- Ente
pubblico ed animazione socioculturale
- Lanimazione
socioculturale
- Strutture,
organizzazione, programmi, persone
- Caratteristiche
di una vera animazione socioculturale
Premesse:
società italiana ed animazione in abito di tulle
La società
italiana, come tutto l'occidente, sta attraversando una grave crisi.
Ovunque si respira l'aria di decadenza ed insieme di barbarie. La
fine di un'epoca e di un impero si celebrano fra omicidi e congiure
di palazzo, complotti e società segrete, ripiegamenti nel
"privato" e disperazioni collettive.
Le città scoppiano, la produzione e l'occupazione decrescono,
il malessere sociale ed individuale dilaga senza freni colpendo
classi e ceti diversi. Può sembrare superstizione, ma il
clima generale è apocalittico e millenaristico.
Gli unici a guardare oltre la soglia del 2000 sono pochi umanisti
visionari e pochi rapaci ottimisti del Capitale.
La società post-moderna ed energotronica sembra avviata ad
assomigliare al mondo della fantascienza: una massa amorfa schiavizzzata
e drogata a fronte di un'élite del potere e del danaro; in
mezzo, qua e là, qualche mistico predicatore.
Viene subito da pensare alle somiglianze con epoche quali l'alessandrina,
il tardo impero romano, il seicento, il fascismo.
Epoche decadenti, raffinate anche, ma odorose di morte, ridondanti
, orpellose e gaudenti; amorali per disperazione.
La facciata è decorosa, quasi elegante. Le facce dei cronisti
televisivi, il linguaggio degli elzeviristi, i discorsi dei politici
sono compassati, dignitosi, qualche volta raffinati e sottili. Riprende
corpo la cronaca rosa (come negli anni '50) dei reali d'Inghilterra;
rinasce il music-hall; il cinema propone la fantasia, magari tecnologizzata,
dei più ingenui fumetti; l'androgino furoreggia. L'effetto
è tragico.
Come quando nei film si vede la figlia del colonnello festeggiare
i suoi diciott'anni in abito di tulle, mentre fuori il padre viene
scotennato dagli indiani.
L'Italia mostra un abito di tulle. Intanto, circa duecentomila giovai
si stanno facendo il buco quotidiano nel solito sottoscala. Dieci
milioni di "vecchi" vengono rinchiusi in monolocali e
guardati a vista dai televisori. Tre milioni di handicappati percorrono
il loro calvario da un "territorio" all'altro. Cinque
mila operai ogni anno muoiono per "disattenzione" sul
lavoro. Centoottantamila adulti circa, nella sola Milano, vengono
classificati analfabeti (d'andata e ritorno). Quindicimila famiglie
del Belice vivono quasi sempre accampate dopo oltre due lustri dal
terremoto. Mezzo milione di persone è già virtualmente
sfrattato e senza casa. I suicidi sono in aumento: d'altronde la
droga non è un suicidio "differito"? Le psicoterapie
si moltiplicano geometricamente. Cartomanti, astrologi, esorcisti
vivono un periodo aureo. Ma l'Italia mostra un abito di tulle.
Una delle balze di questo tulle è l'animazione I governi
locali, di ogni colore e gradazione, hanno scoperto l'animazione.
Persino l'esercito ha scoperto l'animazione. Venezia muore, il Comune
riscopre il Carnevale. Una bomba uccide 80 turisti ignari? Bologna
commemora il fatto con l'animazione. Il centro storico di Roma si
decompone per il traffico e lo smog: la Giunta lancia il cineclub
di massa. A Milano si arriva a morire di animazione, cadendo da
un fatiscente ponticello, ma la Giunta seda le angosce con risotti
più abbondanti.
L'animazione è dunque diventata una decorazione, un'evasione,
un'attività illusionistica, una droga culturale. Essa ripristina
i fatti e le nefandezze etiche degli imperatori romani, del barocco
e del nazifascismo.
Gli antenati di Nicolini, assessore di una Giunta "progressista",
sono Nerone (?) ("panem et circenses") , G.B. Marino
(" è del poeta il fin meraviglia"), G. D'Annunzio
l'immagnifico. Con qualche eco dell'architetto nazista Speer (scenografo
delle Olimpiadi di Berlino).
Ha una grande tradizione dunque il nostro teorico dell'effimero,
dell'immaginario e del meraviglioso.
Al confronto sbiadisce il radicale Aghina, che si muove sulla scia
dei vecchi dopolavoro padronali ne dei caserecci sabati fascisti
sull'aia. Sport (la Stramilano è uno dei fiori all'occhiello
degli assessori milanesi); un pò di ballo liscio e di musica
tradizionale con ruderi riciclati (Rita Pavone e don Lurio al Castello
Sforzesco!); un pizzico di spregiuducatezza con Renato Zero e di
avanguardia coll'impacchettamento del monumento a Vittorio Emanuele;
ed infine tante belle mangiatone di risotti in piazza Duomo.
Ecco la ricetta dei minculpop degli anni '80 nella città
più europea d'Italia.
Ma anche Bologna non scherza. Commemorare un'ottantina di morti
facendo "dire" da Carmelo Bene qualche pezzo dantesco
dalla torre degli Asinelli, è un'idea da premio Nobel per
la pace.
Vorrei subito sgombrare il campo dal dubbio che qui si voglia fare
un attacco ai governi locali di sinistra. La manipolazione, la stupidità,
l'incultura inquinano purtroppo Giunte di ogni colore. Si parla
qui di Roma, Bologna, Milano perchè sono grandi città
e perchè si sono esse stesse "fatte chiacchierare"
su ogni mezzo di informazione. Più avanti parleremo di esempi
positivi, gestiti da Giunte anch'esse "rosse". Un fatto
indiscutibile, purtroppo, è che i cattivi esempi sono sempre
più seguiti. Giunte di ogni color, città e paesini
di ogni parte d'Italia, stanno imitando i "mostri" arrivando
al grottesco. Bari, Rivisondoli Capracotta, Desenzano, Rimini, Cuneo
stanno "nicolizzandosi" alla caccia dell'effimero, purchè
sia costoso e chiacchierabile. Una caccia smodata in una logica
da circo Barnum: sempre più stupefacente. Se non si trattasse
delle nostre teste e dei nostri soldi, ci sarebbe da ironizzare
sulle prossime trovate.
