi diversi. Tipico il caso dell'uso "imposto" di gruppi, misti per sesso, fra bambini.
Infine la formazione: attività complessa che deve far uso di una combinazione dosata fra i diversi metodi. Fanno parte della formazione segmenti diversi: l'informazione (metodo direttivo), la sensibilizzazione (metodo non direttivo o attivo), l'addestramento (metodo attivo).

4.2 La seconda evoluzione metodologica è funzionale ai tempi della relazione animatore-utente.
Non c'è dubbio che la prima fase del rapporto si caratterizza in genere per un'elevata dipendenza dell'utente dall'animatore.
L'animatore, salvo nel caso che disponga di una struttura di "contenimento", come per esempio nei seminari residenziali, non può non accondiscendere almeno in parte alle aspettative di direttività che gli utenti hanno in partenza, ed è perfettamente inutile che la direttività venga addolcita da sorrisi seduttivi oppure venga elusa con tentativi di "fare le cose insieme". Il rischio in questi casi è l'instaurazione di un simulacro di parità.
La dipendenza dell'utente dall'animatore è uno dei problemi cardine del lavoro sociale. Essa non può essere eliminata fin dal principio (salvo casi speciali), ma non deve nemmeno essere perpetuata. Il metodo corretto può partire come direttivo, divenire in seguito attivo ed infine non direttivo. L'evoluzione tuttavia non è a comparti. Elementi di direttività sono necessari anche in fase avanzata del rapporto, così come elementi iniziali possono essere di tipo attivo. In teoria, il passaggio del ruolo dell'animatore deve andare nel senso della non direttività cioè verso la consulenza su richiesta dell'utente. Se nella fase iniziale la responsabilità del rapporto pesa tutta sull'animatore, in quella intermedia è suddivisa e nella fase finale essa è tutta dell'utenza. Lo slogan che l'animatore lavora per la propria morte, può sembrare ad effetto, ma è sostanzialmente corretto.
Se la tensione dell'animatore e del suo metodo è basata sul progetto di abbandono dell'utenza, non significa che sempre questa tensione possa realizzarsi. Ma che non sempre si realizzi, non giustifica l'uso da parte dell'animatore di seduzioni, trucchi e filtri magici finalizzati a renderlo inamovibile.

A

Metodi tradizionalmente intesi
DIRETTIVO
trasmissivo
ATTIVO
cooperativo
NON DIRETTIVO
induttivo
detentore del potere è l'animatore; l'utente è privo di potere e passivo-ricettivo
il potere è distribuito fra animatore e utente; l'utente è "attivizzato" dall'animatore
il potere è dell'utente; l'animatore non ha potere che su di sè; l'utente è libero
relazione tipo dominio-dipendenza
relazione di scambio fra animatore e utente
relazione di scambio fra persone
animatore come capo
animatore come stimolo
animatore come persona e consulente
tecniche utili alla trasmissione e alla conservazione della diseguaglianza
tecniche utili alla stimolazione; luogo di incontro fra animatore e utente; lavoro comune
tecniche trascurate e demitizzare

B

Metodo inteso innovativamente

a) in relazione alla durata del rapporto animatore-utente:
direttivo------------> attivo ------------> non direttivo------------->


b) in rapporto agli obiettivi ed alle attività:
- informazione: metodo direttivo
- sensibilizzazione: metodo attivo o non direttivo
- ricreazione: metodo attivo
- relazioni: metodo direttivo o attivo
- formazione: metodo composito


c) in rapporto al ruolo dell'animatore:

diret. ------------> non dir.

att.

5. Gli stili dell'animatore

Ciascuna metodologia corrisponde, in linea teorica, ad un diverso "stile" (insieme di atteggiamenti e comportamenti) dell'animatore.
La direttività del metodo si combina con uno stile "autorevole", di guida, genitoriale: in ultima analisi si avvicina ad uno stile in direzione e di comando. Non bisogna confondere questo stile con quello autoritario, che del primo è una specie di parodia grottesca o di amplificazione isterica. Lo stile autoritario o autocrate, come bene mostra W. Schutz, è una difesa che nasconde debolezza e paura verso la libertà propria ed altrui. La sua comparsa è generalmente la prova di una carenza di autorità.
La matrice linguistica latina del termine autorità, non bisogna dimenticarlo, è la stessa che in "aumento" e "crescita". Il che sottolinea la necessità, per lo sviluppo del soggetto, di un operatore che usi di uno stile autorevole e del corrispondente metodo direttivo.


Il metodo attivo si basa su uno stile che comprende l'esempio, la seduzione, l'influenzamento. La degenerazione di questo stile scade nella manipolazione e nel paternalismo. La differenza fra questi due modi di essere animatore è molto sottile e spesso non viene percepita perché entrambi si presentano in "veste buona". Tuttavia mentre il vero metodo attivo si propone l'emancipazione ed accetta la diversità fra animatore ed utente, gli stili "degenerati" di questo metodo si basano su una fusionalità strumentale fra animatore et utente, dove quest'ultimo viene inglobato ed usato.

