SOMMARIO:
1. Definizione terminologica
2. Aree di intervento specifico
3. Le attività dell'animazione
4. Le metodologie
5. Gli stili dell'animatore
6. Le tecniche dell'animazione
1. Definizione terminologica
Prima di affrontare il tema annunciato dal titolo, è necessario
fare un pò di chiarezza su cosa sia l'animazione.
Essendo l'animazione nata come pratica, ha sofferto e soffre tuttora
di grosse lacune teoriche. Come in tutte le discipline, il tuffo costante
degli operatori nella prassi quotidiana impedisce spesso la riflessione
sul senso e sui limiti di questa prassi.
Nel definire una disciplina o una pratica sociale non si può
fare a meno di chiedersi quali ne siano i confini e quale lo "specifico"
rispetto a discipline e pratiche vicine.
Nel nostro caso non possiamo sorvolare su questioni del tipo: che
differenza c'è fra animazione e teatro? oppure fra animazione
ed educazione? oppure fra animazione ed attività politico-sindacale?
fra animazione ed informazione? o fra animazione e festa?
L'aver eluso, per tutti questi 15 anni di vita dell'animazione, tali
interrogativi, ha portato all'enorme confusione nella quale ci troviamo
oggi. Per descrivere in che modi e con quali strumenti opera l'animazione
(come il titolo richiede), è indispensabile premettere una
definizione di animazione.
Forse la confusione teorica circa lo specifico dell'animazione
ha consentito molte sperimentazioni fruttuose; forse anche è
sembrata favorire per molti giovani, senza prospettive professionali
precise, una maggiore ampiezza di interventi. Non sono pochi coloro
che in questi anni hanno pensato che il non definire l'animazione
in uno specifico lasciava le porte aperte ad ogni settore, ad ogni
tecnica, ad ogni utenza. L'animazione senza specifico è stata
per molto una pratica buona per ogni specifico, e questo ha forse
favorito, in tanti anni, l'idea di un'animazione forte e potente.
Nella fase storica più "eroica" dell'animazione,
all'incirca fra il '68 ed il '75, l'idea aveva qualche fondamento.
Molti settori con uno specifico preciso e tradizionale (come il teatro,
la scuola, la politica, l'informazione ed il tempo libero) erano in
crisi e l'animazione sembrava non tanto destinata a rinnovarli quanto
a sostituirli.
Lentamente, però, questi settori si sono riavuti dallo smarrimento,
hanno inglobato alcune provocazione dell'animazione, si sono in parte
rinnovati ed hanno riaffermato, non senza modifiche, il loro specifico.
E l'animazione ha scoperto la precarietà in cui l'ha gettata
l'assenza di un'area propria ed esclusiva.
Oggi la definizione di un'area propria ed esclusiva per l'animazione
è una condizione per la sua stessa esistenza.
Trovare uno specifico per una pratica sociale significa individuare
un settore nel quale solo quella pratica o quella pratica più
di altro, è efficace. Non importa se il settore individuato
è limitato, ciò che conta è se quello spazio
è occupato con competenza nell'interesse della comunità.
Qualcuno identifica lo specifico di una pratica sociale con la specializzazione
che deriva dalla divisione del lavoro, e rifiuta il primo in nome
della contestazione alla seconda. Purtroppo i binomi specializzazione-despecializzazione
e specifico-generale sono solo due delle numerose false contraddizioni
nelle quali è impaniato il pensiero occidentale nell'ultimo
decennio. Solo ora sta diventando chiaro a molti che è necessaria
una specializzazione affiancata da una visione despecializzata, ed
uno specifico accanto ad un'intenzione generale.
I settori tradizionalmente specializzati si sono ripresi il loro spazio
e l'animazione rischia di non trovare più alcun spazio.
D'altra parte fin dall'inizio, l'animazione si è
presentata con due anime. In molti settori della pratica sociale
l'animazione è stata introdotta o assimilata come un "metodo"
nuovo nella gestione di lavori tradizionali, come un corpo di nuove
tecniche e strumenti dei quali arricchire vecchie professioni.
Per esempio nella scuola l'animazione ha significato un modo nuovo
di insegnare ed un insieme di nuove tecniche didattiche o educative.
Così è stato nel lavoro socioculturale, nel lavoro sociale
in genere, nel lavoro educativo.
In questi casi il metodo e le tecniche dell'animazione dono divenute
bagaglio dei vecchi operatori; l'animazione si è diluita nei
settori che avevano uno specifico tradizionale.
La seconda anima dell'animazione, quella che ha forse più spazio
nel futuro, è quella che si presenta come "contenuto"
e come "attività". E' l'animazione che si
può definire genericamente del tempo libero, e che dispone
di operatori a tempo pieno, specializzati.
Arriviamo dunque alla nostra definizione di animazione.
Essa è una pratica sociale finalizzata alla presa di coscienza
ed allo sviluppo del potenziale represso, rimosso o latente, di individui,
piccoli gruppi e comunità.
Ci sembra questa la definizione più accettabile, distillata
da quindici anni di esperienza storica d'animazione in Italia.
Anzitutto diciamo che l'animazione è una "pratica
sociale" , non una teoria ne una disciplina. E' nell'ordine
logico dell'insegnamento, della terapia, dell'assistenza sociale;
si colloca nell'ordine della prassi, dell'azione concreta. Come pratica
sociale, si basa su numerose teorie antitetiche; e fa uso di tutte
le discipline scientifiche che le servono.
Come ogni pratica, si definisce meglio in termini funzionali: l'animazione
serve a "far prendere coscienza ed a sviluppare un potenziale".