Stefano Benni auspica un incontro di calcio Roma-Brasile in piazza
Navona, facendo saltare le fontane. Bologna potrebbe commemorare
il secondo anniversario della strage, facendo suonare le Valchirie
dall'orchestra della Scala, sospesa ad un pallone aerostatico a
cento metri dal suolo. Milano, che si appresta a commemorare Leonardo,
potrebbe offrire risotti surgelati a tutti i Leonardi del mondo;
far cantare Leonard Coen dalla Madonnina; costruire una statua della
Gioconda con 100.000 lattine di birra. Venezia potrebbe coprire
per una settimana tutti i canali ed aprire al traffico la città,
lanciando un "carnevale meccanico".
Ma il segno della degradazione e della strumentalizzazione maggiore
viene dall'operazione "caserme aperte". Ancora non si
parla di animazione, ma ci saremo presto. I luoghi di addestramento
alla morte e all'omicidio; gli spazi dell'incultura e del paradosso;
i territori di assuefazione alla droga ed alla omosessualità:
le caserme, si aprono al territorio con feste, frizzi, lazzi, cotillon.
A quando l'animazione carceraria?
Ho detto che
l'animazione è divenuta una balza dell'abito di tulle
dell'Italia, perchè essa non è nata per essere
usata come ora.
Non è colpa della nudità se viene trasformata
in pornografia; nè del papavero se diventa droga. L'animazione,
nel peggiore dei casi, è nata come sogno illuminista, come
speranza nell'uomo e nel futuro; ed è diventata quello che
è, nelle mani di necrofori post-moderni.
Assai più onesta è l'animazione di Rotschild, che
nel Club Mediterranèe la usa dichiaratamente per risparmiare
sui servizi alberghieri ed attirare clienti in cerca di illusioni.
O l'animazione delle vendite, che si propone apertamente di vendere
di più.
Almeno costoro usano l'animazione pagandola direttamente. Mentre
le nuove èlites del potere locale ne fanno un uso commerciale-partitico,
illusionistico e plagiatorio, a spese dei contribuenti.
Paradossalmente, era dai tempi del fascismo che non si vedeva un
uso tanto privato della cultura, quanto oggi che sembra di massa.
La cultura oggi è diventata un business politico, un mercato
di tessere, clientele, favori a vantaggio dell'assessore di turno.
Forse era la stessa cosa nei vent'anni di regime democristiano,
ma ciò non migliora di una virgola la situazione. L'animazione
culturale non è affatto promozione, sviluppo, cambiamento,
investimento sul futuro.
Essa è mero consumo. Sfruttamento del plusvalore politico
da parte dei governi locali. Assopimento delle coscienze.
Per fortuna ci sono delle eccezioni ed è di queste che ci
occuperemo. Esse sono numericamente ridotte, poco appariscenti,
faticose, scarsamente redditizie sul piano clientelare. Non fanno
notizia su una stampa che è fatta sugli stessi paradigmi
del sensazionale e dell'effimero. Purtuttavia esistono e sono nostro
il futuro.
Prima di entrare nel tema, un'ultima notizia. Gli assessori d'assalto
difendono spesso le loro iniziative segnalando come un successo
quello di aver mosso masse di cittadini.
Mi sembra facile rispondere che "muovere le masse" è
meritevole solo se lo è il "motivo" per cui si
muovono. Se non analizziamo questo motivo, dobbiamo ammettere che
i veri animatori socioculturali dell'epoca moderna sono Mussolini,
la Federazione Italiana Gioco Calcio, Fausto Coppi, Franco Franchi,
Mike Buongiorno e Sophia Loren. A quando un cineforun, una mostra
ed un convegno su costoro?
1.
Ente pubblico ed animazione socioculturale
Essenzialmente
sono due i motivi validi per cui l'Ente pubblico deve occuparsi
di fornire servizi ai cittadini.
Il primo è quello si coprire aree di bisogno la cui
soddisfazione non è economicamente remunerativa. Pensiamo
ad una linea telefonica in un paesino sperduto, oppure alla ricerca
scientifica, oppure ancora ai trasporti suburbani.
Il secondo motivo è quello di sottrarre alla speculazione
privata (economica)e/o ideologica) settori ritenuti essenziali ai
cittadini. La scuola, la sanità,l'assistenza pubblica si
fondano su questo principio.
Ciò che differenzia lo Stato totalitario da quello democratico
è che il primo vuole sottrarre certi settori alla speculazione
ideologica privata, per garantirsi una propria influenza ideologica.
I regimi fascista, nazista, sovietico (tre classici esempi di Stato
totalitario) controllano la scuola, la sanità, la cultura,
l'arte, l'informazione allo scopo di influenzare attraverso esse
la società civile.
I regimi democratici si basano su una diversa concezione del pubblico.
In essi l'intervento pubblico ha una funzione garantista; serve
a creare uno spazio di tutela delle libertà, che altrimenti
rischiano di essere asservite ai potentati economici o ideologici
privati.
L'ordinamento scolastico italiano dichiara esplicitamente che non
esiste una "pedagogia di Stato", ma, nell'ambito di principi
ispiratori generali,viene lasciata una libertà d'insegnamento
ai singoli docenti, ed una certa discrezionalità d'orientamento
agli organi collegiali. Tutte le critiche rivolle alla Scuola italiana,
da ogni parte politica, hanno riguardato in questi anni semmai la
scarsa traduzione in pratica di questo principio,l'eccessiva centralizzazione,
il soffocante controllo ideologico. Discorso analogo vale per l'informazione
pubblica, che viene sostenuta da ogni parte come tutela della pluralità
e delle libertà, non come portavoce del Governo. Quando ciò
accade (anche troppo spesso) si parla di ingerenze di regime.