La non direttività sì esprime per lo più attraverso uno stile di tipo, proiettivo o provocatorio. Lo stile proiettivo si traduce in comportamenti ambigui, indecifrabili, impersonali che servono a fare dell'animatore uno "schermo bianco" su cui l'utente proietta ciò che desidera. Lo stile provocatorio si esprime attraverso il frequente uso del paradosso, della metafora, dell'ironia: è un comportamento di sfida, che stuzzica; ed invita alla lotta; che mette in ridicolo, facendo uso della satira e del grottesco.
Anche qui gli stili possono degenerare in comportamenti abdicateti i permissivi, atti spesso a nascondere insicurezza ed incompetenza; oppure verbalmente violenti, intrusivi, stupefacenti.
Tutto questo discorso mette in luce la fragilità di concetti molto in voga negli ultimi anni: come rapporto democratico, relazione di scambio, contrattualità, convivialità e così via. Si può dire che ogni disciplina abbia tentato di esprimere un modello per giustificare l'ideologia dell'uguaglianza fra operatore sociale ed utente. Troppo giustificazionismo nasconde una realtà molto diversa, che evidentemente si vuole nascondere: cioè che l'operatore sociale ha un ruolo diverso e di assai maggiore potere rispetto al suo utente. Non c'è alcun dubbio che un rapporto fra persone debba essere paritario, democratico, cioè scambievole e contrattuale.
È assai dubbio che il rapporto fra operatore ed utente sia un rapporto fra persone "alla pari". Il rapporto si apre su uno stato di bisogno (di crescita, di salute, di divertimento, ecc.) dell'utente, molto maggiore di quello dell'operatore. Ciò significa che la relazione nasce su una radicale disuguaglianza sia oggettiva che soggettiva. Il problema dell'operatore sociale è appunto la riduzione o la eliminazione della disuguaglianza di partenza: cambiamento che riesce solo a partire da una presa di coscienza della realtà di fatto, ma che viene invece ostacolato dalla denegazione di questa realtà e dall'allucinazione, tutta ideologica, dell'uguaglianza.
La disuguaglianza di base, e quindi la posizione di privilegio e di potere dell'operatore verso l'utente, è ingigantita nel servizio pubblico e gratuito. Qui infatti l'utente non può scegliere l'operatore, e non paga: non vi è quasi elemento di contrattualità. Inoltre l'operatore non ha alcun bisogno dell'utente, in quanto viene retribuito a prescindere dal numero e dalla soddisfazione degli utenti. Ciò che apre il rapporto fra operatore ed utente è dunque uno "stato di bisogno unilaterale".
Questa matrice del rapporto operatore-utente lo rende del tutto incompatibile con un rapporto persona-persona che si fonda al contrario su un dispositivo di bilateralità. Allora il rapporto democratico, il fare insieme, la cooperazione, la parità si possono considerare obiettivi della pratica sociale, mai la partenza. Ma quando questi obiettivi sono raggiunti, si può ancora parlare di rapporto fra operatore ed utente? Rivoltando la domanda, possiamo chiederci: il solidarismo è un lavoro sociale? A mio avviso i due termini sono inconciliabili. O si da un rapporto fra persone, diverse ma pari, cooperativo e solidale, mutualistico e contrattuale, scambievole; oppure si da un rapporto operatore-utente, ruoli diversi ed impari, disuguali in quanto a potere e bisogno. L'operatore che vuole puntare a passare dal secondo tipo di rapporto al primo tipo è un operatore che lavora per negarsi, senza negarsi a priori e per ideologia. Un lavoro che richiede metodo, stile, tecniche, oltre che progetto ed intenzione.

 

relazione operatore-utente (disuguaglianza di potere e bisogno)
stile direttivo
stile attivo
stile non direttivo
guida autorevole di tipo genitoriale, direzione, comando
esempio, seduzione, influenzamento
proiettivo o provocatorio, sfidante
<---------degenerazione
<-----------degenerazione
<-----------degenerazione
autoritarismo, stile autocratico, controllo, veto, punizione, sadismo
manipolazione, paternalismo, fusionalità, inglobamento, uso
permissivismo, abdicazione, violenza, intrusione, stupefazione

relazione persona-persona

diversità di bisogni ed uguaglianza di potere, cooperazione, solidarismo, mutualità, contrattualità, genitalità, relazione di scambio bilaterale, ecc.

 

 Come si può vedere da questo prospetto, il rapporto operatore-utente arriva ad un rapporto persona-persona, passando attraverso uno o più stili di animazione, alternati fra loro o selezionati in base al metodo scelto, all'attività da svolgere, all'obiettivo dell'intervento. Si ferma invece e perpetua la relazione operatore-utente, se l'operatore usa uno o più stili in forma degenerata.