Alcuni animatori e molti utenti identificano l'animazione con la ricreazione
o il divertimento e la festa. Noi diciamo che questi possono essere
elementi o tecniche dell'animazione; accettiamo il fatto che possano
essere elementi importanti dell'animazione, ma rifiutiamo in
modo fermissimo ogni omologazione. Il divertimento e la festa sono
inseriti spesso nella scuola, dagli insegnanti più bravi, ma
non per questo l'insegnamento e l'educazione sono identificabili col
divertimento. Molti gruppi di animazione si riducono alla pratica
aberrante di omologare l'animazione in piazza, quella dei villaggi
turistici, dei Partiti di massa.
Certi eventi di ispirazione circense si ripetono inesorabili nella
fabbrica occupata come al Club Mediterranée, al Festival dell'Unità
e a quello dell'Amicizia, nel cortile della scuola elementare come
nel vecchio ospedale psichiatrico. Se non si rigetta con forza l'equazione
animazione-festa, prima o poi si arriva all'equazione animazione-stadio-ballo
liscio-serata del dilettante.
Altri animatori ed utenti identificano l'animazione con le tecniche:
burattini, bricolage, fotografia, ceramica, tessitura. Tutto il vecchio
apparato degli hobbies e del "fai da te" diventa animazione.
Per definizione le tecniche sono lo strumento che serve a qualche
fine: sostituire o identificare col fine è una bassa operazione
da mercato.
Purtroppo, grazie alla natura rassicurante ed edificante delle tecniche,
si tratta di un'operazione diffusissima.
Altri, infine, identificano l'animazione con l'educazione. Se questa
omologazione fosse possibile come giustificheremmo l'uso di una parola
diversa? In realtà l'educazione è un processo articolato
e complesso, che comprende una serie di pratiche parziali come l'animazione,
l'istruzione, l'addestramento. La distinzione si giustifica, quindi,
in quanto una pratica (l'animazione) è un segmento dell'altra
(l'educazione).
Lo specifico dell'animazione è il processo di presa di
coscienza e di sviluppo di qualcosa che è potenziale. Essa
dunque serve (ed in tal senso deve ricercare ed attrezzassi) finchè
esiste qualcosa di non cosciente o di poco sviluppato; va applicata
ed usata in quelle situazioni e verso quegli utenti che "hanno
qualcosa dentro da tirare fuori", sia questo qualcosa un
bisogno, un desiderio, una capacità o un sogno.
Per esempio, degli individui possono avere un potenziale corporeo
o mimico sottoutilizzato, represso: l'animazione può far loro
scoprire questo potenziale esistente, può aiutarli a percepire
il bisogno di esprimerlo, può magari sviluppare il loro interesse
per esso. Ma un corso di yoga o di danza è una pratica di insegnamento
o di addestramento, non di animazione. L'animazione ha come specifico
la scoperta, lo stupore, la illuminazione, la presa di contatto, la
esplorazione del possibile e del potenziale. Per un verso è
un campo molto ristretto, ma per un latro verso si tratta di un'area
cruciale. Se è vero che il mondo occidentale è connotato
da una alienazione di massa,cioè da un'espropriazione degli
uomini dal proprio possibile, l'animazione non ha davvero uno specifico
per conto suo. Sviluppare il potenziale corrisponde ad aumentare il
possibile, cioè il potere dei soggetti. L'animazione in sostanza
è una pratica finalizzata a facilitare la presa del potere
degli utenti. La catena potenziale - possibile- potere è
l'opposto della catena attuale - reale - alienazione.
Il potenziale di cui far prendere coscienza e da sviluppare è
quello "represso, rimosso o latente". Il potenziale latente
è quello dei bambini; quello rimosso è quello
che gli adulti hanno relegato nel dimenticatoio, disabituati ad esprimerlo
a causa del sistema in cui vivono; il potenziale represso è
quello che le organizzazioni o la società comprimono.
Dire che questi sono i potenziali di cui si occupa l'animazione significa
escludere quei potenziali di cui la società facilita l'attuazione:
come l'aggressività, la competizione, la tendenza all'evasione,
il conformismo, la dipendenza o l'emulazione.
L'utenza dell'animazione non sono solo gli individui, ma anche i gruppi
e le comunità, cioè quelle aggregazioni, formali o informali,
che sono diverse dalla semplice sommatoria degli individui che le
compongono.
Una definizione di questo tipo è, per forza di cose, generale
e discutibile: tuttavia ci sembra un punto fermo da cui partire per
un discorso sui metodi e le tecniche. Vorremmo che altri facessero
uno sforzo teorico nella individuazione dello specifico, senza fughe
nel genericismo e con un congruente sforzo operativo.
2. Aree di intervento specifico
Se l'animazione si occupa del potenziale represso, rimosso o latente
è comprensibile come in questi anni certe aree siano state
oggetto specifico dell'intervento animativo.
2.1 Prima fra tutte l'area della socialità.
E' ormai assodato, che il sistema sociale dell'era industriale
avanzata si fonda sull'inaridimento delle relazioni interpersonali
e sociali. Il processo di alienazione, cioè di riduzione dell'uomo
a cosa, unito al processo di deterritorializzazione, cioè di
sradicamento dell'individuo dal suo tessuto storico, hanno reso sempre
meno frequenti gli incontri autentici fra le persone.
L'uomo produttore-consumatore è stato omologato, reso equivalente,
massificato. L'individuo monodimensionale ha perso lentamente la sua
unicità ed il suo valore di persona, diventando ingranaggio
fungibile del sistema produttivo e consumistico.
Non solo la famiglia è stata la prima vittima di questo processo,
ma via via ne sono stati intaccati la coppia, il gruppo amicale, la
comunità. La spinta alla socialità, ai rapporti faccia
a faccia, solidaristici e fraterni, passa da una situazione di latenza
nell'infanzia ad una situazione di rimozione nell'età adulta.
Al punto che oggi molto uomini non riescono più neppure a percepire
la socialità come un loro bisogno naturale. Alla soglia di
quella che qualcuno ha chiamato l'era "energotronica", l'umanesimo
sembra un reperto archeologico.