Gli interventi
culturali dell'Ente pubblico sono dunque di due tipi.
Il primo è
finalizzato ad orientare, convincere, manipolare, trasmettere,controllare
i valori, le conoscenze, le mode, i comportamenti. Riducendo alla
sostanza la questione, possiamo definire questo intervento come
totalitario, qualunque sia il colore del governo che lo gestisce.
A questa categoria appartengono gli interventi del Minculpop dell'era
fascista; gli interventi per l'arte del realismo socialista; gli
interventi per la celebrazione dell'effimero e del meraviglioso
di certe amministrazioni attuali.
Un secondo tipo di intervento pubblico è quello finalizzato
a garantire la libertà , ad offrire ulteriori opzioni, a
stimolare lo sviluppo, a consentire spazi e strumenti. Possiamo
definire questo tipo di intervento, democratico e pluralista.
La differenza fra i due modi di intervenire del pubblico è
centrata sul fatto che lo logica totalitaria si considera depositaria
di valori da conculcare (una volta l'ordine, un'altra il realismo,
un'altra ancora la kermesse ); mentre la logica democratica si considera
garante di spazi che la società civile deve riempire di valori.
La prima si basa sui contenuti, la seconda sui contenitori. A questo
secondo tipo di intervento si ispira la nostra Costituzione Repubblicana,
ma anche gli interventi culturali di una minoranza (per ora) di
Enti locali fra cui annoveriamo Torino, Verona, Massa, Pordenone,
Genova, Forlì: per citare solo quelli che conosciamo più
direttamente...
Questa dicotomia tipologica non va confusa con l'antinomia fra Stato
etico intenzionale e Stato liberale qualunquista. Un Ente pubblico
che garantisce solo spazi, strutture, servizi (cioè contenitori)
si basa sui valori della libertà, della pluralità,
della fiducia nella crescita dal basso, dell'autonomia della società
civile.
L'animazione
socioculturale è un'attività che si può collocare
a cavallo fra
l'intervento educativo e l'intervento culturale.
Essa non è
ne può essere priva di intenzionalità e di valori;
ma ciò non significa che debba essere il "braccio seduttore"
del governo in carica. L'Ente pubblico può e deve occuparsi
di animazione socioculturale in quanto essa oggi rappresenta un'occasione
di investimento sul futuro, dì recupero della qualità
della vita, di sviluppo delle potenzialità dei cittadini
e delle istituzioni.
Tutto dipende dal "come".
Esiste
molta confusione oggi tra animazione socioculturale, festa e spettacolo.
Amministratori
locali, gestori di campeggi e pseudo-operatori culturali di regime,
organizzano piccoli baccanali di provincia, con tanto di giullari
, menestrelli e saltimbanchi, ma paludano l'evento con la definizione
nobilitante di animazione.
Diciamo subito che se l'animazione si estinguesse nelle feste e negli
spettacoli, non ci sarebbe alcun bisogno di Enti pubblici che vi intervengano.
Cominciamo dalla festa'.
Un popolo che ha bisogno del governo per divertirsi è già
un popolo di schiavi Il divertimento è diversità, divergenza,
trasgressione, deviazione: la sua caratteristica è di essere
sempre contro o comunque fuori dal governo. Il governo infatti rappresenta
la quotidianità, il conformismo, la burocrazia, il dovere,
il principio di realtà: anche il governo più democratico.
Quando il re si traveste da giullare per far ridere il popolo, significa
che il re vuole dominare anche la sfera del privato,della gioia, della
fantasia: non siamo più allora di fronte ad un governo che
si presenta come "parte", ma che aspira ad essere "tutto".
Lavoro e festa, dovere e piacere, legge e trasgressione, serietà
e gioia: tutto sotto
il controllo. dell'Ente pubblico. Di questo passo anche i partners
verranno assegnali da un apposito assessore.
La festa deve nascere dalla gente, dai suoi sogni, e dalle sue tradizioni.
Alcuni affermano che l'Ente pubblico deve occuparsi di feste perché
la gente non sa più farlo. Questo significa che la vita, i
rapporti, gli spazi sono talmente disgregati da ostacolare la spontaneità
della gente. Se ciò è vero, ed in molti luoghi lo e,
il problema non va risolto con le "feste di Stato", ma con
un'animazione socioculturale che rimetta in moto certi meccanismi
naturali inceppati.
Occorre lasciare le feste alla gente, semmai dando a questa gente
le risorse morali e materiali per farsele.
Per lo spettacolo
la questione è anche più chiara. Se lo spettacolo
è di consumo, come lo sono la maggior parte di quelli promossi
dagli Enti locali, allora e giusto che sia pagato da chi lo consuma.
Trovo perlomeno folle che l'Ente pubblico, coi soldi di tutti i
contribuenti, finanzi anche solo parzialmente spettacoli di Renato
Zero, di Rita Pavone o del teatrino d'avanguardia, iscritto al partito
di turno. Lo spettacolo va pagato coi soldi di chi ne fruisce; se
questi non bastano, lo spettacolo non si fa. I cittadini che, a
buon diritto, non fruiscono di certi ignobili avanspettacoli, non
hanno alcun dovere di contribuire alla spesa. È ora che si
sancisca che impresari da operetta, cantanti e attori da soffitta,
artisti variopinti, ballerini con deficit psicomotori, che non riescono
a vivere del loro lavoro, devono trovarsi un altro lavoro con cui
vivere. Oltretutto si pone un problema di concorrenza fra Ente pubblico
e privati. Certi interventi di Enti locali hanno messo in ginocchio
i già boccheggianti gestori di cinema; in qualche caso hanno
fatto fallire gestori di balere e impresari di spettacoli. Il risultato
finale è una dequalìficazione dei prodotti spettacolari
ed una inclusione nelle mafie partitiche dei commercianti puri di
spettacolo. Dieci anni fa a Milano esistevano impresari privati
di spettacoli internazionali. Oggi si fanno gli stessi spettacoli,
agli stessi prezzi, solo che gli impresari privati sono "taglieggiati"
da organizzazioni para-politiche, senza la intermediazione delle
quali non si fanno spettacoli. Brillante
risultato dell'intervento dell'Ente pubblico nel settore spettacoli.
