SOMMARIO:
1.
Devianza
1.1 Devianza in senso ampio
1.2 Devianza in senso più stretto
2. Prevenzione.
3. Animazione socio-culturale
4. Centri Giovanili
Lipotesi di
fondo di questa relazione e di questo Convegno è quella che un
Ente Locale, attraverso la promozione di Centri Giovanili nei quali
si pratichi lanimazione, possa contribuire a prevenire laggravarsi
di fenomeni di devianza. Tale dichiarazione non è semplice e
richiede chiarimenti terminologici.
I. Devianza
Il termine
che possiamo considerare il "primum movens" di tutto
il discorso è quello di devianza. Se non esistesse un fenomeno
come questo e se non si intuisse, anche in piccole e medie cittadine,
un trend di sviluppo progressivo dello stesso, non saremmo qui
a porci tanti problemi. Invece la devianza cè e sembra
anzi in progresso. Tale termine esige chiarimenti perché una
sua interpretazione "larga" porta a conseguenze operative
assai diverse rispetto ad una sua concezione "stretta". Non
cè dubbio che la parola devianza richiama un dirottamento
ed una trasgressione, lo spostamento dalla via centrale. Essa implica
una devianza:ma da che?
1.1 Devianza
in senso ampio
E' ovvio
che il concetto di devianza implica lidentificazione di un centro,
di una "strada maestra" da percorrere. Se per centro si
stabilisce il complesso culturale ed economico della società
occidentale post-industriale, ne di scende che tutto ciò
che non vi si sovrappone funzionalmente, viene concepito come devianza.
Ecco la interpretazione "larga" del fenomeno deviante. La
"diversità" intesa come ipotesi parallela o tangente
al centro (come, per esempio, la omosessualità, le culture giovanili,
le minoranze etniche) viene assimilata alla devianza tout court. La"divergenza"
intesa come ipotesi alternativa al sistema vigente, come le controculture
conflittuali (rifiuto del lavoro, obiezione di coscienza, attivismo
pacifista, autonomie e separatismi diversi), viene essa pure identificata
con la devianza. Insomma tutto ciò che non è omologato,
nella norma e nella moda, conformistico, sottomesso e inglobabile, viene
considerato deviante. Partendo da una tale concezione è naturale
che il ruolo delle iniziative culturali degli Enti Locali sia quello
della "cattura del consenso", delladdomesticamento,
della repressione attuata mediante raffinati metodi di emarginazione
e isolamento. Occorre sottolineare con forza che respingiamo questa
concezione della devianza e del ruolo dellEnte Locale.
1.2 Devianza
in senso più ristretto
Se riduciamo
il cosiddetto"centro" ai valori essenziali ed irrinunciabili,
possiamo arrivare a ridurre anche larea della devianza,
nei limiti veramente necessari. Mettendo al "centro" luomo,
ogni singolo soggetto vivente, e la vita intesa come processo e
flusso di energia, possiamo giungere a concepire come non solo ineliminabili,
ma addirittura necessarie, sia la "diversità" che
la "divergenza". Allora il sistema vigente, le ipotesi
parallele ma diverse, e quelle conflittuali e divergenti, diventano
tre forze plausibili e indispensabili, che dialetticamente determinano
la "strada maestra" della Storia. Allora la devianza si
riduce a quei fenomeni che sono contro luomo e la vita: di
distruttività auto o eterodiretta. In questa concezione
è deviante il violento, il tossicodipendente, il suicida;
ma lo sono anche linquinatore, il bracconiere, il lottizzatore,
labusivista edilizio, il razzista ed il sessista. E
devianza insomma ogni comportamento distruttivo, diretto verso sé
o verso gli altri. Occorre
ora chiedersi dove tragga origine questa devianza-distruttività.
Secondo uno
schema psicoanalitico, la distruttività è una
dimensione radicata nelluomo (Freud la attribuisce allistinto
di morte), che tuttavia emerge e si esprime quando il soggetto non
riesce a "gestire lambivalenza", cioè non
riesce a sopportare la compresenza di bene e male, buono e cattivo,
dentro e fuori di sé. Vengono investiti di distruttività
gli oggetti che sono percepiti come cattivi o senza valore. Secondo
uno schema psicologico e psicosociale, la distruttività
consegue allestraneità e alla non-appartenenza. Si
distruggono gli oggetti "alieni", e si diventa distruttivi
quando ci si sente estranei e disappartenenti. La sociologia attribuisce
la distruttività alla mancata socializzazione, cioè
alla mancata acquisizione della capacità di usare canali
di comunicazione relazionali ed accettabili dal contesto; oppure
ancora alla dipendenza conformistica verso sub-culture dissociali.
