Tecniche di lavoro sociale e teatro. Problemi teorici e metodologici

SOMMARIO

  1. Il teatro
  2. Il teatro-rievocazione
  3. La drammatizzazione
  4. Il role-playing
  5. Lo psicodramma

Mi propongo di offrire un quadro comparato dei rapporti fra animazione e teatro, e dei diversi modi di usare la rappresentazione in base ai diversi obiettivi sociali. Una delle ingenuità più diffuse fra gli operatori sociali è quella di fare uso di una tecnica, in questo caso quella teatrale, senza distinzioni metodologiche, per ogni obiettivo ed in ogni situazione. Credo che l’azione drammatica possa distinguersi in cinque forme diverse, ciascuna coi suoi obiettivi e le sue metodologie: il teatro, il teatro-rievocazione, la drammatizzazione, il role-playing, lo psicodramma.

1. Il teatro

Sia il teatro tradizionale sia quello d’avanguardia, sono rappresentazioni la cui caratteristica principale è la unidirezionalità. Un autore o un collettivo di attori (non importa questa distinzione) esprimono loro idee e sentimenti, trasmettendoli ad un pubblico mediante la parola o il gesto o l’immagine. Il pubblico entra in rapporto con questa fonte di messaggi, attraverso la comprensione razionale o la vibrazione emozionale. Che i messaggi emessi dall’autore o dagli attori siano " organici ", cioè sorgano da uno stretto rapporto fra questi e la comunità, poco importa. La sostanza del teatro si identifica nella permanenza di una distinzione fra autore-attore e pubblico. Tutti i tentativi dell’avanguardia di superare questa dicotomia, non vanno oltre un coinvolgimento del pubblico, come risposta al soggetto teatrante. Nessuna avanguardia teatrale può andare oltre la provocazione, pena la morte della propria teatralità. La scelta del contenuto e del mezzo teatrale resta sempre del teatrante. Anche i gruppi più aperti che hanno condotto una rivoluzione del teatro tradizionale, dal Living Theatre in poi, testimoniano di questa unidirezionalità raffinando in modo quasi ossessivo la tecnica dell’attore. Sviluppando le potenzialità vocali, mimiche, gestuali dell’attore, questi rimane pur sempre il soggetto dell’azione teatrale, anche quando il testo e la parola vengono aboliti. Il risultato di questo lavoro teatrale resta pur sempre una sostanziale passività dello spettatore, che non arriva ad esplorare le proprie potenzialità represse o rimosse, né ad appropriarsi del linguaggio specifico del teatro. Alcuni gruppi teatrali hanno intuito questa realtà ed hanno tentato esperimenti di laboratorio, nei quali il lavoro non era la rappresentazione ma il suo smontaggio analitico, insieme alla consegna ai presenti di alcune tecniche espressive. Ricordiamo, per esempio, un lavoro in tal senso fatto negli ultimi due anni da CRT di Milano con il Living Theatre e con Grotowsky; oppure il lavoro di ricerca fatto da Ronconi in Toscana. Mi sembra però che questi tentativi, peraltro molto interessanti, non vadano oltre ciò che potremmo definire " didattica teatrale ". Sia perché si rivolgono in definitiva a gruppi ristretti di addetti ai lavori, sia perché mancano di un approccio interdisciplinare e vengono condotti da operatori di estrazione solo teatrale. Un percorso assai simile a questo dell’avanguardia teatrale è stato compiuto dalle arti visive coi tentativi definiti happenings, arte-evento, o arte-gestuale. Il fatto che sia il teatro sia l’avanguardia visiva abbiano sostituito il contenuto con l’attenzione al processo di produzione, non ha modificato il carattere di unidirezionalità di queste forme artistiche. Non so se ciò sia dovuto al fatto che l’arte sia sempre un fenomeno legato alla soggettività (sarebbe interessante fare una ricerca sull’autenticità dei gruppi che si definiscono collettivi) o a qualcosa d’altro.

Credo però che questa unidirezionalità del teatro, correlata alla sostanziale passività dello spettatore siano fatti indiscutibili. Naturalmente queste valutazioni nulla tolgono ai valore del teatro, le cui potenzialità educative liberatrici si basano su meccanismi importanti come la identificazione, la proiezione, la simpatia emotiva, la comprensione razionale, ecc.

Si tratta di definire le aree di intervento, al fine di limitare gli equivoci. Ogni rappresentazione o evento, basato sul dualismo unidirezionalità passività, rientra nel fenomeno teatrale puro.