Qualcuno afferma che questo intervento e necessario per evitare
che le classi
ed i ceti meno privilegiati siano esclusi dagli spettacoli.
Obiezione numero uno: il fatto che certe classi o ceti siano esclusi
da certi spettacoli e solo un loro privilegio; l'esclusione consente
loro di perdere con meno velocità lo spirito di classe e
la dignità.
Obiezione numero due: è tutto da verificare che a certe kermesse
urbane partecipano classi, ceti e gruppi abitualmente esclusi. Certe
serate populistiche di "decentramento culturale" nei quartieri
periferici,vengono affollate dai soliti magnifici "happy fews"
che si godono spettacoli creati solo per loro, pagando metà
del prezzo che sarebbero disposti a pagare (l'altra metà
la paga la collettività).
Obiezione numero tre: anche se ceti o classi o gruppi sottoprivilegiati
sono esclusi da certi spettacoli, ciò è assai meno
grave del fatto che questi stessi sono esclusi dalle scuole d'arte,
dai conservatori, dalle accademie che sono tenute in pessimo conto
dagli Enti pubblici; sono esclusi a volte anche dalle scuole medie;
sono esclusi dai luoghi di ritrovo di quartiere (che non esistono).
Tanta sensibilità per la fruizione di spettacoli da parte
di gruppi emarginati, sarebbe assai meglio riposta se diretta alle
precondizioni della stessa fruizione.
Una seconda categoria di casi, riguarda gli spettacoli cosiddetti
d'arte: il balletto, la musica "seria", le mostre, ecc.
Tutto quanto riguarda la "cultura alta". Coloro che convengono
sull'assurdità di finanziare spettacoli di basso livello,
difendono l'intervento culturale dell'Ente pubblico nei casi di
"arte e cultura".
A parte il fatto che la distinzione fra cultura alta e bassa, arte
e non arte è un dibattito insoluto da duemila anni, il problema
è di economia delle risorse. Solo la stupidità dell'Italietta
può pensare che la caccia al "primato" si persegue
puntando tutto sulle star.
È in base a questa logica che dietro la Scala come dietro
Mennea; dietro Fellini come dietro Eduardo, c'è il semivuoto.
Che nelle Facoltà di Psicologia si insegna più psicologia
animale che psicologia del Lavoro. Che città culturalmente
cadaveriche, come Trieste, spendono soldi per mostre sugli ori precolombiani.
È ammissibile l'intervento pubblico in settori artistici
e culturali tradizionali elevati e sofisticati, purché si
sia prima provveduto alla creazione di un tessuto culturale di base
e di massa. O purché l'intervento artistico e culturale "di
spicco" si innesti in un programma strategico dell'Ente locale.
In questo settore si raggiunge il grottesco. Operazioni spericolate,
sofisticatissime, d'avanguardia, in paesi e cittadine dove la vita
è segnata dal deserto culturale. Aggregati urbani dove normalmente
ai giovani si offre solo la corsa ciclistica domenicale, non mancano
una volta l'anno di ospitare (investendo gran parte del bilancio
culturale del Comune) il coro brasiliano, il trio di musica celtica,
il gruppo di ballerini cambogiani. L'esotico, l'astruso, l'incomprensibile,
diventano simbolo della vocazione alla "cultura alta"
dell'assessore d'assalto.
Ci sembra di aver dimostrato che le feste e gli spettacoli non devono
essere gestiti dagli Enti locali e che esse hanno raramente a che
fare con l'animazione socioculturale.
Questo discorso vale naturalmente per molte situazioni italiane
nelle quali feste e spettacoli, per lo più di dubbio gusto,
sono l'unico o il maggiore tipo di intervento pubblico nel settore
culturale. Non escludiamo che all'interno di un programma pluriennale,
sulla base di strutture e servizi diffusi, l'Ente locale possa anche
saltuariamente occuparsi di di feste e spettacoli. Questi non sono
l'Animazione nè debbono essere l'intervento pubblico, ma
possono essere un momento dell'animazione e dell'intervento pubblico.
2.
L'animazione socioculturale
Già
in altri contributi ho cercato di definire con qualche rigore il
termine di animazione: limiterò al massimo qui il dibattito
su questo tema.
L'animazione è un'attività di promozione degli individui,
dei gruppi e delle comunità urbane. Il terribile aggettivo
di socioculturale serve a distinguere l'animazione che si rivolge
alla città (socio) ed all'area culturale, da altri tipi di
animazione che si specificano per i mezzi che usano (teatrale, musicale,
ecc.). La specificazione si giustifica assai più per eredità
storiche ed influenze geografiche, che per un'esigenza sostanziale.
Il termine è di origine francese ed ha navigato dalle famose
"maisons de la culture" ai nostrani "centri di lettura".
L'accezione più diffusa oggi in Italia è quella di
"un'azione culturale rivolta agli adulti". Il termine
"animazione" tout court richiama troppo l'aspetto
ludico e d'altra parte il concetto di intervento o azione odora
troppo apertamente di colonialismo.
2.1. Si usa
il termine di animazione socioculturale per indicare "una pratica
sociale organizzata al fine di sviluppare la cultura di un aggregato
civile". Il nodo da risolvere in definizioni di questo tipo
è cosa significhi "sviluppare la cultura".
Oggi nessuno identifica la cultura con le nozioni. Qualcuno considera
cultura la padronanza dell'insieme di conoscenze sviluppatesi nella
storia dell'uomo. Ma questa concezione è troppo "passiva"
e "archivistica" per essere attuale ed esaustiva. Alla
conoscenza delle conoscenze si tende affiancare la conoscenza degli
strumenti che producono conoscenza. Alla cultura intesa come enciclopedia,
si aggiunge oggi una cultura intesa come officina. Dieci anni fa
si sognava di officine culturali che sorgevano miracolosamente dalla
coscienza e dalla storia, mentre si rinnegava l'enciclopedia come
retaggio autoritario Oggi si conviene che la produzione di conoscenze
segue la padronanza di almeno le maggiori conoscenze precedenti.