Riassumendo.
Abbiamo definito la devianza come un fenomeno riducibile ai
comportamenti distruttivi contro luomo e la vita, escludendo
di comprendere in questo termine sia i comportamenti "diversi"
sia quelli "divergenti".Abbiamo poi identificato come
fonti causali della distruttività: la incapacità a
gestire lambivalenza, il senso di estraneità e di non
appartenenza, la scarsa socializzazione e la dipendenza da sub-culture
distruttive.
2. Prevenzione
Il secondo
termine da chiarire, nella nostra affermazione iniziale, è
quello di prevenzione. Dietro questa parola si nasconde sempre il
rischio di progetti onnipotenti, la cui irrealizzabilità
è tale da vanificare ogni significato concreto. Il problema
per noi non è affatto quello di annullare ogni insorgenza
distruttiva. Probabilmente una simile opera di bonifica planetaria
è solo un sogno infantile. Se sono vere le ipotesi freudiane,
accreditate peraltro dalla tradizione cattolica, la distruttività
è una componente ineliminabile della specie umana. Ciò
che può essere oggetto di unazione sociale, promossa
dallEnte locale, è la esplosione esorbitante di fenomeni
distruttivi, e specialmente quella esplosione indotta, facilitata
o accelerata dal sistema di convivenza attuale. Prevenire non
significa dunque far sparire la distruttività
"fisiologica", bensì ridurre le condizioni
che facilitano lemergenza di una distruttività "aggiuntiva".
Naturalmente non esiste un confine predefinito, oltre il quale possiamo
parlare di distruttività eccedente: è un problema
di sensibilità e di solidarietà. E un
fatto però che in molte città italiane, oggi, la violenza
fra bande giovanili, la tossicodipendenza, la prostituzione giovanile,
le violenze sessuali di gruppo, stanno mostrando trends che
non lasciano insensibile la pubblica opinione. Il fatto che recentemente
un membro del Governo abbia parlato della esistenza di circa 50.000
spacciatori di eroina, facendo così pensare a circa un milione
di tossicodipendenti, non può non far intuire che siamo ben
oltre il grado di auto-distruttività fisiologica. Nè
si può trascurare lipotesi che questa distruttività
abbia uno stretto nesso con le condizioni ambientali, sociali e
psicologiche dellattuale modo di vivere."Prevenire laggravarsi
di fenomeni di devianza" significa dunque operare affinché
vengano a ridursi le precondizioni socio-ambientali, che
sembrano essere terreno di coltura di fenomeni distruttivi in progressione
geometrica. Non possiamo affermare che esista un nesso causale fra
attuale sistema di vita e sviluppo della distruttività; tuttavia
non possiamo negare che i programmi, i servizi, gli spazi, gli operatori
destinati a ridurre lesplosione di questo fenomeno, siano
chiaramente insufficienti. Non è consentito certo attribuire
alla scuola italiana, per esempio, ogni responsabilità circa
la diffusione del fenomeno droga, ma nemmeno possiamo affermare
che limpegno educativo globale e le strategie di recupero
dei soggetti a rischio comportamentale, siano sufficienti per quantità
e qualità. E difficile dimostrare che la devianza giovanile
dipende dalla carenza di servizi sociali, culturali e ricreativi
sul territorio; ma è altresì indiscutibile che poche
Amministrazioni comunali possono affermare di avere fatto il massimo
per diminuire queste carenze. Prevenire significa dunque
fare sforzi programmati per migliorare i servizi sociali urbani,
rendere più finalizzato il lavoro delle istituzioni, ricucire
il tessuto comunitario del quartiere. Nel senso descritto possiamo
dire che prevenire significa lavorare per una "migliore qualità
della vita": non come slogan utopico e generico, ma come progetto
migliorativo (verso i bisogni reali dei giovani) delle istituzioni,
dei servizi, dei programmi degli Enti locali.