L'animazione si è posta fin dagli inizi come una pratica "eversiva"
di questa tendenza economistica e macchinistica. La scoperta del sè
e dell'altro, del "noi" come insieme di bisogni e sentimenti,
dei rapporti fra persone, individui irriproducibili dotati di senso
e di valore: questa è forse l'area più importante dell'intervento
animativo.
La scoperta della socialità, non solo come condizione di un
vivere umano, ma anche come premessa di un vivere civile e politico,
ha portato l'animazione ad operare sul fronte della partecipazione,
cioè della socializzazione del potere.
2.2 Una seconda area è quella della fisicità.
Una civiltà dell'energia e dell'elettronica, della razionalità
e della tecnica, tende a rimuovere la natura come un ostacolo ed un
errore. La natura ed il territorio come il corpo umano vengono considerati
residui di un passato primitivo e selvatico. Il codice dell'artificiale
e del cerebrale tendono a sostituire il codice del naturale e del
corporale. Corpo umano e natura vengono considerati al massimo come
luoghi di consumo ed il loro valore è solo quello di scambio.
Un bosco ed un corpo hanno smarrito il loro inestimabile valore d'uso
ed il loro senso, per essere quantificati come unità di scambio
monetario.
L'animazione ha colto questa tendenza ed ha cercato di opporvisi.
La fisicità dell'uomo e della natura è stata rivalutata
come un bisogno insopprimibile, come dotata di senso e valore, come
potenziale indispensabile ed una qualità umana della vita.
Attività ecologiche e naturalistiche, di educazione sanitaria
ed alimentare, di valorizzazione corporea in senso salutistico o espressivo:
sono divenute area specifica dell'animazione.
2.3 Una terza area riguarda l'espressività attraverso
linguaggi plurimi.
La nostra società è impostata sul codice verbale,
a causa della sua razionalità ed economicità. Gli altri
codici espressivi vengono usati a scopi di suggestione e manipolazione
(v. mass-media), oppure delegati ad artisti e tecnici, casta sopportata
o cooptata dal potere.
L'espressione grafica e pittorica, cinefotografica, mimica e drammatica,
musicale e poetica è stata sottratta alla generalità
delle persone in nome di una funzionalità che è solo
economica. L'espressività manuale è stata soppiantata
dai processi di produzione industriale e dal macchinismo, ancora in
nome dell'economicità del danaro e della fatica.
Il risultato è una folla di soggetti padroni di trecento vocaboli,
totalmente dipendenti dai messaggi, prodotti da artisti e tecnici,
controllati dalle leggi del mercato e del potere. Il progetto di uomo
sottostante è quello di fruitore, consumatore, ascoltatore,
spettatore di simboli e messaggi, giammai produttore. La massa non
deve esprimersi: l'elite si esprime al suo posto.
L'animazione ha avuto il merito di segnalare questo processo aberrante,
non solo con una teoria critica, ma con una prassi alternativa. Ogni
sforzo dell'animazione è stato finalizzato a far riappropriare
i soggetti del potere e della capacità di esprimersi e produrre
cultura, con tutti i linguaggi espressivi. Non sempre la produzione
individuale assurge a livelli ecumenici e metastorici; quasi mai è
commerciabile. Tuttavia ha un grande valore per il soggetto che si
esprime e che in questa espressione trova modo di "parlare".
In questo senso l'animazione ha posto fin dall'inizio maggiore accento
sul "processo" di produzione espressiva, piuttosto che sul
"prodotto". La perfezione formale ha senso solo nell'ottica
della commerciabilità o dell'arte, intesa come messaggio universale;
ma perde senso se ci poniamo nell'ottica del prodotto d'uso (o del
processo produttivo) individuale.
2.4 Un'altra area di interesse dell'animazione riguarda la creatività.
Una società impostata sull'uomo-massa, omologato e fungibile,
non può che tendere al conformismo ed al realismo. I bambini
non sono considerati per il loro potenziale fantastico e divergente,
ma come miniature di operai e soldati.
Creatività e fantasia sono errori, pericoli o gratuite perdite
di tempo. La divergenza è inutile quando addirittura non dannosa.
L'animazione , fin dall'inizio, ha capito che suo compito era difendere
il potenziale di immaginazione e fantasia dei bambini, ed ove possibile
svilupparlo.
Spettacolazioni, drammatizzazioni, fiabe, sogni mimati, costruzioni
di "macchine celibi", poesie ironiche, libere associazioni
di disegni "assurdi" sono stati fin dall'inizio gli sforzi
dell'animazione.
2.5 Infine il gioco: inizialmente per i bambini e, da qualche
tempo, per gli adulti.
In una società ove tutto è mercé, la gratuità
diventa un valore rivoluzionario. Diffondere ovunque il gioco assumere
il significato di rivalutare la gratuità e la superfluità
come momento altamente educativo e liberatorio.
Il gioco infantile ed adulto è un'attività libera di
riprogettazione del mondo. Chi gioca è padrone del gioco, gioca
per se stesso, imita ed insieme modifica la vita reale. Si diverte,
cioè fa un'esperienza di diversità.
L'animazione ha tentato e tenta di operare in quest'area, dando al
gioco un alto valore per lo sviluppo di tutto il potenziale umano.
3. Le attività dell'animazione
Nelle aree indicate si è sviluppata maggiormente l'animazione,
con attività di tipo ed intensità diversi.
3.1 L'attività più diffusa è quella della
ricreazione e del divertimento.
Nei periodi di forte impegno politico, questa attività
è stata spesso criticata da molti animatori come evasiva ed
in sostanza collusiva col sistema vigente.
Il movimento delle donne e certe ondate giovanili (indiani metropolitani,quelli
del '77 che non usavano la P38), hanno lentamente rivalutato il divertimento,
la gioia, l'ironia come attività liberatrici. Oggi il problema
non è più quello di bollare il divertimento e la ricreazione
come futilità, ma semmai di diffonderli dando ad essi una valenza
d'animazione. Divertirsi significa fare esperienze di diversità;
ricrearsi significa rigenerarsi: entrambi i termini possono essere
tradotti nel senso più conformista o nel senso più innovativo.