Per conoscenze non intendo qui quelle scientifiche soltanto, ma
anche quelle artistiche, storiche e sociali. Sviluppare la cultura
oggi significa dunque sviluppare la padronanza della cultura esistente
e la capacità di produrne di nuova. Questo oggi è
tuttavia un compito da realizzare "a valle" di un altro
compito forse più difficile, che è quella di "stimolare
la gente a scoprire il proprio interesse e potenziale culturale".
La cultura ha a cha fare colle attività mentali e psichiche.
Anche quando nasce da un'esperienza o da un'azione manuale, la cultura,
per divenire tale, deve passare attraverso riflessioni e produzioni
simboliche. La stessa tradizione orale, che sembra più immediata,
per essere fatto culturale deve subire la mediazione dei valori
simbolici, che sono prodotti da attività mentali e psichiche.
La stessa caccia alla preda nella foresta, fatta da un giaguaro
e da un indigeno, è fatto culturale solo per l'indigeno,
in quanto solo per lui essa ha connotati simbolici, religiosi, rituali,
sociali. Sviluppare la cultura significa dunque sviluppare le attività
mentali e psichiche. Attività che sono assai rare nell'adulto
contemporaneo. Contemplare, riflettere, provare emozioni sono attività
sostituite pesantemente da altre più comuni oggi: consumare,
stordirsi, guardare, funzionare freddamente. La logica produttivistica
tende all'automatismo ed alla specializzazione, al conformismo ed
alla ripetizione. I giudizi sono assai più faticosi ed antieconomici
dei pre-giudizi.
Pensare, produrre cultura, produrre atre, sono attività sottratte
all'uomo comune e delegate all'esperto o all'artista, trasformati
in lavoratori dell'industria culturale. L'attività culturale,
che connota l'umano nella sua essenza, è stata mercificata
e sottoposta alle leggi del mercato. La filosofia, la teologia,
la politica e la psicologia sono territori da esperti.
Ormai ciò che sembra distinguere una società democratica
da una non democratica è solo il fatto che , nella prima,
gli esperti e i tecnici possono essere "guardati" liberamente.
La gente comune sembra non avere interesse a "produrre cultura"
e sembra non avere coscienza di poterlo fare. Sviluppare cultura
oggi significa primariamente risvegliare nella gente la coscienza
del bisogno di cultura e del potere, che essa ha, di fare cultura.
E non è possibile fare questo, dando ai cittadini prodotti
culturali preconfezionati, da osservare e applaudire.
Occorre anche chiedersi
se la cultura sia un fine o un mezzo.
Credo che essa sia in
parte un fine, un godimento ed un'elevazione in sè. Ma ritengo
sia necessario vedere la cultura anche come un mezzo per migliorare
la vita. Conoscere la storia dell'umanità e saper produrre
idee nuove, sarebbero un esercito decorativo se per esempio non
servisse a frenare l'apocalisse nucleare.
Chi sa leggere, accetta più difficilmente le manipolazioni.
Chi riesce a
pensare, mette mano alla pistola più raramente. Chi sa produrre
idee o arte, cerca meno intensamente una morte per droga.
L'animazione socioculturale è dunque una delle tante leve
utili al cambiamento della vita sociale. Dico "una delle tante"
e non "la" leva, perché non basta il dotto cineforum
a far sparire la disoccupazione. L'utopia illuminista è in
questo ridimensionata. Lo sviluppo culturale è un vettore
del cambiamento da affiancare ad altri vettori (economici politici,
giuridici, ecc.). Per concludere possiamo definire l'animazione
socioculturale come "una pratica sociale organizzata alfine
di sviluppare i bisogni, le potenzialità e la cultura di
un aggregato, che aumenta attraverso essa le possibilità
di migliorare la qualità della sua vita".
2.2 Naturalmente
questa è una definizione teorica.
L'uso dell'animazione
ne richiede una definizione operativa.
Migliorare la qualità della vita di un quartiere o una città,
attraverso operazioni culturali, significa far discendere da questa
finalità generale degli obiettivi concreti. Un'Amministrazione
locale seria, programma il raggiungimento di obiettivi mediante
piani articolati. Tali piani possono centrarsi su direttrici diverse
ma precise e devono consentire la identificazione di indicatori
del loro successo o insuccesso.
Finora la politica culturale degli Enti locali è dominata
dalla casualità
dalla provvisorietà e dall'assenza di verifiche.
In molti casi questo impostazione viene suffragata da teorizzazioni
sull'effimero , ma in moltissimi casi si spiega solo con l'assenza
di visione prospettica, con l'avidità di consenso e di clientela.
Le iniziative culturali non si giustificano quindi per i risultati,
ma per se stesse e per il numero di partecipanti. La quantità
di partecipanti è il metro sostitutivo della qualità
e della intenzionalità degli interventi.
Le direttrici principali su cui centrare gli obiettivi operativi,
sono: la partecipazione e l'aggregazione sociale, l'educazione
e i linguaggi espressivi , la riduzione della devianza e dell'emarginazione.
Aumentare la cultura per migliorare la vita, significa aumentare
il grado di coinvolgimento e quindi di potere dei singoli e dei
gruppi nella comunità :
a) Un programma
culturale deve proporsi quindi di moltiplicare l'aggregazione ,
facilitando la creazione di gruppi, associazioni, cooperative che
abbiano forma stabile e vita continuativa. È ridicolo chiamare
aggregazione quella dei centomila ascoltatori di Bob Marley a S.