6. Le tecniche dell'animazione

Per tecniche intendiamo i dispositivi pratici, i trucchi, gli espedienti che, inseriti in un preciso metodi e gestiti con certo stile, facilitano il raggiungimento degli obiettivi.
Due cose occorre sottolineare con fermezza circa le tecniche.

La prima è che le tecniche seguono sempre l'identificazione dell'obiettivo e la scelta del metodo, non li precedono nè tantomeno li sostituiscono. In un universo sociale che quotidianamente scambia il mezzo con il fine, che ricerca affannosamente sicurezze e incertezze, risultati visibili ed apparentemente economici, è facile che molti animatori e molti utenti intendano le tecniche come gli elementi in cui si estingue il lavoro sociale. Si arriva così facilmente ad un tecnicismo diffuso, ad una promozione ed a un consumo sfrenati di "trucchi" che sostituiscono tutto: valori, intenzioni , obiettivi, metodi, rapporti. Così il kamasutra sostituisce l'amore; le textures prendono il posto dell'espressività grafica; il mimo ette in secondo piano la relazione. Si può dire che l'estetica sottomette l'etica. Ci sono animatori che sanno benissimo "come si fa" una drammatizzazione, ma non "quando" ne "perché" si deve fare.

La seconda sottolineatura deriva dalla prima. In tempi di idolatria del tecnicismo , una tecnica viene considerata onnipotente ed usata in ogni situazione, per ogni attività ed obiettivo. Essendo la tecnica vista come il tutto, si arriva all'equivalenza della sua applicazione. Severino ha giustamente descritto la tecnica come una forma di "dominio del nulla".La drammatizzazione viene via via usata: per sviluppare la fantasia, per aumentare la socializzazione, per divertire, per facilitare lo sviluppo verbale, manuale, grafico, per incentivare la creatività. Ma per gli stessi obiettivi si può usare via via: lo yoga, la fotografia, il gioco, la ricerca, il mimo, l'escursionismo, ecc.
Ogni tecnica serve a tutto, e tutto serve al dominio della tecnica. È vero che una tecnica mette gli utenti in situazioni prismatiche, per cui diversi obiettivi vengono sfiorati. Per esempio, un gruppo di bambini che gioca, contemporaneamente si diverte, socializza, si esprime, fantastica.
Ma è anche vero che lo sfioramento di questi obiettivi plurimi non ha nulla a che vedere con l'intenzionalità e la specificità dell'intervento di animazione. Se è vero che andando a teatro posso fare conoscenza col vicino di poltrona, non si può per questo dire che l'andare a teatro sia un'attività finalizzata alla socializzazione. Le tecniche devono avere obiettivi precisi ed intenzionali principali, il che non esclude che raggiungano anche obiettivi accessori, secondari e casuali. La confusione fra gli obiettivi specifici e quelli accessori di una tecnica porta, come conseguenza, la invalutabilità della tecnica stessa e la impossibilità di verificare la sua efficacia. Non valutare e non verificare una tecnica significa considerarla onnipotente, il che è una conseguenza della sua messa in posizione di "idolo".
L'uscita dalla stadio infantile dell'animazione, dipende anche dalla sua capacità di trovare ad ogni tecnica il suo specifico e di specializzare le tecniche per i diversi obiettivi. Questo presuppone la capacità degli animatori di usare diverse tecniche e in modo flessibile; di inventarne di nuove e validarne l'efficacia.
Possiamo catalogare le tecniche per area d'intervento (socialità, fisicità, creatività, espressività, ecc.), per attività (informazione, sensibilizzazione, formazione, ricreazione, relazione, ecc.), per livelli di utenza (individuale, di gruppo, istituzionale e di comunità), per fasce o categorie (bambini, donne, anziani, emarginati, ecc.), per obiettivi (cognitivo, strumentale o psicologico).
All'interno di questa ipotetica griglia di analisi, esistono tecniche trasversali, cioè utilizzabili nella generalità dei casi. L'esperienza indica tre tipi di tecniche "a largo impiego" anche se non utilizzabili sempre: le tecniche relazionali e di gruppo, la ricerca, le tecniche organizzative. Questi tipi di tecniche dovrebbero costituire il bagaglio base di ogni operatore sociale in quanto: opera con persone e con gruppi, deve conoscere i loro bisogni ed il contesto, agisce (all'interno o a fianco di organizzazioni ) in modo organizzato.
Su queste tecniche di base devono innestarsi tecniche specifiche, diverse come tipo e come uso, a seconda della griglia sopra accennata.

Indicazioni bibliografiche

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 * Estratto da QUADERNI DI ANIMAZIONE SOCIALE- ANIMARE LA CITTA’- ISAMEPS, Milano, 1982, pag. 15-33