2. Il teatro-rievocazione

Con questo termine identifico tutte le azioni drammatiche, in cui non esiste la figura dell’autore-attore. In esse tutto il pubblico, o una parte di esso, fa teatro nel senso che rappresenta qualcosa. Questo tipo di azione drammatica comprende sia le feste popolari, le processioni, le rappresentazioni rituali collettive, sia le vecchie recite di fine anno, le rappresentazioni di testi celebri fatte da studenti. In questi casi non esiste mai una figura di attore professionale; l’autore del testo è un nome consacrato dalla tradizione culturale o è la tradizione stessa. Qui il teatro è usato per rievocare: nella comunità si rievoca un fatto storico, nella scuola si rievoca un apprendimento. Invece del teatro, la rievocazione potrebbe fare uso di un comizio in piazza, oppure di un’interrogazione a scuola.

Il teatro-rievocazione è anch’esso unidirezionale e passivante: la specificità consiste nell’usare una porzione del pubblico come attore dell’azione. Esso ha dunque le stesse caratteristiche del teatro, con in più un elemento importante: quello di offrire ad una porzione del pubblico una esperienza personale di espressività e di fantasia. Questo elemento lascia la gran parte del pubblico nelle stesse condizioni di passività nelle quali versa il pubblico del teatro tradizionale, mentre si presenta per una porzione di esso come un’esperienza che possiamo definire globalmente educativa. L’aspetto educativo sta nella necessità per la parte di pubblico che " agisce " di immedesimarsi nei personaggi, nell’acquisire una pur minima tecnica, nel superare i più comuni ostacoli all’espressività. I limiti di questa azione stanno nella rigidità del testo, sia esso di qualche autore scolastico sia esso un rituale tradizionale. Questa rigidità si traduce in una sorta di unidirezionalità fra autore-testo e attori, che può essere superata solo dall’interpretazione: elemento, questo, di solito assente nei teatro rievocazione.

Nel caso della scuola, questa forma di teatro rievocazione, promosso in genere per stimolare l’apprendimento di un testo e la motivazione degli allievi, è sovente arricchita dall’elemento scenografico e costumistico. Questo elemento consente la esplorazione di aree non strettamente drammatiche come la manualità, il disegno, l’uso dei materiali e delle luci. Anche qui il limite sta nella rigidità del testo, al quale il lavoro dei soggetti teatrali deve sottostare. Ciò non toglie che un’esperienza di questo genere possa espandere gli interessi e la coscienza della potenzialità di chi agisce l’evento teatrale. Naturalmente ciò non vale per il pubblico vero (la comunità o una parte della scolaresca) la cui condizione è identica a quella del pubblico teatrale. L’elemento di non professionalità fa di questo teatro rievocazione il fenomeno ponte fra il teatro vero e proprio e l’animazione.

3. La drammatizzazione

Questa azione drammatica, è una delle metodologie tipiche dell’animazione. Ed è anche l’unica forma di azione drammatica che io considero facente parte dell’animazione. Essa non è l’animazione (come molti operatori provenienti dal teatro vogliono far credere), ma una tecnica per animare. D’altra parte però la drammatizzazione è il solo punto di contatto fra animazione e teatro: il teatro, il teatro rievocazione, il role-playing e lo psicodramma sono azioni drammatiche che poco o nulla hanno a che fare con l’animazione.

La drammatizzazione si caratterizza con due elementi precisi: l’assenza di testo e l’assenza di pubblico. I presenti all’azione drammatica sono gli autori, gli attori e gli spettatori dell’evento. Gli elementi dominanti alla drammatizzazione sono la fantasia e la espressività. Si tratta di un gioco basato sul "come se".. Gli attori rappresentano un personaggio o una storia, a loro totale discrezione, proiettando la loro realtà sul piano fantastico o identificando la fantasia con la loro realtà. La drammatizzazione è un gioco che consente di controllare dei passaggi a due vie, fra realtà e fantasia. Obiettivo di questo gioco non è il prodotto, ma il processo, cioè l’acquisizione di una capacità di giocare ed esprimersi passando alternativamente sui due livelli del reale e del fantastico. La abitudine a gestire il doppio livello (dell’immaginario e del concreto) è l’obiettivo educativo della drammatizzazione.

Se ciò è vero, sono due i pericoli da evitare. Da una parte la drammatizzazione del reale, cioè il teatro rievocazione o il role-playing, dall’altra il grottesco, cioè la identificazione del fantastico col reale.

Nella drammatizzazione, testo, pubblico e attori sono tutt’uno, non può esistere separazione. Questa sintesi consente notevoli apprendimenti: gli strumenti espressivi, la fantasia, la identificazione, la proiezione, la esplorazione di bisogni e potenzialità, la messa in luce di problemi e spesso anche la loro soluzione a livello di catarsi, la azione diretta, il coinvolgimento emotivo e intellettivo.