In senso conformistico "divertirsi" significa evadere, dimenticare,
distrarsi dai problemi reali; "ricrearsi" significa riposare,
ricostituirsi intatti ed uguali a prima, per meglio produrre.
In senso innovativo invece "divertirsi" implica fare un'esperienza
di diversità e di novità, un'esperienza divergente,
che distoglie dalla normalità per arricchirci di strumenti
adatti ad affrontarla in modo diverso (divertito?). "Ricrearsi"
vuoi dire rigenerarsi, cioè cambiare. Perdere stanchezza fisica
e psichica, lasciare certe pigrizie e prepararsi ad un atteggiamento
rigenerato verso la vita.
È sottinteso che divertimento e ricreazione hanno dunque poco
a che fare con lo spettacolo di varietà, i giochi senza frontiere,
il flipper, la vacanza in coda. L'animazione che opera nel settore
del divertimento e della ricreazione (tempo libero, clubs, vacanze,
ecc.) si occupa di attivare esperienze di diversità e cambiamento.
Non è cosa facile perché l'alienazione va sottobraccio
alla non consapevolezza, per cui la domanda di ricreazione e divertimento
si esprime quasi sempre in consumo di servizi ed oggetti imitativi
e conformistici. Tuttavia è questo io sforzo maggiore che occuperà
l'animazione in questo scorcio di secolo. L'aumento di tempo libero
o non occupato, la trasformazione della società in un grande
show-business, il dilagante edonismo tipico di ogni società
decadente...: sono tutti vettori di spinta ad un aumento verticale
della domanda di "più divertimento e ricreazione".
3.2 Un'altra attività tipica dell'animazione è
quella che possiamo chiamare sensibilizzazione.
Gli animatori si sono sempre occupati di sensibilizzare l'utenza,
sia attuale che potenziale, alle problematiche relative alle aree
prima indicate. Dalle campagne stampa alle provocazioni simboliche,
dalle ricerche sociali ai prodotti audiovisuali, dagli interventi
spettacolari ai corsi per utenti: l'animazione si è sforzata
di attivare la sensibilità di tutti ai temi della socialità,
del corpo e della natura, dell'espressività,del gioco e della
creatività. Questo lavoro non sempre ha dato frutti,perché
l'animazione è anch'essa sottoposta ai nodi culturali della
società in cui opera storicamente. L'errore principale verso
la sensibilizzazione è stato quello di non capire subito che
non è possibile modificare la sensibilità (fatta di
emozioni, atteggiamenti, pregiudizi, false conoscenze ) attraverso
azioni solo razionali. Con la razionalità tutt'al più
si agisce sulla razionalità, ma questo non basta a modificare
la sensibilità. Sensibilizzare significa toccare le emozioni,
far vibrare il cuore, sollecitare i sentimenti. E qui l'animazione
è stata debole, per gli scarsi apporti avuti dalla psicologia.
L'attività di sensibilizzazione è di vitale importanza,
è forse il cuore stesso dell'animazione; perciò va ripensata
nei prossimi; anni, per affinarne le tecniche.
3.3 Un grosso lavoro l'animazione l'ha svolto nel settore della
formazione.
Ben presto gli animatori si sono accorti che l'animazione può
anche; essere una professione, ma deve soprattutto essere un metodo
comune a tutte le professioni sociali. Gli animatori hanno lavorato
molto in questo senso, come formatori di insegnanti, educatori, psicologi,
pedagogisti, volontari, operatori culturali, ecc. Questa attività
ha dato i frutti più vistosi nella scuola elementare, più
aperta e disponibile all'innovazione, e materna.
Anche se molti animatori recriminano una diminuzione degli interventi
nelle scuole, ciò non vuoi dire che l'animazione, come principi
e metodi, non abbia profondamente trasformato il modo complessivo
di fare scuola.
La formazione ha toccato anche molte associazioni giovanili e molti
operatori di Enti locali, mutandone lentamente ma chiaramente gli
orientamenti.
3.4 Un'altra attività meno appariscente dell'animazione,
ma non per ciò meno importante è quella che definirei
"di relazione o di connessione".
Essendo una caratteristica del nostro sistema sociale la separazione
e la specializzazione, è stato sempre importante operare nel
senso di aumentare le connessioni fra persone, gruppi, enti diversi.
L'animazione ha lavorato per connettere la scuola al territorio, le
istituzioni assistenziali al quartiere, il teatro alla scuoia, la
musica alle biblioteche, lo sport al gioco, la vacanza all'arte, ecc.
I bambini o la comunità del quartiere sono totalità,
unità che non si possono dividere se non rischiando la possibilità
di riunificare. Di fronte al bambino affidato all'insegnante il mattino,
al doposcuolista nel pomeriggio, all'educatore nell'oratorio, all'istruttore
sui campi sportivi, al riabilitatore in casi di patologia, l'animazione
tenta di porsi di fronte ad esso in modo unitario, collegando le risorse
e rendendo plurifunzionali gli interventi. Di fronte ad un quartiere
suddiviso in luoghi deputati, per ceti separati, l'animazione oppone
il teatro in piazza, la musica in biblioteca, l'atelier di pittura
al parco, il gioco a scuola. Questa attività di connessione
sottintende sforzi di sintesi fra discipline, pratiche, gruppi ed
utenti diversi. Così viene osteggiata la separazione per età
diffusa in genere dal comportamentalismo degli Enti: vengono coinvolti
nelle stesse attività anziani e bambini, handicappati e non,
giovani e adulti, insegnanti ed allievi.
3.5 Per terminare il paragrafo delle attività di
animazione, è necessario un accenno al problema terapia-prevenzione.