3. Animazione socio-culturale
La prevenzione della
devianza, nei termini che abbiamo descritto, può trovare una
risposta in Centri Giovanili, nei quali sia praticata unazione
di animazione socio-culturale. Anche questa parte centrale della nostra
tesi richiede una spiegazione. La attuazione, da parte degli Enti locali,
di strutture di aggregazione e per il tempo libero, è certamente
una risposta assai più seria delle "esplosioni effimere",
al problema della devianza. Tuttavia, non solo è ovvio teoricamente
ma è anche assodato dallesperienza (Torino docet) che gli
spazi e le strutture non costituiscono di per sé un intervento:
tuttal più sono una precondizione. Non cè
niente che possa far pensare che dei giovani con valori fragili o in
crisi, con difficoltà di socializzazione e di autonomia, immersi
in ansietà generazionali aggravate
da quelle socio-lavorative, riducano il loro potenziale di devianza
per il solo fatto di riunirsi sotto un tetto "comunale". Ben
presto, lo si è visto bene a Torino, lo spazio pubblico diventa
"privato" (cioè viene sottratto alla collettività
da parte di un gruppo "forte"), ed in esso si esprimono comportamenti
analoghi a quelli che si vedono nei bar o per le strade. Questo avviene
quando la struttura viene frequentata dalle frange più marginali.
Quando invece la struttura viene fruita da gruppi più integrati,
essa diventa uno spazio concorrenziale alle decine di altri spazi canonici
già disponibili (club fotografico, circolo Arci o Acli, gruppo
sportivo, ecc.).Gli spazi e le strutture devono essere riempiti di
progetti e risorse umane:lanimazione e gli animatori. In alcuni
casi gli spazi sono stati riempiti di contenuti, di proposte chiuse,
di ipotesi culturali preconfezionate, e questi sono i casi in cui è
prevalsa una visione totalitaria e consensuale dellEnte locale.
Allora qui lipotesi di fondo non è quella rispettosa delluomo
e della vita nella sua diversità ed anche nelle sue manifestazioni
divergenti. Ma si tratta di unipotesi di omologazione al sistema
culturale, politico e partitico dominante nella comunità. Riempire
gli spazi e le strutture di animazione e animatori significa optare
per una ipotesi aperta, di contenitore stimolante, di progetto
in divenire; dove il bersaglio finale sono luomo e la vita nelle
loro manifestazioni integrate, differenti o divergenti. Scendendo più
nello specifico vediamo in che senso lanimazione può essere
lo strumento principale per la prevenzione della devianza. Lanimazione
è un segmento del processo educativo. Possiamo considerarla
lo stadio iniziale, il momento dinnesco di un processo di crescita
e maturazione. Essa si propone di far emergere il potenziale (represso,
rimosso o latente) dei singoli e delle comunità; di portare a
coscienza i bisogni reali; di collegare le istanze separate e lacerate;
di favorire un processo continuo di riflessione; di sviluppare loriginalità
creativa del soggetto singolo e dei gruppi. Da questo elenco appare
chiaro come lanimazione sia per sua natura uno strumento indispensabile
per la prevenzione dei fenomeni di devianza distruttiva, la cui origine
è stata sopra descritta. Lanimazione è un insieme
di attività tese a lasciar emergere il "plurale"
che esiste dentro ciascuno ed intorno a ciascuno: essa è
dunque unottima leva per aumentare negli utenti la capacità
di gestire lambivalenza. Lanimazione e un azione tesa a
facilitare le "connessioni" dentro i soggetti e fra
essi:prendere contatto col proprio mondo interno, fatto di bisogni e
sentimenti, è un processo che per lanimazione va assieme
al prendere contatto col mondo esterno mediante lapertura di relazioni
di scambio. In tal senso esso è unazione contro lestraneità
e la disappartenenza. Infine lanimazione è un
azione tesa a stimolare la socialità a livelli sempre più
allargati: dalla coppia al gruppo amicale, alla comunità, alla
società. Territorio dellanimazione è dunque lo sviluppo
delle capacità di interazione e scambio> comunicazione e apertura.
Ecco perché lanimazione è un antidoto contro
luso di canali dissociali e contro lappartenenza conformistica
a sub-culture chiuse. Intesa in questo modo lanimazione si può
sviluppare nelle istituzioni (come la scuola), nel territorio pubblico
(centri giovanili) e nel territorio privato sociale (associazioni e
gruppi). La esistenza di Centri Giovanili è certamente una precondizione
facilitante.
Abbiamo già detto che
le strutture non bastano. Occorre che siano "piene" di animazione
e animatori. Vediamo meglio cosa significa. Anzitutto occorre abbandonare
lidea che lEnte locale debba fornire servizi, e basta. Lipotesi
di un territorio rifornito di servizi ai quali i cittadini accedono
per scelta, è utopica o decisamente funzionale allo status
quo. E utopica se si pensa che a questi servizi accederanno
i gruppi più marginali e sottoprivilegiati: caratteristica di
questi gruppi è sia la scarsa consapevolezza dei propri bisogni,
sia la tendenza a trovare risposte extra e contro istituzionali (a volte
appunto "devianti"). Funzionale, cioè conservatrice,
se lipotesi è che gli utenti siano i giovani integrati,
sensibili ai propri bisogni, capaci di scegliere e orientati a offerte
istituzionali e organizzate. Se si vuole davvero operare nella prevenzione
della devianza, i gruppi da individuare come utenti principali sono
i gruppi "a rischio": i cosiddetti "brutti, sporchi e
cattivi".Ha poco senso impiantare Centri Giovanili per offrire
un ulteriore servizio o spazio ad unutenza che fruisce o può
fruire di numerose altre occasioni. I giovani cosiddetti "per bene"
si aggregano già da soli, hanno gli strumenti per decidere da
soli se rifiutare la devianza distruttiva. I Centri Giovanili di un
Ente locale devono dunque offrire "progetti finalizzati".