Siro. Per aggregazione sociale intendiamo un accorpamento stabile
e duraturo di persone o gruppi, che abbiano fini comuni, relazioni
significative, attività compartecipate. Nello stesso senso
va l'incentivazione della partecipazione alla vita associata: gli
organi collegiali della scuola, i comitati di gestione delle biblioteche
e dei servizi sanitari, i consigli comunali e circoscrizionali,
le associazioni ed i Partiti.
b) II miglioramento
culturale e della vita passa anche attraverso la diffusione delle
conoscenze e degli strumenti per produrre nuove conoscenze. Obiettivi
di un programma culturale sono dunque: la riduzione dell'analfabetismo
e l'aumento della diffusione libraria; la moltiplicazione dell'innovazione
scolastica e la riduzione delle ripetenze e degli abbandoni; la
trasmissione di linguaggi espressivi non tradizionali (teatro, cinema,
manualità, pittura, ecc-); l'aumento dell'educazione non
direttamente scolastica (alimentare, ambientale, stradale,sanitaria,
sessuale, ecc.).
c) La terza
direttrice è quella della riduzione della devianza e dell'emarginazione.
L'aumento della cultura è sterile accademismo se non consente
la riduzione di fenomeni quali la droga, la delinquenza minorile
, la violenza sulle donne e sui minori, la ghettizzazione delle
minoranze sociali (anziani, handicappati, immigrati, ecc.).
Fare animazione socioculturale significa impegnarsi concretamente
in queste tre direttrici, con interventi pianificati poliennali
e controllabili negli effetti, attraverso indicatori sociali predeterminati.
Non occorre essere intellettuali per capire che Bari e Rovereto
devono fare interventi culturali di questo tipo prima di promuovere
serate con Luis Falco e il teatro Kathakali.
3. Strutture,
organizzazione, programmi, persone
Indirizzare
l'animazione socioculturale verso gli obiettivi concreti su indicati
è certo cosa meno facile ed eclatante che fare spumeggianti
serte del teatro kabuki. Fare dell'animazione socioculturale sul
serio richiede la messa in azione di strutture, organizzazioni,
programmi e persone qualificate.
Non è problema economico, come sostiene qualcuno in evidente
malafede. A parte il fatto che una valutazione economica dipende
dai risultati: è senz'altro più colpevole buttare
al vento cento milioni che investirne fruttuosamente duecento. Un
programma di animazione socioculturale serio può costare
la stessa somma di un programma effimero Questi ultimi fra l'altro,
per la loro naturale tendenza alla Bamum, tendono a gonfiarsi vertiginosamente
di anno in anno.
Sarebbe interessante, per esempio, conoscere quale eredità
ha lasciato l'operazione Ronconi-Prato, costata pare mezzo miliardo.
O sapere il costo dell'operazione di archeologia filmica sul Napoleon
a Roma. Oppure , quanti gruppi giovanili si sarebbero potuti finanziare
a Bologna, con quei sessanta milioni bruciati in una sera per sentire
la voce di Bene?
I queruli Amministratori che pongono perennemente per i tagli di
bilancio e le magre finanze locali, dovrebbero anzitutto fare i
conti di quanto sperperano persistendo nella incapacità (o
non volontà) di fare programmi interassessorili coordinati.
In molte città non solo non si fanno iniziative coordinate,
ma addirittura si esibisce la più squallida concorrenza.
Un operatore culturale di prevenzione del fenomeno droga deve certo
coinvolgere competenze sanitarie, sportive, assistenziali, magri
anche urbanistiche. Nove interventi su dieci, fra quelli realizzati
oggi in Italia, sono fallimentari in partenza per la mancanza di
una visione integrata e coordinata.
L'animazione socioculturale richiede strutture, edifici, spazi ed
attrezzature.
3.1 Non è
necessario pensare a faraoniche nuove costruzioni affidate ai soliti
architetti di moda. In Italia non mancano affatto le strutture,
se non in casi rari. Si tratta di riutilizzare il patrimonio
pubblico esistente. Ci sono spazi sportivi sequestrati da singole
società ad uso strettamente riservato per l'agonismo. Ci
sono palazzi e locali comunali assegnati ad associazioni e gruppi,
morti da decenni. Ci sono biblioteche frequentate da dieci persone
la settimana; scuole utilizzate cinque ore al giorno; teatri e cinema
vuoti la mattina e parecchie sere la settimana e parecchi mesi all'anno.
In compenso se un gruppo di giovani vuole riunirsi può sciegliere
solo fra bar, l'oratorio o le cantine dei palazzi fatiscenti. A
Milano, un gruppo che desidera fare un convegno si sente di consigliare
dal Comune, l'affitto delle sale dell'Hotel Michelangelo. Le nuove
costruzioni possono anche essere progettate, per il futuro.
Da subito
lEnte locale potrebbe instaurare la regola che tutti gli ambienti
pubblici possono essere usati da tutti i gruppi di interessati,
in orari diversi concordati con una segreteria centralizzata. Il
rischio che si corre è qualche danneggiamento o qualche inconveniente
circa lordine e la pulizia. Ma gli ossessionati dallordine,
dalla pulizia, dovrebbero pensare ai rischi che una città
corre nel lasciare costantemente ai margini della vita associata
e culturale, migliaia di persone.
3.2
Oltre che strutture servono attrezzature. La maggior parte
dei gruppi spontanei muoiono per non avere un luogo di ritrovo e
per mancanza di soldi per un telefono, un ciclostile. Un Ente locale
interessato a fare animazione socioculturale dovrebbe pensare anzitutto
ad organizzare una segreteria cittadina aperta a tutti i
gruppi di persone interessate ad avere un servizio pubblico di segreteria,
ciclostile, archivio, magazzino.
Sorge dunque un problema di organizzazione. In genere i funzionari
operanti nelle organizzazioni culturali hanno provenienze molto
variopinte: i loro sistemi di formazione e selezione sono largamente
discutibili. Tuttavia è pur sempre qualcosa che esistano
e che si occupino stabilmente del settore socioculturale. Ho conosciuto
Assessorati che conducevano operazioni socioculturali disponendo
di un regioniere della contabilità o di un funzionario del
decentramento a part-time, e nessun altro. Parlo di cittadine di
50-60.000 abitanti, non di frazioni.