L'animazione è per definizione un'attività preventiva.
Essa ha a che fare con la qualità generale della vita e degli
uomini: si occupa quindi di tutta la popolazione. Può occuparsi
anche di svantaggiati-devianti, ma solo in quanto persone, non come
categorie speciali stigmatizzate. Purtroppo assistiamo sempre più
spesso ad iniziative di Enti locali che,davanti a problemi disastrosi
ingigantiti da città disumane, modi di vita ferini , istituzioni
selvagge, non trovano di meglio che mandare alla periferia tre animatori,
con compiti messianici.
Gli animatori, spesso presi nella ragnatela della disoccupazione,
accettano di essere usati come finti lamponi, finti controllori sociali,
finti interventi illuminati.
Il lavoro di terapia, individuale o sociale, non è dell'animazione,
ma anzitutto dei politici ed in secondo luogo dei terapeuti (logo,
fìsio,psico, ecc.). L'animazione si occupa di arricchire la
vita, quindi semmai di prevenire l'asocialità, i! silenzio,
la reificazione, la violenza.
Una società in cui i giovani potessero avere relazioni significative,
esprimersi appieno, dare valore non di mercé al proprio corpo
e dall'ambiente, essere diversi ma partecipi, giocare e far vivere
le proprie fantasie, non avrebbe bisogno di eroina, rapine, violenze.
L'animazione punta a questa società ma per riuscire ha bisogno
di precondizioni strutturali ancora molto lontane. Essa è una
pratica sociale preventiva solo assieme ad altre pratiche preventive,
all'interno di una società organizzata per prevenire.
4. Le metodologie
II problema metodologico è al centro del dibattito delle scienze
e pratiche sociali dell'ultimo secolo. Non è dunque risolvibile
dall'animazione, ne sintetizzabile in questo breve scritto. Tuttavia
occorre parlarne.
Per metodo intendo l'architettura procedurale, l'insieme delle categorie
concettuali che raggruppano gli atti (tecniche e rapporti) concreti,
nel nostro caso, dell'animazione. Un metodo fondato è insomma
un sistema complesso, che si situa come ponte fra il sistema dei fini
ed il sistema degli atti quotidiani. Poiché l'animazione
è una parte dell'attività educativa, i suoi metodi rispecchiano
quelli dell'educazione. Definire il metodo significa definire:
i ruoli degli attori, la qualità del rapporto fra essi , la
funzione dei mezzi tecnici. Ciascuna di queste variabili ha influenza
sulle altre e la variazione di una implica la variazione delle altre.
Il dibattito sul metodo negli ultimi vent'anni è stato inquinato
dalla trasposizione nelle attività educative di ideologie politiche
generali. Sommariamente possiamo sintetizzare il dibattito sul metodo
in questi termini.
Da una parte il metodo tradizionale, direttivo o trasmissivo,
che vede nell'animatore o educatore, la fonte del potere e del sapere
e nell'utente il ricettore passivo; il rapporto che lega i due soggetti
è di tipo dominio-dipendenza; le tecniche sono rituali utili
alla trasmissione ma anche alla perpetuazione del potere dell'operatore.
All'opposto il metodo attivo, cooperativo e di ricerca, che
vede nell'animatore uno stimolo, nell'utente un soggetto attivo; il
rapporto fra i due è paritario e di scambio; le tecniche sono
il punto di incontro fra i due attori, l'area del lavoro comune.
All'opposto dei primi due metodi, viene collocato il metodo non-direttivo,
basato sull'induzione e la maieutica; con l'animatore presente come
persona (cioè senza ruolo), l'utente come soggetto del potere,
il rapporto fra i due alla pari, le tecniche ridotte al minimo o inesistenti.
I tre modelli presentati all'osso, sono riferibili alla scuola italiana
in genere (direttivo); ai Cemea francesi, Paulo Freire, Dewey (attivo);
a C.Rogers e M. Pages (non direttivo). In termini politici i metodi
erano riferiti rispettivamente alla conservazione, al progressismo,
alla pratica rivoluzionaria. In realtà ora si vede chiaramente,
raffreddati gli impulsi emotivi, che questa modellistica è
irreale.
In primo luogo perché nessuno dei tre modelli è riscontrabile
allo stato puro; in secondo luogo perché un metodo va considerato
evolutivamente e non statisticamente. Non solo. Andando oltre le dichiarazioni
di metodo, occorre analizzare il comportamento dell'operatore e la
coerenza fra metodo dichiarato e metodo praticato.
Troviamo allora che la maggiore coerenza fra metodo dichiarato e praticato
è riscontrabile all'interno dei sostenitori della direttività.
I metodi attivi ed i metodi non direttivi, laddove vengono praticati,
si basano su un'allucinazione fondamentale: l'ipotizzata uguaglianza
fra animatore ed animato, educatore ed educato. Postulare questa uguaglianza
significa anzitutto misconoscere l'importanza dei ruoli, non solo
a livello oggettivo, ma soprattutto a livello soggettivo. Non sarà
certo perché l'animatore arriva vestito da clown, che i bambini
smetteranno di "viverlo" come un'autorità! In secondo
luogo l'allucinazione dell'uguaglianza postulata, consente all'animatore
di non assumersi responsabilità in ordine al successo o insuccesso
del lavoro. Quanti animatori ed insegnanti, sedicenti innovatori,
sono arrivati ad un comportamento permissivo ed abdicatori, in nome
del lavoro attivo e non direttivo? Infine, il che è più
grave, la denegazione della diseguaglianza, consente proprio la sua
conservazione. Non sono pochi gli animatori che, partiti da manifesti
di non-direttività, sono arrivati a posizioni da guru, santoni,
mistici dell'animazione, con relativo seguito di proseliti, prostrati
e plagiati!