Cioè devono proporsi interventi mirati e verificabili, atti
a ridurre trends di rischio in quei gruppi di utenti che sono
più vulnerabili. Per esempio, se in un quartiere si scopre una
correlazione fra espansione dei consumi della droga e fallimenti scolastici,
il Centro Giovanile deve approntare un piano poliennale di animazione
per giovani della Scuola dellobbligo, ovviamente di concerto con
lautorità scolastica. Se in un altro quartiere si constatano
conflitti fra bande giovanili, aggregate per sub-culture antagoniste,
il Centro Giovanile progetterà un intervento di riaggregazione
su eventi culturali aperti
(non "rock" contro "dandies" ma tutti insieme a
fare nuova musica).Il progetto aperto promosso dai Centri Giovanili
dovrà rivolgersi sia al "sociale emergente" sia al
"sociale organizzato": gruppi spontanei e "cani sciolti",
come associazioni storiche e nuove, circoli, cooperative giovanili.
Il progetto deve poi disporre di una metodologia verificabile. Un
Centro è un investimento, sociale, umano ed economico. Non è
accettabile lo sperpero di risorse tanto importanti senza che vi sia
un programma ed una verifica del grado di raggiungimento degli obiettivi.
Naturalmente lefficacia di un Centro non si valuta dal grado di
abbattimento dei fenomeni di devianza distruttiva; ma esiste la possibilità
di trovare indici abbastanza attendibili. Per
esempio, un indice affidabile è il numero di gruppi autonomi
che si sono costituiti in seguito allazione del Centro. Un altro
indice è la diminuzione di fallimenti scolastici. Un altro ancora
è il tasso di vendita o prestito degli strumenti di lettura:
libri, riviste, giornali. Un altro è la diffusione di linguaggi
espressivi non verbali: quanti giovani riescono a produrre musica, immagini,
teatro? O la diffusione di pratiche sportive non competitive.
Insomma lindice
principale è il numero di giovani che passano da una situazione
passiva, consumistica, emarginata ad una situazione attiva e produttiva
nel settore sociale e culturale. Questo passaggio, a prescindere dai
contenuti, è il principale vettore di comportamenti non devianti
e distruttivi. Dopo
il progetto e il programma verificabile, cè il problema
delle persone. Non esiste spiegazione alcuna per il fatto che ci
siano concorsi durissimi per diventare archivista, insegnante, usciere,
mentre per diventare animatore socioculturale sia richiesta solo buona
volontà. Né è accettabile che gli Enti locali non
battano ciglio per mettere a regime lavorativo contrattuale numerose
figure professionali, mentre per gli operatori dellemarginazione
e della devianza non esiste nemmeno lo spettro di un contratto. Il problema
dellemarginazione e della devianza è grave ora, e lo è
ancor più in prospettiva. Un Ente locale serio non può
protrarre il tempo delle sperimentazioni oltre limiti ragionevoli. Terminati
questi, deve dotare i Centri Giovanili di persone contrattualmente garantite
e dignitosamente retribuite. Non importa la formula: cooperativa, contratto
professionale o dipendente. Ciò che conta è il tempo
pieno con una retribuzione piena. Daltro canto gli operatori
non possono offrire in cambio dello stipendio, solo la buona volontà.
Esiste un problema di qualificazione professionale,che gli operatori
devono garantire. Ma dove acquistare questa preparazione? Ancora una
volta si tratta di un problema di pianificazione degli Enti locali,
più o meno consorziati, che devono approntare apposite occasioni
formative stabili, per figure professionali destinate ad aumentare di
importanza di pari passo con linevitabile degrado sociale dei
prossimi decenni.
*Estratto da
QUADERNI DI ANIMAZIONE SOCIALE- ANIMAZIONE, PREVENZIONE, VOLONTARIATO
, PROTEZIONE CIVILE, ISAMEPS, Milano, 1984, pag. 35-42
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