Un Ente locale che voglia effettuare interventi socioculturali deve
disporre di uno o due addetti al centro, che siano preparati o che
si preparino dal momento in cui si avvia un progetto; ma soprattutto
deve disporre di un'organizzazione periferica. Nella migliore delle
ipotesi questa organizzazione deve essere autonoma, cioè
fatta di operatori socioculturali che lavorino full-time
per l'Assessorato, come dipendenti o attraverso un contratto di
prestazione professionale o per convenzione. Nel caso in cui non
sia possibile la situazione ottimale, occorre provvedere all'utilizzo
e alla valorizzazione delle risorse esistenti.
Per esempio, organizzando un apposito gruppo di lavoro composto
di operatori pubblici organizzati (ce ne sono molti di più
di quanto si pensi): dal bibliotecario all'assistente sociale, dall'insegnante
comandato al direttore del teatro comunale. Oppure concordando programmi
con le istituzioni già operanti, magari confusamente o svogliatamente,
sul territorio urbano: dalla USL al Distretto Scolastico; dal museo
al centro sportivo. Oppure infine stimolando e convogliando le forze
attive del volontariato, organizzato e non: associazioni culturali,
ricreative e sportive, gruppi spontanei, studenti universitari.
Esiste un'enorme quantità di risorse male incanalate, sottoutilizzate,
sprecate nella società metropolitana, che necessitano solo
di stimoli, indirizzi, aiuti e coordinamento.
Molti Enti locali che non hanno risorse per programmi di vasto respiro
bruciano tutte le loro risorse in qualche iniziativa eclatante quanto
sporadica ,
magari concorrenziale a quanto le organizzazioni "civili"
stanno faticosamente portando avanti. Questi Enti non prendono neppure
in considerazione il ruolo importantissimo del coordinamento e dello
stimolo incanalato delle risorse esistenti. Coordinamento, beninteso,
che non deve essere mirato al controllo ed al dominio, bensì
allo sviluppo ed all'armonizzazione, al potenziamento ed alla finalizzazione.
Tutto questo richiede un'organizzazione, intesa come struttura ma
anche come procedura, cioè un'azione organizzata. Non casuale
ne caotica, non parziale ne episodica, non approssimativa ne dilettantistica.
Occorre che l'Ente locale e l'Assessore preposto sappiano programmare
, avvisare per tempo, predisporre le risorse (economiche, ambientali
ed umane), organizzare il dibattito ed il consenso, e poi gestire
correttamente le decisioni. Troppo spesso l'intervento culturale scivola
sull'incultura organizzativa degli Enti promotori. Risorse disponibili
vengono emarginate, oppure deluse e frustrate. E non mi riferisco
ai casi in cui tutto ciò avviene per malafede politica: questi
casi sono correggibili solo alla successiva tornata elettorale. Penso
ai casi (e sono tantissimi) in cui questo avviene per incapacità
ed insipienza, cioè per incultura.
3.3 Un
altro problema cruciale è quello dei programmi finalizzati.
La logica
attuale degli interventi culturali, abbiamo detto, è prevalentemente
quella dei fuochi d'artificio.
La logica
tradizionale, più compassata e realista, e quella del servizio
culturale. Biblioteche, Centri di lettura, Centri per il tempo libero,
musei, conferenze dotte: l'Ente locale organizza servizi che offrono,
ad orario
fisso s'intende, la possibilità di fruizioni culturali.
Questa logica
ha due nei.
Il primo è che non ci si può rendere conto se
e quanto questi servizi servano, quale è la loro incidenza
sul costume culturale e sulla qualità della vita.
O meglio, salvo rari casi, si intuisce che hanno poco o nessun peso
dal numero dei loro utenti, che in genere è bassissimo.
Il secondo neo ha come spia proprio la scarsità dell'utenza.
L'ideale utente infatti, tanto consapevole dei propri bisogni culturali
e dei modi per soddisfarli, che dovrebbe far uso del servizio culturale
pubblico, è quello che ha meno bisogno del servizio stesso
in quanto ha le possibilità di soddisfare in altri luoghi
le proprie esigenze culturali. Gli analfabeti, che sarebbero i più
bisognosi dei servizi di biblioteca, non vanno certo in un posto
di cui non sanno nemmeno leggere gli orari d'apertura. I giovani
sbandati saranno gli ultimi ad entrare in un Centro di tempo libero
(anche perché in genere, quando in questi Centri entrano
troppi "sbandati", l'Ente locale li chiude, come è
successo a Torino ed a Milano).
Insomma i "servizi" rispondono ad un'impostazione illuministica
che immagina un cittadino capace di ascoltare i propri bisogni,
scegliere fra diverse opzioni, usare i servizi nel modo più
giusto. Qualcosa come le nobili teorie illichiane sulla scuola.
La realtà è diversa.
Occorre passare dai "servizi" ai "programmi".
Questo significa utilizzare in modo diverso le risorse strutturali
ed umane. L'Ente locale deve identificare una direttrice di intervento,
enucleare dei sub-obiettivi pluriennali, e concentrare tutte le
risorse centrali e periferiche, professionali e volontarie, in interventi
focalizzarti ; infine verificare se l'intervento ha avuto un qualche
risultato. Per fare questo non occorre chiudere i "servizi",
ma orientarne le attività verso le direttrici prescelte.
Il programma messo in cantiere a Torino e Forlì per i giovani,
va un po' nella direzione qui delineata, almeno stando ai documenti
scritti.
3.4 Ma per
evitare di addentrarmi troppo nella cronaca, farò un
esempio di programma d'animazione socioculturale
per una cittadina intorno ai 50.000 abitanti, priva di operatori
socioculturali. Supponiamo che si sia decisa la priorità
di un intervento di prevenzione delle tossicodipendenze giovanili
di durata triennale.
La scuola sarà coinvolta (nelle terze medie) non per le solite
conferenze,
ma per l'avvio di attività espressive associate. Saranno
promossi
ateliérs e corsi di avvio alle attività espressive
per i ragazzi.