Inoltre sia il metodo attivo che il metodo non-direttivo saltano a
piedi pari, con sospetta disinvoltura, il problema del conflitto che
è invece centrale in ogni progetto di vera crescita. Crescere
significa anche misurarsi, a volte con alti costi psicologici, con
l'autorità incarnata dall'educatore-animatore. Non offrire
questa esperienza all'utente, non è forse una seduzione utile
solo all'animatore? Gli operatori educativi orientali direttivamente
sono stati accusati di seguire pulsioni sadico-anali, e ciò
è stato spesso dimostrato vero; ora si comincia ad intravvedere
però che le pulsioni orali e le istanze fusionali di molti
innovatori non sono affatto più funzionali all'utente.
L'animazione, giunta allo stadio dell'adolescenza, si sta convincendo
che i tre metodi vanno usati in modo combinato, in base agli
obiettivi ed ai tempi.
L'uguaglianza fra educatore ed educando è l'obiettivo, non
il punto di partenza; l'animatore ha dunque un potere, sia reale (conoscenze
e capacità) sia fantasmatico (nella psiche dell'utente); l'utente
ha un potere molto basso; la relazione fra i due, parte come dipendenza,
usa per raggiungere gli obiettivi.
4.1 Come si può vedere dalle tavole allegate, ( metodi
devono essere diversificati in base ai diversi obiettivi.
L'attività che si prefigge una trasmissione di informazioni
deve essere direttiva: è una mistificazione ed una perdita
di tempo gestirla con altri metodi. Le famose finte ricerche scolastiche
che si riducono ad operazioni di ritaglio e collage hanno scarso senso.
La sensibilizzazione al contrario non può che essere ottenuta
con metodi attivi o non direttivi, dal momento che richiede una mobilitazione
emozionale, un movimento interno, che nessuno potrà ottenere
in modo unidirezionale e trasmissivo.
L'attività ricreativa è per sua natura attiva, se si
traduce in una rigenerazione del soggetto; l'uso di una metodologia
passivante, fa della ricreazione una mera ripetizione (tv docet!).
L'attività di relazione e connessione può fare uso del
metodo direttivo, nel senso di creare situazioni, anche imposte, che
facilitino lo scambio tra individui, gruppi e servizi diversi. Tipico
il caso dell'uso "imposto" di gruppi, misti per sesso, fra
bambini.
Infine la formazione: attività complessa che deve far uso di
una combinazione dosata fra i diversi metodi. Fanno parte della formazione
segmenti diversi: l'informazione (metodo direttivo), la sensibilizzazione
(metodo non direttivo o attivo), l'addestramento (metodo attivo).
4.2 La seconda evoluzione metodologica è funzionale ai
tempi della relazione animatore-utente.
Non c'è dubbio che la prima fase del rapporto si caratterizza
in genere per un'elevata dipendenza dell'utente dall'animatore.
L'animatore, salvo nel caso che disponga di una struttura di "contenimento",
come per esempio nei seminari residenziali, non può non accondiscendere
almeno in parte alle aspettative di direttività che gli utenti
hanno in partenza, ed è perfettamente inutile che la direttività
venga addolcita da sorrisi seduttivi oppure venga elusa con tentativi
di "fare le cose insieme". Il rischio in questi casi è
l'instaurazione di un simulacro di parità.
La dipendenza dell'utente dall'animatore è uno dei problemi
cardine del lavoro sociale. Essa non può essere eliminata fin
dal principio (salvo casi speciali), ma non deve nemmeno essere perpetuata.
Il metodo corretto può partire come direttivo, divenire in
seguito attivo ed infine non direttivo. L'evoluzione tuttavia non
è a comparti. Elementi di direttività sono necessari
anche in fase avanzata del rapporto, così come elementi iniziali
possono essere di tipo attivo. In teoria, il passaggio del ruolo dell'animatore
deve andare nel senso della non direttività cioè verso
la consulenza su richiesta dell'utente. Se nella fase iniziale la
responsabilità del rapporto pesa tutta sull'animatore, in quella
intermedia è suddivisa e nella fase finale essa è tutta
dell'utenza. Lo slogan che l'animatore lavora per la propria morte,
può sembrare ad effetto, ma è sostanzialmente corretto.
Se la tensione dell'animatore e del suo metodo è basata sul
progetto di abbandono dell'utenza, non significa che sempre questa
tensione possa realizzarsi. Ma che non sempre si realizzi, non giustifica
l'uso da parte dell'animatore di seduzioni, trucchi e filtri magici
finalizzati a renderlo inamovibile.
A
Metodi tradizionalmente intesi
|
DIRETTIVO
trasmissivo
|
ATTIVO
cooperativo
|
NON DIRETTIVO
induttivo
|
detentore del potere è l'animatore;
l'utente è privo di potere e passivo-ricettivo
|
il potere è distribuito fra animatore
e utente; l'utente è "attivizzato" dall'animatore
|
il potere è dell'utente; l'animatore
non ha potere che su di sè; l'utente è libero
|
relazione tipo dominio-dipendenza
|
relazione di scambio fra animatore e utente
|
relazione di scambio fra persone
|
animatore come capo
|
animatore come stimolo
|
animatore come persona e consulente
|
tecniche utili alla trasmissione e alla conservazione
della diseguaglianza
|
tecniche utili alla stimolazione; luogo di
incontro fra animatore e utente; lavoro comune
|
tecniche trascurate e demitizzare
|
B
Metodo inteso innovativamente
a) in relazione alla durata del rapporto animatore-utente:
direttivo------------> attivo ------------> non direttivo------------->
b) in rapporto agli obiettivi ed alle attività:
- informazione: metodo direttivo
- sensibilizzazione: metodo attivo o non direttivo
- ricreazione: metodo attivo
- relazioni: metodo direttivo o attivo
- formazione: metodo composito
c) in rapporto al ruolo dell'animatore:
diret. ------------> non dir.
att.
|
5. Gli stili dell'animatore
Ciascuna metodologia corrisponde, in linea teorica, ad un diverso
"stile" (insieme di atteggiamenti e comportamenti) dell'animatore.