Naturalmente ci sono diversi modi di drammatizzare. Dal più strutturato, con una traccia e dei ruoli predecisi dall’animatore o dal gruppo, a quello meno strutturato, come una fantasticazione agita in gruppo mentre emerge a livello cosciente. Gli stimoli possono provenire dall’animatore o dal gruppo stesso. L’azione può essere verbale, mimica, gestuale o tutte le tre cose assieme; può essere arricchita da oggetti, luci immagini, collages; può essere agita direttamente oppure con pupazzi, burattini, maschere. Mentre il teatro ed il teatro rievocazione richiedono spazi e condizioni le più varie (l’avanguardia l’ha dimostrato), la drammatizzazione ha esigenze precise di ambienti, tempi, clima. Essendo un processo educativo-liberatorio che si innesca su tre elementi come lo stimolo, il gruppo, il coinvolgimento personale, è necessario che questi elementi esistano. Occorre, per esempio, che lo stimolo sia congruo alle capacità ed agli interessi del gruppo (come stimolo consideriamo anche il rapporto fra gruppo ed animatore). Occorre che il gruppo sia disteso e socializzabile, quindi non troppo numeroso (intorno ai 10, è l’indicazione canonica) e non troppo estraneo. Occorre infine che tutti siano coinvolti anche emotivamente; quindi è indispensabile concentrazione, disponibilità, e riscaldamento psicologico.

Se queste condizioni sono rispettate, possiamo parlare di drammatizzazione, perché solo in tal caso l’azione drammatica produce l’obiettivo che definiamo animazione. L’animazione si collega alla presa di coscienza, alla esplorazione di potenzialità inespresse, ad una esperienza di cambiamento, all’apprendimento di qualcosa di nuovo e diverso. La drammatizzazione può essere una valida tecnica di animazione solo se presenta dei caratteri congrui a questi obiettivi. La festa in cortile o in piazza per duecento bambini può essere drammatizzazione, quindi animazione? Lo spettacolo di mimo, in cui i presenti sono in qualche modo coinvolti è drammatizzazione, quindi animazione? Io credo che gli esempi di cui si legge sovente nelle cronache di feste drammatiche o di azioni mimiche più o meno coinvolgenti, non si possano definire né drammatizzazione né animazione. O sono azioni teatrali d’avanguardia, o sono eventi di teatro rievocazione, o sono azioni di festa e divertimento.

La drammatizzazione è una tecnica di animazione con precise caratteristiche e obiettivi. Laddove essa sia tesa a produrre giochi fantastici, libera espressione e sviluppo di potenzialità latenti, si può parlare di animazione. Laddove esista identità fra testo, pubblico ed attori si può parlare di animazione-drammatizzazione. Questo significa anche che la drammatizzazione è una tecnica di gruppo, collegata alla socialità, oltre che alla fisicità, la fantasia e la espressività.

4. Il role-playing

Anche questa è una tecnica collegata all’azione drammatica, alla rappresentazione. Il suo obiettivo principale è l’insegnamento. Il role-playing consiste nell’agire ruoli reali, col massimo del realismo possibile, in modo da arrivare a comprendere, compenetrare, imparare come agiscono o possono agire questi ruoli in determinate situazioni. Il processo su cui si basa questa tecnica di insegnamento è quello dell’identificazione. I partecipanti imparano a gestire il proprio ruolo, a mettersi in rapporto con altri ruoli, ad agire situazioni complesse mediante l’allenamento ad " entrare nei panni di ". Anche nelle altre tecniche troviamo momenti di identificazione, ma con valenze diverse.

Nel teatro gli attori vestono i panni (anche fisicamente) di qualcuno, rappresentandone il vissuto storico o personale o caratteriale; nel teatro rievocazione è lo stesso; nella drammatizzazione i partecipanti entrano nei panni di specifici ruoli professionali. Con l’obiettivo di capire come agisce e come ci si può rapportare, viene rappresentato il compratore, il direttore didattico, il candidato all’assunzione, il capoufficio, il genitore e così via. Il role-playing è caratterizzato dal massimo del realismo, perché l’apprendimento è proprio determinato dalla capacità di fare " esattamente come. La fantasia, l’espressività e la catarsi, sono evitate o comunque tangenziali. In questa tecnica, come nel teatro rievocazione, una parte del pubblico agisce ed una parte osserva. Ma qui la parte che osserva non si propone di entrare in comunicazione emotiva con la rappresentazione, bensì di analizzare criticamente il livello di realismo e la dinamica delle relazioni rappresentate. Il role-playing è una tecnica di piccolo gruppo, che richiede un setting piuttosto rigido, come in tutte le situazioni di addestramento.

In alcuni casi questa tecnica prevede un testo scritto o orale, cioè un canovaccio di situazione, predeciso dal conduttore. In altri casi, sono predecise le parti, cioè i ruoli, che poi vengono agiti liberamente dai partecipanti. A volte i ruoli di ciascuno sono noti a tutti, a volte il conduttore può comunicare i ruoli solo ai loro interpreti. Ci sono role-playing riguardanti situazioni complesse (come un consiglio di circolo), e ce ne sono che riguardano rapporti di coppia (come venditore-compratore, capo-dipendente, medico-paziente ecc.).