Parallelamente la biblioteca e la USL, d'intesa col Comune, prepareranno
dei volontari come animatori di giovani. Al termine della media
e nei primi anni delle superiori i giovani saranno collegati in
gruppi ricreativi ed espressivi dai volontari. Le famiglie seguiranno
corsi di sensibilizzazione alla droga, promossi dall'USL Per i giovani
disoccupati funzionerà un "servizio" comunale che
stimola il sorgere di cooperative; e che organizza i giovani in
gruppi di lavoro sociale volontario.
Questo programmino appena abbozzato, non può che essere realizzalo
d'intesa con tutte le forze della comunità, laiche e religiose,
professionali e volontarie, partitiche ed istituzionali. Esso potrà
avere scadenza triennale ed alla fine essere verificato. Non soltanto
in base al freno posto alla tossicodipendenza (fenomeno che può
avere portata più ampia di quella locale), ma, per esempio,
in base al numero dì gruppi spontanei sorti nel triennio
e sopravvissuti, al numero di volontari impegnati continuativamente
nel progetto, alla sensibilità mostrata dalle famiglie nel
trattamento immediato e responsabile dei casi presentatisi.
Tutto questo non si fa senza persone.
In Italia aborriamo il tecnicismo dei politici. Pensiamo sia inutile
il ministro supertecnico, perché egli deve anzitutto occuparsi
di orientamenti generali. Il guaio è che abbiamo fatto discendere
questa logica fino al più piccolo organismo di Amministrazione
locale. Così abbiamo
insegnanti che fanno l'Assessore all'urbanistica; medici che fanno
il Presidente del Consiglio di circolo; sarti che fanno il Presidente
dell'USL ; impiegati che sono preposti; alle biblioteche, e così
via. Credo dovremo distinguere meglio fra quelle cariche la cui
parte preponderante è l'indirizzo generale, e quelle la cui
parte preminente è la gestione del quotidiano.
Gli Assessori dei comuni piccoli e medi sono certamente anche i
managers del settore cui sono preposti per gli Assessori dei grandi
Comuni la cosa cambia di poco. Roma ha fatto una politica culturale
vergognosa, a mio avviso, ma ha fatto una politica culturale; e
ciò si
deve anzitutto alla presenza di un Nicolini, familiare ai temi della
cultura. Torino, che resta, secondo me, il miglior esempio attuale
di animazione
urbana in Italia, deve questo primato al fatto di aver avuto
per anni un Assessore (Alfieri), con una seria esperienza d'insegnante
e di
animatore.
Poiché i politici, si sa, ce li manda Iddio, dovremmo tener
fermo l'impegno di avere dei funzionari e degli operatori socioculturali
preparati.
Il problema
è dove e come.
La Lombardia, regione pilota, ha da anni in gestione corsi per operatori
socio-educativi e socio-assistenziali, ma reputa evidentemente che
non ci sia bisogno di scuole per operatori socioculturali. Ci sono
qua e la sporadiche iniziative formative (citiamo Massa e Pordenone
per tutte) ma sono assai lontane dalle esigenze del Paese. Inoltre
spesso capita che la formazione delle risorse umane non va di pari
passo con le necessarie strutture, coi programmi d'intervento, con
l'organizzazione dell'ente locale.
Di seguito parleremo di due esperienze di formazione di animatori,
che con
tutti i limili ci sembrano paradigmatiche ed esemplari. Molti problemi
legati alle risorse umane sono aperti. Per esempio, la selezione
e formazione dei funzionari comunali preposti ai programmi di animazione
socioculturale. Perché non sceglierli fra coloro che hanno
già una sensibilità ai temi dell'intervento culturale?
Perché non offrire loro un training preliminare intensivo
di un mese, prima di avviare un progetto che dovranno coordinare?
Perchè non offrire loro occasioni di consulenza e confronto
con altri funzionari in posizioni analoghe?
Per esempio ancora, la selezione e la formazione, l'aggiornamento
e la supervisione degli animatori inviali nei quartieri. Perché
non investire su queste cose, invece che sui risotti, gli altoparlanti
e i fuochi d'artificio?
4. Caratteristiche
di una vera animazione socioculturale
Per concludere,
cercherà di sintetizzare alcuni criteri generali che distinguono
una vera animazione socioculturale da altre iniziative ludico-effimere:
a) Animazione
socioculturale vuoi dire stimolazione e riappropriazione della cultura,
e dunque del potere.
b) Fare animazione significa provocare cambiamenti utili al miglioramento
della vita dei cittadini.
c) Migliorare
la vita dei cittadini significa offrire loro la possibilità
di espandere le proprie potenzialità culturali.
d) Un intervento di animazione socioculturale deve soprattutto puntare
al futuro; il suo valore dipende da ciò che lascia di stabile.
e) Un vero intervento di animazione modifica (anche in piccola parte)
strutture ed istituzioni.
f) Gli ambiti principali dell'intervento socioculturale sono l'aggregazione
sociale e la partecipazione, l'educazione e la padronanza dei linguaggi
espressivi, la lotta contro l'emarginazione.
g) Gli interventi di animazione sono orizzontali, comunitari, partecipati;
l'animazione opera sull'intera utenza urbana e sulla prevenzione,
con una vasta gamma di strumenti.
h) L'animazione socioculturale deve integrarsi con tutte le altre
forme di azione sociale, presenti sul territorio.
i ) L'animazione opera principalmente per programmi poliennali e
si prefigge l'identificazione di indicatori di valutazione
1 ) L'animazione si avvale della competenza di animatori professionali,
di operatori sociali coinvolgibili in programmi d'animazione e di
tutti i volontari, organizzati e non presenti, sul territorio.
m) L'animazione opera in strutture apposite o collabora a strutture
esistenti, modificandole con la sua azione.
*
Estratto da QUADERNI DI ANIMAZIONE SOCIALE- ANIMARE LA CITTA,
ISAMEPS, Milano, 1982, pag.115- 132