La direttività del metodo si combina con uno stile "autorevole",
di guida, genitoriale: in ultima analisi si avvicina ad uno stile
in direzione e di comando. Non bisogna confondere questo stile con
quello autoritario, che del primo è una specie di parodia grottesca
o di amplificazione isterica. Lo stile autoritario o autocrate, come
bene mostra W. Schutz, è una difesa che nasconde debolezza
e paura verso la libertà propria ed altrui. La sua comparsa
è generalmente la prova di una carenza di autorità.
La matrice linguistica latina del termine autorità, non bisogna
dimenticarlo, è la stessa che in "aumento" e "crescita".
Il che sottolinea la necessità, per lo sviluppo del soggetto,
di un operatore che usi di uno stile autorevole e del corrispondente
metodo direttivo.
Il metodo attivo si basa su uno stile che comprende l'esempio,
la seduzione, l'influenzamento. La degenerazione di questo stile scade
nella manipolazione e nel paternalismo. La differenza fra questi due
modi di essere animatore è molto sottile e spesso non viene
percepita perché entrambi si presentano in "veste buona".
Tuttavia mentre il vero metodo attivo si propone l'emancipazione ed
accetta la diversità fra animatore ed utente, gli stili "degenerati"
di questo metodo si basano su una fusionalità strumentale fra
animatore et utente, dove quest'ultimo viene inglobato ed usato.
La non direttività sì esprime per lo più
attraverso uno stile di tipo, proiettivo o provocatorio. Lo stile proiettivo
si traduce in comportamenti ambigui, indecifrabili, impersonali che
servono a fare dell'animatore uno "schermo bianco" su cui
l'utente proietta ciò che desidera. Lo stile provocatorio si
esprime attraverso il frequente uso del paradosso, della metafora, dell'ironia:
è un comportamento di sfida, che stuzzica; ed invita alla lotta;
che mette in ridicolo, facendo uso della satira e del grottesco.
Anche qui gli stili possono degenerare in comportamenti abdicateti i
permissivi, atti spesso a nascondere insicurezza ed incompetenza; oppure
verbalmente violenti, intrusivi, stupefacenti.
Tutto questo discorso mette in luce la fragilità di concetti
molto in voga negli ultimi anni: come rapporto democratico, relazione
di scambio, contrattualità, convivialità e così
via. Si può dire che ogni disciplina abbia tentato di esprimere
un modello per giustificare l'ideologia dell'uguaglianza fra operatore
sociale ed utente. Troppo giustificazionismo nasconde una realtà
molto diversa, che evidentemente si vuole nascondere: cioè che
l'operatore sociale ha un ruolo diverso e di assai maggiore potere rispetto
al suo utente. Non c'è alcun dubbio che un rapporto fra persone
debba essere paritario, democratico, cioè scambievole e contrattuale.
È assai dubbio che il rapporto fra operatore ed utente sia un
rapporto fra persone "alla pari". Il rapporto si apre su uno
stato di bisogno (di crescita, di salute, di divertimento, ecc.) dell'utente,
molto maggiore di quello dell'operatore. Ciò significa che la
relazione nasce su una radicale disuguaglianza sia oggettiva che soggettiva.
Il problema dell'operatore sociale è appunto la riduzione o la
eliminazione della disuguaglianza di partenza: cambiamento che riesce
solo a partire da una presa di coscienza della realtà di fatto,
ma che viene invece ostacolato dalla denegazione di questa realtà
e dall'allucinazione, tutta ideologica, dell'uguaglianza.
La disuguaglianza di base, e quindi la posizione di privilegio e di
potere dell'operatore verso l'utente, è ingigantita nel servizio
pubblico e gratuito. Qui infatti l'utente non può scegliere l'operatore,
e non paga: non vi è quasi elemento di contrattualità.
Inoltre l'operatore non ha alcun bisogno dell'utente, in quanto viene
retribuito a prescindere dal numero e dalla soddisfazione degli utenti.
Ciò che apre il rapporto fra operatore ed utente è dunque
uno "stato di bisogno unilaterale".
Questa matrice del rapporto operatore-utente lo rende del tutto incompatibile
con un rapporto persona-persona che si fonda al contrario su un dispositivo
di bilateralità. Allora il rapporto democratico, il fare
insieme, la cooperazione, la parità si possono considerare obiettivi
della pratica sociale, mai la partenza. Ma quando questi obiettivi sono
raggiunti, si può ancora parlare di rapporto fra operatore ed
utente? Rivoltando la domanda, possiamo chiederci: il solidarismo è
un lavoro sociale? A mio avviso i due termini sono inconciliabili. O
si da un rapporto fra persone, diverse ma pari, cooperativo e solidale,
mutualistico e contrattuale, scambievole; oppure si da un rapporto operatore-utente,
ruoli diversi ed impari, disuguali in quanto a potere e bisogno. L'operatore
che vuole puntare a passare dal secondo tipo di rapporto al primo tipo
è un operatore che lavora per negarsi, senza negarsi a priori
e per ideologia. Un lavoro che richiede metodo, stile, tecniche, oltre
che progetto ed intenzione.
relazione operatore-utente (disuguaglianza
di potere e bisogno)
|
stile direttivo
|
stile attivo
|
stile non direttivo
|
guida autorevole di tipo genitoriale, direzione,
comando
|
esempio, seduzione, influenzamento
|
proiettivo o provocatorio, sfidante
|
<---------degenerazione
|
<-----------degenerazione
|
<-----------degenerazione
|
autoritarismo, stile autocratico, controllo,
veto, punizione, sadismo
|
manipolazione, paternalismo, fusionalità,
inglobamento, uso
|
permissivismo, abdicazione, violenza, intrusione,
stupefazione
|
relazione persona-persona
diversità di bisogni ed uguaglianza di potere, cooperazione,
solidarismo, mutualità, contrattualità, genitalità,
relazione di scambio bilaterale, ecc.
|
Come si può vedere da questo prospetto, il rapporto
operatore-utente arriva ad un rapporto persona-persona, passando attraverso
uno o più stili di animazione, alternati fra loro o selezionati
in base al metodo scelto, all'attività da svolgere, all'obiettivo
dell'intervento. Si ferma invece e perpetua la relazione operatore-utente,
se l'operatore usa uno o più stili in forma degenerata.