5. Lo psicodramma

Questa tecnica è essenzialmente terapeutica. Essa, inventata da Moreno, che aveva però in precedenza fatto esperienze di drammatizzazione con bambini (attorno al 1910), si basa sul principio della massima spontaneità dei partecipanti. Lo psicodramma è utilizzabile solo in piccolo gruppo, ed è una sorta di trattamento psicoterapeutico realizzato in gruppo e basato sulla catarsi. Tale catarsi curativa sorge dal rappresentare-rivivere situazioni intime conflittuali dei partecipanti.

Il testo non esiste, come tale: esso è l’esperienza o il vissuto dell’attore. Il pubblico, quando esiste, assume il ruolo di osservatore e la funzione di " cassa armonica " della rappresentazione. A volte il pubblico non esiste, c’è solo l’attore circondato dall’équipe terapeutica. Ciò che viene rappresentato qui è la psiche dell’attore, con qualche personaggio che da questa si proietta. In taluni casi il terapeuta entra nella rappresentazione come ego-ausiliario, ma di fatto limitandosi ad agire il testo immaginario scritto dalla psiche dell’attore. Lo psicodramma è una tecnica essenzialmente individuale, cioè rivolta alla guarigione o alla presa di coscienza di un singolo, anche se può trovarsi in un contesto di piccolo gruppo. Molto raramente ci sono casi di azioni socio-drammatiche, nelle quali agisce tutto un gruppo. Queste vengono usate all’interno di seminari e laboratori di dinamiche di gruppo e possono servire all’acquisizione di un insight relativo ad un problema latente del gruppo.

6. Il problema del mixing metodologico

Aver tentato una catalogazione delle diverse tecniche d’intervento collegate all’azione drammatica, può sembrare un esercizio accademico. Oggi infatti si assiste, in tutti i campi, a nebulose mescolanze delle varie tecniche. Molto spesso questi mixing sono solo verbali. Si sente parlare di teatro-terapia, festa-gioco-teatro, rito-animazione, drammatizzazione a ruoli, terapia mimico-gestuale e così via. A queste definizioni non corrisponde quasi mai un reale tentativo di sintesi fra queste diverse tecniche. Si tratta della sostituzione dello sperimentalismo sociale con lo sperimentalismo verbale. Dietro la scoperta che il linguaggio è potere, ogni gruppo si inventa un linguaggio. A volte però si trovano tentativi seri di mescolare diverse tecniche, nella speranza, per esempio, di arricchire l’animazione con aspetti di terapia preventiva, o di arricchire la formazione con aspetti di espressività ludica.

Il problema di questi matrimoni consiste essenzialmente in chi li celebra. Credo che la despecializzazione segua la specializzazione; l’innovazione segua la normativa; l’avanguardia segua la tradizione. E non che le prime stiano al posto delle seconde. In altre parole, voglio dire che i mixing tecnici devono essere sperimentati da quegli operatori che possiedono le tecniche allo stato puro, e non da coloro che si danno ai miscugli perché non possiedono alcuna tecnica.

Credo fermamente nella necessità di sperimentare continuamente metodologie e tecniche nuove, purché questa ricerca sia fatta con le dovute cautele e serietà. In caso contrario è il regno del pressapochismo e della confusione. Il teatro appartiene all’area dello spettacolo, quindi richiede almeno degli attori; il teatro-rievocazione attiene al rito, quindi esige un testo e un codice; la drammatizzazione è una tecnica d’animazione, che deve essere condotta da un animatore; il role-playing è un metodo di addestramento, che richiede la presenza di un formatore; lo psicodramma è una tecnica di cura, che non può non essere condotta da un terapeuta. Naturalmente non mi riferisco a queste professioni in termini corporativi, ma alle competenze che le riguardano.

Allora tentare una drammatizzazione con risvolti terapeutici, significa avere competenze di animazione e di psicoterapia. Sperimentare dei role-playings ludici, significa avere competenze di addestramento e di animazione. Fare del teatro-rievocazione, con finalità di animazione, significa avere competenze circa il teatro, il testo o la tradizione, l’animazione.

Non è un caso che nel teatro si parli dell’attore; nel teatro-rievocazione esista il regista o il coordinatore; la drammatizzazione preveda l’animatore; il role-playing il formatore; lo psicodramma esiga il terapeuta. Questi ruoli sono essenziali a definire la categoria in cui si inserisce la tecnica, ma anche a garantire della correttezza metodologica e tecnica. L’innovazione può nascere dal lavoro collettivo oppure dall’arricchimento di un ruolo con un altro ruolo; non certo dalla negazione a priori dei ruoli e delle tecniche codificate