6. Le tecniche dell'animazione
Per tecniche intendiamo i dispositivi pratici, i trucchi, gli espedienti
che, inseriti in un preciso metodi e gestiti con certo stile, facilitano
il raggiungimento degli obiettivi.
Due cose occorre sottolineare con fermezza circa le tecniche.
La prima è che le tecniche seguono sempre l'identificazione
dell'obiettivo e la scelta del metodo, non li precedono nè
tantomeno li sostituiscono. In un universo sociale che quotidianamente
scambia il mezzo con il fine, che ricerca affannosamente sicurezze
e incertezze, risultati visibili ed apparentemente economici, è
facile che molti animatori e molti utenti intendano le tecniche come
gli elementi in cui si estingue il lavoro sociale. Si arriva così
facilmente ad un tecnicismo diffuso, ad una promozione ed a un consumo
sfrenati di "trucchi" che sostituiscono tutto: valori, intenzioni
, obiettivi, metodi, rapporti. Così il kamasutra sostituisce
l'amore; le textures prendono il posto dell'espressività grafica;
il mimo ette in secondo piano la relazione. Si può dire che
l'estetica sottomette l'etica. Ci sono animatori che sanno benissimo
"come si fa" una drammatizzazione, ma non "quando"
ne "perché" si deve fare.
La seconda sottolineatura deriva dalla prima. In tempi di idolatria
del tecnicismo , una tecnica viene considerata onnipotente ed usata
in ogni situazione, per ogni attività ed obiettivo. Essendo
la tecnica vista come il tutto, si arriva all'equivalenza della sua
applicazione. Severino ha giustamente descritto la tecnica come una
forma di "dominio del nulla".La drammatizzazione viene via
via usata: per sviluppare la fantasia, per aumentare la socializzazione,
per divertire, per facilitare lo sviluppo verbale, manuale, grafico,
per incentivare la creatività. Ma per gli stessi obiettivi
si può usare via via: lo yoga, la fotografia, il gioco, la
ricerca, il mimo, l'escursionismo, ecc.
Ogni tecnica serve a tutto, e tutto serve al dominio della tecnica.
È vero che una tecnica mette gli utenti in situazioni prismatiche,
per cui diversi obiettivi vengono sfiorati. Per esempio, un gruppo
di bambini che gioca, contemporaneamente si diverte, socializza, si
esprime, fantastica.
Ma è anche vero che lo sfioramento di questi obiettivi plurimi
non ha nulla a che vedere con l'intenzionalità e la specificità
dell'intervento di animazione. Se è vero che andando a teatro
posso fare conoscenza col vicino di poltrona, non si può per
questo dire che l'andare a teatro sia un'attività finalizzata
alla socializzazione. Le tecniche devono avere obiettivi precisi ed
intenzionali principali, il che non esclude che raggiungano anche
obiettivi accessori, secondari e casuali. La confusione fra gli obiettivi
specifici e quelli accessori di una tecnica porta, come conseguenza,
la invalutabilità della tecnica stessa e la impossibilità
di verificare la sua efficacia. Non valutare e non verificare una
tecnica significa considerarla onnipotente, il che è una conseguenza
della sua messa in posizione di "idolo".
L'uscita dalla stadio infantile dell'animazione, dipende anche dalla
sua capacità di trovare ad ogni tecnica il suo specifico e
di specializzare le tecniche per i diversi obiettivi. Questo presuppone
la capacità degli animatori di usare diverse tecniche e in
modo flessibile; di inventarne di nuove e validarne l'efficacia.
Possiamo catalogare le tecniche per area d'intervento (socialità,
fisicità, creatività, espressività, ecc.), per
attività (informazione, sensibilizzazione, formazione, ricreazione,
relazione, ecc.), per livelli di utenza (individuale, di gruppo, istituzionale
e di comunità), per fasce o categorie (bambini, donne, anziani,
emarginati, ecc.), per obiettivi (cognitivo, strumentale o psicologico).
All'interno di questa ipotetica griglia di analisi, esistono tecniche
trasversali, cioè utilizzabili nella generalità dei
casi. L'esperienza indica tre tipi di tecniche "a largo impiego"
anche se non utilizzabili sempre: le tecniche relazionali e di gruppo,
la ricerca, le tecniche organizzative. Questi tipi di tecniche dovrebbero
costituire il bagaglio base di ogni operatore sociale in quanto: opera
con persone e con gruppi, deve conoscere i loro bisogni ed il contesto,
agisce (all'interno o a fianco di organizzazioni ) in modo organizzato.
Su queste tecniche di base devono innestarsi tecniche specifiche,
diverse come tipo e come uso, a seconda della griglia sopra accennata.
Indicazioni bibliografiche
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Cappelli Bologna 1978.
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G. CONTESSA, Per un'azione di animazione, in "Animazione Sociale?,
n. 11 1974
G. CONTESSA, A. ELLENA, R. SALVI, Animatori del tempo libero, SEN,
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F.G. GATTI, L. BERZANO, E. GARELLI (a cura di). Bisogno di cultura
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G.R, MORTEO, L PERISSINOTTO (a cura di). Animazione e città,
Musolini, Torino
* Estratto da QUADERNI DI ANIMAZIONE SOCIALE- ANIMARE LA CITTA-
ISAMEPS, Milano, 1982, pag. 15-33
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